“Ci sono delle regole di diritto marittimo e vanno osservate. La guardia costiera libica sta nelle sue acque sar ed è giusto che provvedano loro [ai salvataggi] per quella parte del territorio. Certo ci sono anche lì delle regole, c’è stato un codice di comportamento che il ministro Minniti aveva portato avanti con le Ong e da quel codice bisogna ripartire perché anche per fare questo tipo di attività ci vogliono delle regole. Ci vuole un contratto che va fatto tra lo stato e chi provvede al salvataggio. Il salvataggio di vite umane è sempre prioritario. Noi certo non ci tiriamo indietro ma dico anche che ci vogliono delle regole. Noi non possiamo pensare di andare a proteggere i confini altrui, non è neanche corretto”.
La ministra Luciana Lamorgese parlava così, lo scorso 1 ottobre, al Festival delle Città organizzato a Roma, ribattendo alle domande del giornalista di La7 Corrado Formigli che insisteva su Libia e soccorso in mare.
Dall’attuale governo ci si aspettava un capitolo nuovo in tema di immigrazione e il pre-accordo di Malta, per la verità, qualche speranza in questo senso la dava, nonostante alcune criticità che lasciavano intendere come i tempi non fossero ancora maturi per il cambiamento che da diverse parti si sperava.
Ma la ministra Lamorgese che sul pre-accordo di Malta oggi ribadisce di aver portato a casa un primo importante risultato in termini di obiettivi politici, sembra del tutto intenzionata a riprendere il solco di quella strada intrapresa dall’allora ministro dell’Interno Marco Minniti, e poi del tutto deviata da Matteo Salvini in tema di salvataggi in mare.
La ministra ha infatti elogiato l’operato di Minniti e ha ribadito un concetto che oggi sembra stonare con l’idea che questo fosse il governo della discontinuità: “La Libia continuerà a operare nella propria zona sar e a riportare i migranti in territorio libico”.
A nulla valgono gli appelli delle varie ong che nel corso degli ultimi mesi hanno dimostrato –prove alla mano – cosa accade ai migranti prigionieri nei centri di detenzione.
A nulla valgono le testimonianze e le denunce portate a galla grazie alle inchieste di vari media nazionali e internazionali che hanno rivelato le violenze della guardia costiera libica durante i “soccorsi” e le persecuzioni ai danni degli uomini e delle donne che in Libia consumano la propria vita, schiavizzati o costretti alla prostituzione.
E a nulla vale l’evidente instabilità politica che ha costretto il paese, già poverissimo, a una guerra civile tra fazioni diverse. A nulla vale la totale assenza di un vero leader politico riconosciuto dall’intero paese.
Quello che resta è una mera suddivisione di fazzoletti di mare in cui una guardia costiera del tutto o quasi disinteressata a salvare vite umane si ritrova a frenare quella che alcuni definiscono l'”emorragia di migranti”.
Una guardia costiera, quella libica, arricchita dall’invio di motovedette acquistate dall’Italia e “formata” sempre per volere del governo italiano.
La ministra Lamorgese forse dimentica i tanti, troppi salvataggi che la guardia costiera libica non è stata in grado di compiere, lasciando alla deriva, e poi al naufragio, decine e centinaia di esseri umani.
La ministra Lamorgese forse dimentica la storia di quel migrante sudanese che era stato bloccato in mare assieme ad oltre 100 persone e riportato indietro dalla Guardia costiera libica. Quel migrante, una volta tornato a Tripoli, veniva ucciso mentre tentava la fuga da un centro di detenzione.
Non ci si può esimere dal cambiare completamente strategia nei confronti della Libia chiedendo una rivisitazione degli accordi sulla zona sar se si vuole parlare dell’assoluta necessità di salvare sempre e comunque le vite umane e risultare credibili.
Nessuno nega che il tema delle migrazioni è un tema complesso, e anche il nuovo ministro degli Esteri Luigi Di Maio dovrà fare la sua parte. Ma oggi è impensabile considerare la Libia un porto sicuro. Oggi più di ieri.