La presidente del Consiglio italiana Giorgia Meloni è delusa e irritata dopo l’accordo sulle nomine di vertice dell’Unione europea raggiunto in videoconferenza ieri, martedì 25 giugno, dai negoziatori dei tre principali gruppi dell’Europarlamento. Popolari, socialisti e liberali hanno tagliato fuori l’Italia dai ruoli apicali e si sono accordati fra loro senza coinvolgere l’Ecr, il gruppo conservatore guidato proprio dalla leader di FdI che alle recenti elezioni ha avuto un exploit.
Meloni non ha apprezzato e ora minaccia di vendicarsi in occasione del voto in plenaria previsto per metà luglio, facendo venir meno il sostegno al bis della tedesca Ursula von der Leyen come presidente della Commissione. Ma un forte segnale potrebbe arrivare già tra domani e venerdì al summit del Consiglio europeo, dove la premier italiana potrebbe decidere di astenersi sull’Agenda strategica 2024-2029.
L’intesa raggiunta ieri da Ppe, Pse e Renew Europe prevede la von del Leyen confermata alla presidenza della Commissione, l’ex primo ministro portoghese António Costa al timone del Consiglio europeo e la premier estone Kaja Kallas come Alto rappresentante per gli Affari esteri dell’Ue.
I negoziatori si sono anche accordati su alcune nomine per quanto riguarda i commissari: alla Spagna andrà la delega all’Ambiente, alla Francia la Concorrenza o l’Industria, alla Polonia la Difesa. L’agenzia di stampa statunitense Bloomberg riferisce che all’Italia verrà offerta la carica di vicepresidente esecutivo della Commissione.
Meloni, però, non si accontenterebbe: vorrebbe anche una delega di peso: secondo il quotidiano La Repubblica, punterebbe a alla carica di commissario a Bilancio, Pnrr e Coesione per l’attuale ministro Raffaele Fitto.
La presidente del Consiglio ha un canale di dialogo aperto direttamente con Von der Leyen, che dal canto suo teme brutti scherzi in plenaria dai franchi tiratori e mira quindi a incassare l’appoggio dei conservatori. La presidente uscente negozierà con Meloni non in quanto leader dell’Ecr ma in qualità di capo del governo italiano, per arrivare a un accordo su quale sarà il portafoglio riservato a Roma nella prossima Commissione.
Ma Meloni medita di dare un segnale forte ai suoi interlocutori già domani, in occasione del vertice del Consiglio europeo. Secondo il Corriere della Sera, dopo la pre-intesa raggiunta ieri da popolari, socialisti e liberali, la premier è di umore nero: “Potevano aspettare il vertice che si apre domani per ufficializzare la decisione”, sarebbe la sua riflessione. “Potevano avere più rispetto per un Paese fondatore dell’Unione, hanno deciso di andare avanti senza di noi, a questo punto nulla è più scontato, nemmeno il sostegno parlamentare del gruppo Ecr a un secondo mandato di Ursula von der Leyen”.
E anche i toni usati oggi in Parlamento, nelle comunicazioni pre-Consiglio, confermano il malessere della premier: “Il nuovo Parlamento” che si insedierà a metà luglio, ha detto Meloni, è “frutto delle indicazioni espresse nelle urne, che hanno rappresentato una tappa molto importante nella storia d’Europa da cui trarre importanti indicazioni” date anche da “tutte le forze politiche”.
“In questi mesi – ha sottolineato – tutti hanno sostenuto la necessità di un cambiamento nelle politiche Ue, nessuno ha detto che sarebbe stato sufficiente mantenere lo status quo. Tutti hanno concordato su un punto: l’Europa deve intraprendere una direzione diversa rispetto al posizionamento preso finora”.
Poi, un messaggio che sembra riferirsi proprio alla questione delle nomine: “La disaffezione” dei cittadini verso l’Ue si è “materializzata anche in un’astensione” che “non può lasciare indifferente” la classe dirigente che in Ue sembra “tentata dal nascondere la polvere sotto il tappeto continuando con logiche deludenti”.
Meloni, insomma, alza la voce per farsi sentire dai partner europei. Ma uno snodo chiave arriverà tra il 30 giugno e il 7 luglio con le elezioni legislative francesi. Un successo del Rassemblement National potrebbe aprire nuovi e inediti scenari. La sensazione è che la partita delle nomine sia tutt’altro che chiusa.
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