Il VI Municipio di Roma, conosciuto come quello delle “Torri”, è l’unico territorio in mano al centrodestra della Capitale; la maggioranza è solida e ha registrato recentemente l’arrivo di nuovi consiglieri da altri partiti. Il Presidente è Nicola Franco (FdI) che, a un anno dalle elezioni, non ha perso occasione per sottolineare che: “Del nostro programma abbiamo raggiunto già quasi il 50 percento di quanto ci eravamo impegnati a fare in campagna elettorale”.
Ma sono in molti a storcere il naso, non solo dalle opposizioni. Da mesi, infatti, si parla di un accentramento eccessivo di deleghe che Franco si sarebbe autoassegnato, e che ha portato il Pd a raccontarlo come un “uomo solo al comando”.
Dalla cacciata poco ortodossa della scrittrice Rita Pomponio dall’assessorato alla Cultura (ad agosto scorso anche il Tar è stato dello stesso avviso, ndr), al mancato rispetto delle Pari Opportunità, fino ai collaboratori a titolo gratuito del Presidente la cui opera è stata rubricata come “illegittima” prima dalla Commissione Trasparenza del Campidoglio e, poi, dal Segretariato Generale.
Tra questi collaboratori c’è stato anche Marco Doria; l’ex presidente del Tavolo per la riqualificazione dei Parchi e delle Ville Storiche in epoca Raggi che ha svolto, da febbraio ad agosto, le mansioni di delegato ai Rifiuti e all’Ambiente per conto di Franco. Mai istituzionalizzato, Doria ufficialmente si dimise per la questione del proiettile recapitato a luglio scorso presso il Municipio, ma successivamente mosse accuse gravissime nei confronti del minisindaco: “Per sette mesi sono stato lasciato solo” ha sintetizzato.
Ora registriamo un altro fatto gravissimo e confermato addirittura da Nicola Franco in persona. Prendendo in esame il suo curriculum depositato presso il Comune, alla voce ‘Istruzione e Formazione’ il minisindaco riporta una laurea in “Scienze Ingegneria Civile” conseguita nel 2010.
In quale università non è dato saperlo, e allora facciamo un rapido passaggio su Facebook dove Nicola Franco scrive di aver studiato alla “Sapienza, Università di Roma”.
Ma Barbara Sabatini, responsabile dell’Ufficio Stampa dell’ateneo ci fa sapere che: “A seguito di verifiche effettuate, non risulta alcun Franco Nicola laureato presso questo ateneo”. Ed effettivamente nemmeno esiste in tutta Italia una denominazione di corso di laurea simile a “Scienze Ingegneria Civile”. Continuiamo le ricerche presso altre università, comprese quelle telematiche, ma niente.
Non rimane allora che chiedere al diretto interessato. Così, raggiunto da TPI, prima il minisindaco cincischia asserendo di essere laureato poi, incalzato, ammette: “No, allora, io ho praticamente un master di tre anni. Non si tratta di una laurea è un master in ingegneria”. Nessun riferimento al fatto di aver mentito sul curriculum: va da sé che laurea e master non siano la stessa cosa. Inoltre per iscriversi a un master è necessario essersi laureati, oltre al fatto che in Italia non esistono “master di tre anni”.
Sgomento anche dalle opposizioni municipali: “Questa notizia ci lascia sconfortati e mi auguro si faccia chiarezza, perché non siamo di fronte a un mero errore di trascrizione se tutto ciò verrà confermato” dichiara a TPI il capogruppo del Partito Democratico Fabrizio Compagnone, sottolineando che: “Spero che il diretto interessato dia una risposta in fretta. Tutti i candidati presidente hanno depositato il proprio cv e adempiuto agli obblighi previsti dalla legge. Se non si chiarirà la situazione dovremo capire come agire perché il curriculum costituisce, oltre che un atto di trasparenza, anche una forma di orientamento al voto per i cittadini”.
“Rimaniamo sconcertate dall’assurdità della situazione. Mentire sul titolo di studio a che pro, non essendo neanche richiesto per ricoprire il ruolo?” dichiarano le pentastellate Laura Arnetoli e Francesca Filipponi, chiosando così: “Assolutamente va fatta chiarezza su questa questione chiedendo agli organi competenti di appurare quale sia la verità”.
Mentire alla Pubblica Amministrazione, infatti, è illegale e genera ovvie criticità in seno al campo politico in ordine alla credibilità dei soggetti coinvolti. Inoltre, in alcuni casi, si potrebbe configurare addirittura il reato di falso ideologico. Infatti l’art. 13 del codice penale recita: “Chiunque attesti falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni”.
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