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    Panico in Transatlantico tra i deputati: “Potremo ancora venire a bere il caffè e mangiare alla buvette?”. Cronaca di fine legislatura

    Di Fabio Salamida
    Pubblicato il 21 Lug. 2022 alle 19:23 Aggiornato il 21 Lug. 2022 alle 19:24

    “Potremo venire a prendere il caffè qui anche quando non saremo più parlamentari, vero?” A chiederselo è uno dei tanti deputati fuoriusciti dal Movimento 5 Stelle nel corso di quella che passerà alla storia come la più folle delle legislature. Il collega del gruppo misto, prontamente, gli risponde: “Certo! Ci daranno il tesserino di ex parlamentari e potremo anche andare a mangiare al ristorante, tranquillo!”.

    Petra, dietro al bancone della buvette, assiste divertita al surreale dialogo. Lungo il corridoio dei passi perduti e nelle aree limitrofe del “piano aula” di Montecitorio, le facce svelano umori contrastanti. C’è chi, come Claudio Borghi della Lega, non nasconde la sua euforia saltellando da un punto all’altro del salone con un sorriso raggiante stampato sul viso, manco avessero messo fuorilegge i vaccini.  Visibilmente preoccupati i suoi colleghi del Partito Democratico: “Con questa legge elettorale assurda e con il taglio degli eletti – spiega uno di loro – le destre potrebbero raggiungere la maggioranza dei due terzi delle Camere e cambiare la Costituzione. Avevo detto in tempi non sospetti che andare dietro ai grillini su quella roba populista era una ca**ata, ora prepariamoci al disastro”.

    Come ad ogni caduta di Governo che si rispetti, Domenico Scilipoti si aggira per il Transatlantico: orologio dorato, vestito marrone di lino, occhiali da sole, probabilmente spera che qualche collega a corto di notizie lo fermi per chiedergli un prezioso parere. Il bello è che avrebbe anche senso: dal 2018 ad oggi, col “metodo Scilipoti”, si sono fatte e disfatte maggioranze, partiti e governi; ma i tempi sono cambiati e le speranze del ginecologo e agopuntore di Barcellona Pozzo di Gotto si rivelano vane, perché tutti sperano che nel pomeriggio si faccia vivo lo Scilipoti del momento, al secolo Luigi Di Maio.

    Anche quella speranza, con il passare delle ore, si rivelerà vana. La viceministra dell’Economia e delle Finanze, la grillina Laura Castelli, cammina senza staccare gli occhi dal cellulare: qualcuno maligna che stia disperatamente cercando di ricontattare la rata del mutuo con la sua banca ma che, non tornandole i conti, stia chiedendo aiuto a Pier Carlo Padoan su WhatsApp. C’è preoccupazione tra collaboratori, uffici stampa, responsabili di società di consulenza: a questo giro molti di loro dovranno rinunciare alle agognate ferie. Dalle parti di Italia Viva, invece, traspare una vena di rassegnazione: i seguaci del giocatore di poker di Rignano sull’Arno formano un piccolo cerchio nel cortile; agitando la sola mano destra sembrano fare di conto, ma le uniche dita a muoversi sono pollice e indice.

    La loro unica speranza è che qualcuno con qualche voto li faccia salire sul suo carro, ma al momento Carlo Calenda non vuole saperne, il Pd non ha posti da regalare (soprattutto a chi voleva distruggerlo, va bene il masochismo ma c’è un limite a tutto…) e giustificare un’alleanza con il neonato partito di Di Maio sarebbe troppo anche per Matteo Renzi. Resterebbero gli ex Forza Italia guidati da Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, ma per far avverare il sogno del 3 per cento potrebbero non bastare e comunque anche loro dovranno salvare il salvabile.

    La verità è che ogni possibile alleato del partito dell’amico di Mohammed Bin Salman sa bene, sondaggi alla mano, che IV non porta mezzo voto, anzi, ne sottrae. E soprattutto sottrae preziosi posti nelle liste. I grillini sui divani non contengono la rabbia e discutono tra loro: “Cosa potevamo fare da soli? Siamo rimasti quattro gatti, siete usciti in sessanta, in assemblea abbiamo zero peso politico!”. Così una deputata del Movimento a una sua ex compagna di partito, uscita da tempo, che le contesta di non aver manifestato pubblicamente il suo dissenso contro la “scelta suicida” di non votare la fiducia a Mario Draghi.

    “Alle prossime elezioni voterò Pd, si sono dimostrati i più seri e i più capaci”, confessa un’altra parlamentare grillina; intorno a lei nessun compagno di partito batte ciglio, restano in silenzio come i tonni nelle scatolette. Nel Movimento esploso è ormai tutti contro tutti: “Casalino e la Taverna hanno fomentato la gente – continua la deputata – poi lei, a frittata fatta, si è ca*ata sotto perché ha capito che Conte e Grillo non avrebbero aperto al terzo mandato. A quel punto ha detto che andava votata la fiducia.

    Già si vedeva all’opposizione a fare i soliti show, le è andata male”. L’argomento che attraversa tutti i capannelli di Montecitorio è la data delle elezioni: a fine giornata quella più quotata è il 25 settembre, inizialmente scartata perché vigilia del Capodanno ebraico. A riabilitarla, un comunicato diramato dall’Ucei: “La solennità che inizia la sera consente ai fedeli di religione ebraica di esercitare il proprio diritto al voto nelle ore precedenti”, spiega l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane.

    Dovesse essere confermata, i partiti dovranno consegnare i simboli tra il 12 e il 14 agosto e le liste tra il 21 e il 22 agosto. Insomma, l’ultimo atto della più folle delle legislature sarà una campagna elettorale nell’estate più bollente dell’ultimo ventennio. Sarà contento Matteo Salvini, che potrà tornare a convocare conferenze stampa al Papeete Beach di Milano Marittima.

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