Naufragio Lampedusa, una donna è morta abbracciata a suo figlio in fondo al mare e la politica parla di respingimenti
Ma davvero riuscite a parlare di respingimenti, di invasione, di porti chiusi, di regolamenti per le ONG, di verifiche, di sfide tra questo governo e quello prima, del falsissimo “non possiamo accoglierli tutti” e di tutte queste inutili manfrine mentre ripeschiamo una donna che ancora abbraccia suo figlio a 60 metri di profondità in fondo al mare, incastrati in un barchino come pesci nelle reti e con l’acqua che gli ha riempito i polmoni mentre decidevano comunque di non staccarsi?
Ma davvero siamo di fronte a questi burocrati che hanno fatto della morte un accidente da soppesare come se fosse un imprevisto da scavalcare mentre un bambino appena nato ha visto solo acqua tutto intorno e ha sentito scomparire la stratta della madre.
Ma davvero l’Occidente, sempre così fiero di essere Occidente, sempre con quel senso di superiorità verso l’Africa o verso i continenti non ritenuti degni di essere alla sua altezza non ha il vocabolario per raccontarsi che ha fatto morire a pochi metri dalla riva una madre che cercava di trarre in salvo il figlio? Come si tramanda di qualcuno che ha chiuso fuori qualcuno che bussava per chiedere aiuto mentre gli veniva addosso la marea?
Il terrore vero, il terrore che mi assale mica da giornalista ma da uomo è che alla fine potremmo tutti abituarci così tanto all’orrore che nemmeno quella statua di carne e corpi rarefatta dall’acqua e dal sale riesca a smuoverci da un dibattito che sembra politica e invece ha a che fare con il modo in cui voglia stare nel mondo: un Occidente che sta in fondo al mare come un quadro terrorizzante di Picasso, una Guernica sott’acqua che ci lascia impassibili solo perché non galleggiano i corpi, impigliati tra oblò troppo stretti di carcasse a forma di barche.
Ci sono molti modi di morire, si appassisce anche quando si trasforma in scartoffie la vita umana, quella degli altri, solo perché ha un colore della pelle diverso o una diversa provenienza e perché non ha abbastanza voce per sbattere il proprio strazio in faccia al mondo.
Quella madre e quel figlio, statue molli di quello che stiamo diventando, sono un monumento alla codardia e al calcolo velenoso di chi ha disinfettato perfino la morte e continua a calpestare corpi come se niente fosse.
Usciamo di casa, dopo essersi lavati i denti e ci avviamo tranquilli a compiere i nostri doveri quotidiani scavalcando montagne di cadaveri come se fossero una giuntura sbeccata del marciapiedi. Fra qualche anno i nostri figli ci chiederanno: l’avete fatto voi questo orrore?