“Basta andare a Riace, Mimmo Lucano è sempre lì. Non serve appuntamento. Se lo si chiama chiedendogli un’intervista gli viene l’orticaria”: sollecitato così da un amico comune, salgo quindi a Riace, 7 chilometri di curve che si inerpicano dal mare sotto un cielo stellato ormai raro a vedersi. Due passi per il borgo, città dell’accoglienza dei santi Cosimo e Damiano, protettori dei rom e dei sinti, tra i murales e le botteghe artigiane, la cena sul belvedere di fronte al palazzo del Municipio quasi nascosto da un enorme pino secolare, e dopo poco, come da programma, Lucano compare. Il sindaco dei tre mandati, sospeso nel 2018, saluta turisti e concittadini, nicchia alla mia richiesta di intervista, poi si siede a tavola.
“Mentre stavo finendo il terzo mandato, avevo iniziato a fare delle cose ma non ho fatto in tempo a finirle – racconta Mimmo Lucano a TPI – Mi propongo di portarle a termine se per caso, ma non è scontato, ci saranno le condizioni per una mia nuova candidatura a sindaco di Riace. Ho già in mente un programma, ma non teorico, perché tutti parlano di programmi: ci mettono dentro grandi temi come la sanità, ma poi quando chiudono gli ospedali non si sa chi è stato. A me piace immaginare delle cose, poi cerco di capire come metterle in atto”.
Quindi Mimmo Lucano si ricandida a sindaco di Riace?
“Forse, non lo so (sorride, ndr.), non mi voglio mettere limiti; ma questa volta non devo essere io a propormi: se lo farò sarà perché ci sarà una spinta sia da dentro che fuori da Riace e perché mi renderò conto che il mio contributo potrà servire a portare avanti un’idea di Sinistra; perché oggi sulla mia città sono puntati i riflettori del mondo”.
Sono stati eccessivi quei riflettori?
“A volte mi hanno dato fastidio, eppure mi hanno fatto commuovere quando ho visto tante persone arrivare sotto casa mia per sostenermi. È stata una cosa bellissima”.
Perché hai rifiutato la candidatura al Parlamento Europeo? Non pensi che avresti portato una testimonianza importante?
“Era una proposta finalizzata a una carriera politica e non era quello che volevo. In molti mi hanno offerto una candidatura; ho parlato anche con il sindaco di Napoli, ma a me della politica non interessa il guadagno o l’indennità. Cosa avrei dovuto fare a Bruxelles? Io voglio stare qua”.
Pietro Bartolo, però, sta facendo tanto da lì sul tema immigrazione…
“È vero. È venuto anche qui per inaugurare il nuovo ambulatorio medico e tornerà a settembre a visitare il ‘Villaggio Globale’. È una delle tante cose che sto portando avanti anche se non ho incarichi. In autunno apriremo un forno sociale con l’aiuto del comune di Nichelino, in provincia di Torino. Nelle ultime settimane abbiamo rimesso in piedi l’antica bottega di un fabbro che si chiamava Bruno. Era un luogo degradato e pieno di rifiuti”.
Sulla parete della bottega restaurata avete scritto una frase di Pasolini: “Quando il mondo classico sarà esaurito, quando saranno morti tutti contadini e tutti gli artigiani, quando non ci saranno più le lucciole, le api, le farfalle, quando l’industria avrà reso inarrestabile il ciclo della produzione, allora la nostra storia sarà finita”. Il futuro di un luogo può essere un ritorno al suo passato?
“Sotto la frase sono stati dipinti due asini con lineamenti umani, a ricordare il punto in cui agli inizi del Novecento Mastro Bruno ferrava gli animali che ogni giorno i braccianti gli portavano per fare i lunghi percorsi che li avrebbero condotti sui campi. Nella sua bottega c’era l’essenziale, alle pareti solo gli strumenti di lavoro e i materiali che produceva. Quando la società iniziò a cambiare, sulle pareti degli artigiani trovavi i calendari con le donne nude. Qualcosa si era perso…”.
Da quando non sei più sindaco, Riace sta cambiando?
“Non si può distruggere in poco tempo quello che è stato costruito in più di vent’anni. Matteo Salvini, quando era Ministro degli Interni, è venuto a dire che la città sarebbe cambiata; l’ha fatta diventare epicentro di uno scontro politico e ha raccontato un sacco di stupidaggini: ha detto che sarebbe diventata una località turistica, che i neri sarebbero stati mandati via, che sarebbero arrivati finanziamenti dallo Stato. Era un ministro e la gente gli ha creduto. Se oggi chiedi al sindaco leghista cosa ha fatto, ti potrà rispondere solo che si è alzato l’indennità. La Lega, quasi ideologicamente, tende a costruire società disumane. Quale entusiasmo può avere un sindaco che mantiene atteggiamenti fiscali con la sua comunità? Io, invece, ho sempre cercato di mettere al centro del mio fare una creatività orientata a costruire dei processi positivi”.
Dovessi affrontare un quarto mandato, su cosa orienteresti quella creatività?
“Spesso in paesi come questo devi occuparti dell’ordinario ma devi dare spazio a soluzioni alternative. Ho in mente di dar vita a quello che ho chiamato il ‘villaggio delle stelle’: si potrebbe risparmiare elettricità diminuendo il timer dell’illuminazione pubblica. Per qualche ora, a Riace si vedrebbero di nuovo le stelle come un tempo e il risparmio consentirebbe di accumulare circa 28mila euro l’anno, che potremmo mettere a disposizione delle famiglie indigenti. La società dei consumi ci ha abituato a sperperare tutto, anche la luce. Invece sarebbe bello ritrovare dei momenti in cui contemplare il buio, ascoltare in silenzio il rumore del vento. Vorrei piantare degli alberi e anche in questo caso ho tanti progetti in mente, ma ancora non voglio anticipare nulla. Sono convinto che un programma politico non sia solo una lista di opere pubbliche, ma avere un’idea di futuro”.
Fare di Riace la città dell’accoglienza era la tua idea di futuro?
“Vedi quel grande pino secolare al centro della piazza, davanti al Municipio? Potrebbe raccontare tante storie. Sotto la sua ombra sono cresciute le generazioni; si discuteva, si incontrava il parroco, si sceglievano le fidanzate, ma era anche il luogo dei fazzoletti in mano: da lì le persone partivano salendo sulla corriera che li portava verso il mare dove si sarebbero imbarcati. Molti non sarebbero più tornati. C’è una Riace altrove, a Torino come a Buenos Aires. Quando è arrivata la società dei consumi, i braccianti sono andati a lavorare alla Fiat o hanno attraversato il mare, le braccia del sud sono andate a lavorare nelle fabbriche del nord. Da quello stesso mare, poi, in maniera del tutto inaspettata sono arrivati i Bronzi che ci hanno resi noti in tutto il mondo. E nell’estate del 1998, sono arrivati i profughi curdi: sono tornate le persone. E quell’albero è diventato il luogo degli arrivi”.
Con i curdi, molte case di emigrati iniziarono ad accogliere i migranti…
“Dal 1998, Riace è diventata un luogo di accoglienza: chi doveva amministrarla non doveva più tener conto solo delle dinamiche del territorio, ma si trovava al centro di un fenomeno che andava governato. Quelli che c’erano prima non avevano capito che l’arrivo dei rifugiati poteva essere un’occasione anche per superare quel senso di rassegnazione che accompagna da sempre questa comunità; temevano che l’etica, i valori sociali e la politica intesa anche come utopia non si sarebbero mai tradotti in consenso elettorale. Al suo arrivo, quel veliero incontrò una Riace dal destino segnato, ma anche chi decise di immaginarne un riscatto; uno di loro era il Vescovo Giancarlo Maria Bregantini, che ci diceva sempre ‘finitela di dire ormai’. Non era un politico, era un uomo di chiesa. Senza di lui la storia della città non sarebbe stata la stessa, perché in quel periodo negli ambienti dell’attivismo politico c’era grande delusione. Io non frequentavo la chiesa, ma avevo avuto un professore di religione che faceva parte di un movimento che si chiamava ‘Cristiani per il Socialismo’; mi fece innamorare di alcuni autori della teologia della liberazione, che colmarono un vuoto nel mio impegno politico. Altro grande punto di riferimento è stato Peppino Valerioti, ammazzato dalla mafia l’11 giugno del 1980: aveva 26 anni ed era il segretario del Partito Comunista di Rosarno. Combatteva il dominio delle famiglie della ‘Ndrangheta nella Piana di Gioia Tauro, famiglie che controllavano quegli agrumeti che oggi sono luogo di sfruttamento della manovalanza dei migranti. Io non mi ritengo un esperto di immigrazione, il mio primo interesse è stato un attivismo politico non solo teorico, ma basato sulle cose da fare. È quello che ho fatto qui a Riace per vent’anni”.
A testimoniare quel lavoro ventennale, i muri dell’antico borgo che raccontano l’incontro di una terra con altre terre, un incontro figlio del mare. L’ex sindaco, lungo i vicoli ormai deserti, mi svela la storia che c’è dietro ogni murales: a dipingerli sono arrivati artisti da tutto il mondo. A pochi metri da quel pino secolare, testimone silenzioso di arrivi e partenze, io e Mimmo Lucano ci salutiamo. Lui è sempre lì. Non serve appuntamento.