Oggi molti quotidiani – non quelli del Gruppo Gedi, di proprietà della Exor – riportano in prima pagina lo sfogo della presidente del Consiglio Giorgia Meloni contro John Elkann, presidente di Stellantis, colpevole di aver rifiutato l’invito della Camera dei deputati, che avrebbe voluto interrogarlo sulla grave crisi del settore automobilistico. “Ha mancato di rispetto al Parlamento”, osserva indignata Meloni, peraltro in linea con gli attacchi piovuti contro il manager anche dalle opposizioni.
Non ci sono dubbi sul fatto che Elkann, con la sua lettera di diniego inviata a Montecitorio, sia stato irriverente verso le istituzioni italiane, a maggior ragione se si considera che proprio lo Stato italiano da decenni foraggia la sua impresa automobilistica a colpi di incentivi, prestiti e cassa integrazione. Meloni, però, dimostra un gran coraggio – per non dire altro – nel parlare di Stellantis proprio mentre il suo Governo taglia dell’80% il Fondo per l’Automotive, abbandonando imprese e lavoratori soli al proprio infausto destino.
È tutto scritto, nero su bianco, nella relazione illustrativa del Ministero dell’Economia che accompagna il disegno di legge della manovra finanziaria 2025. Il Fondo pluriennale per la riconversione green dell’industria automobilistica italiana – che era stato istituito dal Governo Draghi nel 2021 – viene ridotto da 5,8 miliardi di euro alla miseria di 1,2 miliardi: una sforbiciata da 4,6 miliardi di euro nel momento più drammatico di sempre per la filiera delle quattro ruote.
Nel 2024 la produzione di Stellantis in Italia dovrebbe rimanere sotto i 500mila veicoli, meno della metà dell’obiettivo “un milione” concordato dalla multinazionale con l’esecutivo, mentre il 55% delle aziende della componentistica prevede di chiudere l’anno con un fatturato in calo.
La crisi non è solo italiana, come dimostrano le difficoltà della tedesca Volkswagen, che ha recentemente annunciato la chiusura di almeno tre fabbriche. Ma questo dovrebbe essere un motivo in più per sostenere l’industria di casa nostra. In ballo ci sono oltre 200mila posti di lavoro.
Nemmeno il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, ha preso bene la notizia del taglio delle risorse: “Siamo impegnati a garantire che la filiera dell’automotive abbia gli strumenti necessari per affrontare la sfida della transizione”, ha scritto in una nota.
I soldi del Fondo per l’Automotive servono a finanziare ricerca e investimenti da parte delle imprese e a spingere la domanda attraverso incentivi all’acquisto. Fin qui sia il Governo Draghi sia il Governo Meloni hanno destinato queste risorse per lo più agli incentivi all’acquisto (anche se Stellantis ne vorrebbe ancora di più) ma tutti gli operatori del settore – sia aziende sia sindacati – insistono da tempo nel dire che non va sostenuta solo la domanda ma anche l’offerta, perché il processo di elettrificazione in atto nel settore impone una riconversione.
Commentando il taglio operato in manovra, l’Anfia, associazione che riunisce le imprese della filiera automobilistica, parla di “inaccettabile fulmine a ciel sereno”: “L’impatto del perdurante calo dei volumi di veicoli prodotti – sottolinea il presidente del Gruppo Componenti Marco Stella – rende urgente attuare misure di politica industriale per la competitività delle imprese e rende ancora più grave quanto prospettato in Finanziaria con la distrazione di circa l’80% delle risorse del Fondo automotive 2025-2030 che auspichiamo possa essere corretta nel corso dell’iter parlamentare”.
Anche i sindacati, ovviamente, sono sul piede di guerra con il Governo. Due settimane fa, il 18 ottobre, 20mila tute blu hanno manifestato a Roma per richiamare l’attenzione dell’esecutivo sul rischio di de-industrializzazione del Paese, e ora si ritrovano le risorse quasi azzerate anziché potenziate.
“Chiediamo che i 5,8 miliardi del fondo dell’auto vengano non solo ripristinati, ma anche incrementati, in linea con le necessità attuali e con quanto si dovrà ottenere anche a livello europeo, per sostenere una giusta transizione ecologica e occupazionale”, scrivono in un comunicato congiunto le segreterie nazionali di Fim-Cisl, Fiom-Cgil e Uilm-Uil, ribadendo la necessità di un incontro urgente a Palazzo Chigi insieme con Stellantis e le aziende della componentistica.
Ancora una volta, tocca rilevare il desolante disinteresse della politica rispetto alle sorti di quella che tutt’ora rimane la principale manifattura del Paese. Il sospetto è che Meloni voglia solo cavalcare il diffuso sentimento di ostilità che – a buon diritto – cova fra gli italiani nei confronti della famiglia Agnelli-Elkann. Ma poi a pagare il conto di questo scontro – solo verbale – rischiano di essere i lavoratori. Si spera almeno che sindacati e organi di stampa sappiano adeguatamente informare su ciò che sta accadendo quegli operai che votano la destra perché la sentono più vicina a loro.
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