Chi è Mario Draghi, il premier incaricato dal presidente Mattarella: la biografia
MARIO DRAGHI CHI È (BIOGRAFIA) – “Una colomba con l’occhio da falco”, “selettivo fino all’ossessione”, “un insonne fisiologico”: così viene descritto Mario Draghi da chi lo conosce bene. Ma chi è davvero il premier incaricato dal presidente Mattarella? Romano, romanista e devoto a Sant’Ignazio di Loyola, la sua biografia è ricca di aneddoti e curiosità che raccontano molto bene la vita dell’ex presidente Bce, considerato da Forbes come uno dei 20 uomini più potenti al mondo.
Dalla morte dei genitori all’incontro con Modigliani
Nato a Roma il 3 settembre 1947, è figlio di Carlo, originario di Padova e impiegato in Baca d’Italia, Iri e Banca nazionale del Lavoro, e di Gilda Mancini, nata nella provincia di Avellino e di professione farmacista.
I genitori di Mario Draghi sono entrambi morti quando lui aveva 15 anni. Il premier incaricato, quindi, ha dovuto fare il capofamiglia, occupandosi dei fratelli minori, Andreina, storica dell’arte che nel 1999 ha scoperto alcuni affreschi medievali nel complesso dei Santi Quattro Coronati a Roma, e Marcello, imprenditore.
A Roma, secondo la biografia ufficiale del premier incaricato Mario Draghi, frequenta, dalle elementari al liceo, l’istituto gesuita Massimiliano Massimo, nel quartiere Eur. “Tutti noi al di là di quello che potevamo fare come scolari, al di là di quanto noi potessimo apprendere, avevamo un compito nella vita – ha dichiarato Draghi ripercorrendo la sua esperienza scolastica – Un compito che poi il futuro, la fede, la ragione, la cultura, ci avrebbero rivelato”.
Qui ha come compagni di scuola Luca Cordero di Montezemolo, Giancarlo Magalli, Gianni De Gennaro, Luigi Abete. “Era simpatico e divertente” ha raccontato Magalli in una recente intervista, mentre Giuseppe Peochi, un orafo suo ex compagno di classe ha detto di lui: “Mario era molto bravo in latino e matematica, uno di quelli che quando sei in difficoltà ti aiutano”.
Terminato il liceo, si iscrive all’Università La Sapienza di Roma, laureandosi in Economia nel 1970 con una tesi su Integrazione economica e variazione dei tassi di cambio.
Allievo di Federico Caffè, tra i principali diffusori della dottrina keynesiana in Italia, l’anno seguente persuade Franco Modigliani, futuro premio Nobel e già all’epoca l’economista più influente d’Italia ad ammetterlo ai corsi di dottorato del Massachussetts Institute of Technology.
A raccontare l’aneddoto è il giornalista Federico Fubini attraverso il ricordo di Serena Modigliani: “Draghi abborda Modigliani all’uscita dello studio di Guida Carli, governatore della Banca d’Italia, e senza giri di parole gli chiede di ammetterlo ai corsi di dottorato del Mit. ‘Non solo le scadenze per l’iscrizione erano già chiuse’ dichiara Serena Modigliani ‘ma Mario non aveva neanche i soldi della borsa di studio’. La prima risposta dell’economista – scrive Fubini – fu secca: ‘Non hai nessuna speranza”.
“Nessuna, a meno che non riusciamo a cambiare la stupida legge”, ovvero quella che impediva di utilizzare borse italiane all’estero. “Ci riuscirono” ricorda la moglie di Modigliani “Quell’insistenza fu il primo segno della sua determinazione“. Nel 1971, quindi, Mario Draghi entra al Mit dove si specializza in teoria economica arricchendo così la sua biografia.
La carriera del premier incaricato
Rientrato dagli States, Mario Draghi diviene, così come racconta la sua biografia ufficiale, professore di Politica a Trento, di Macroeconomia a Padova e di Economia matematica a Venezia anche in base a una promessa che aveva fatto al suo mentore Federico Caffè, ovvero che non avrebbe mai fatto altro che il professore universitario.
Due anni dopo aver ottenuto la cattedra di Economia internazionale a Firenze, però, nel 1983 viene nominato consigliere di Giovanni Goria, ministro del Tesoro nel governo Craxi. Definito “selettivo fino all’ossessione” Mario Cingolani racconta che proprio durante il suo periodo al Tesoro “volesse sapere chi erano i commensali anche per andare a mangiare una pizza”.
Nel 1984, a 37 anni, viene nominato direttore esecutivo della Banca Mondiale a Washington, carica che ricoprirà fino al 1990, presidente del Comitato economico e finanziario dell’Unione europea e dovente ad Harvard.
Nel 1991 diviene Direttore Generale del Ministero del Tesoro, ruolo che ricoprirà per 10 anni, fino al 2001. Dieci anni “drammatici” ma anche “indimenticabili” secondo Draghi.
Voluto da Guido Carli, ministro del Tesoro del governo Andreotti, su suggerimento di Carlo Azeglio Ciampi, all’epoca governatore della Banca d’Italia, è stato confermato da tutti gli esecutivi successivi: da Amato a Ciampi, da Berlusconi a Dini fino a Prodi, D’Alema e di nuovo a Berlusconi.
In questo ruolo viene ricordato come “l’uomo delle privatizzazioni“. Nel corso di questi dieci anni, infatti, piazza sul mercato alcune delle principali società dello Stato: da Enel a Iri, da Telecom a Eni fino a Comit e Credit.
Le privatizzazioni fruttarono 182 miliardi di lire che contribuirono a fare abbassare il debito pubblico italiano dal 125 per cento sul Pil el 1991 al 115 del 2001. Draghi, inoltre, capendo che l’abitudine italiana di mettere tutti i risparmi nei Bot sarebbe presto finita, lavorò per far sì che si passasse al capitalismo dei fondi d’investimento.
Nel 1991 il 70 per cento del debito statale era a tasso variabile e a breve termine, nel 2001, quando Draghi lasciò il Tesoro, il 70 per cento del debito era a tasso fisso e a medio-lungo termine. Questo spinse gli italiani a investire in azioni, obbligazioni e bond. Nel 1992, poco prima di dare il via alle privatizzazioni, Mario Draghi incontrò sul Britannia, il panfilo della regina Elisabetta, la comunità finanziaria mondiale: un episodio che scatenò non poche polemiche e illazioni. Draghi, infatti, fu accusato di svendere il patrimonio italiano per ordine delle superpotenze di cui l’economista era al soldo. Anni dopo, nel corso di una trasmissione televisiva, l’ex Capo dello Stato Francesco Cossiga disse di lui, riferendosi a quell’episodio, che era “un vile affarista”.
Nel 2002 è nominato Vice Chairman e Managing Director della Goldman Sachs, quarta banca al mondo, e dal 2004 al 2005 ne diviene membro del Comitato esecutivo.
Dalla Banca d’Italia alla Banca Centrale Europea
Il 29 dicembre 2005, Draghi viene nominato dall’allora ministro del Tesoro Tremonti governatore della Banca d’Italia. La mattina del 30 dicembre si reca a salutare il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, percorrendo a piedi, fatto assai inusuale, la strada che dalla Banca d’Italia porta al Quirinale.
Da governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, come ricorda Giorgio Dell’Arti, “rovesciò totalmente l’impostazione del suo predecessore, Fazio. Draghi non solo dichiaro pubblicamente che non sarebbe mai intervenuto per influenzare operazioni di mercato, ma precisò che se uno straniero si fosse voluto comprare una banca italiana lui lo avrebbe lasciato fare”.
Draghi, a tal proposito, invitò le banche italiane a far accordi o a fondersi proprio per evitare l’arrivo di acquirenti stranieri. Anni dopo si verificano diverse fusioni, come quella tra Unicredit e Capitalia o quella tra Banca Intesa e San Paolo, che di fatto evitarono agli stranieri di fare “incetta” di banche.
Nelle sue annuali Considerazioni finali esortava alla riduzione delle tasse, alla riduzione del debito pubblico, al sostegno ai redditi e agli ammortizzatori sociali, all’innalzamento dell’età pensionabile, al dovere di modernizzare la scuola fondandosi su un concetto estremamente semplice: un Paese senza scuola è sull’orlo della miseria.
Nel 2011, Mario Draghi viene nominato presidente della Banca Centrale Europea, diventando il primo italiano alla presidenza della Bce. Nel discorso di insediamento, Draghi chiede ai Paesi dell’Ue di recuperare in affidabilità, per garantire una politica di bilancio omogenea.
Il 26 luglio 2012 pronuncia uno dei suoi discorsi più famosi, ovvero quello del “Whatever it takes” (“Tutto ciò che è necessario” o anche “Costi quel che costi”), intervenendo alla Global Investment Conference di Londra. “Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la BCE è pronta a fare tutto ciò che è necessario a preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza” dichiarò Draghi.
Un anno dopo, Draghi introduce un’altra innovazione a sorpresa “che prevede che i tassi d’interesse resteranno ai livelli attuali, o anche più bassi, per un lungo periodo di tempo”.
Nel 2015 lancia il Quantitative easing, strumento con cui la Bce acquista titoli di stato dei paesi dell’Eurozona per 60 miliardi di euro fino all’anno successivo. Il suo mandato termina il 31 ottobre 2019 quando passa il testimone a Christine Lagarde.
Mario Draghi, la vita privata: dalla moglie Serenella ai figli Federica e Giacomo
Il premier incaricato è sposato dal 1973 con Maria Serena Cappello (qui il suo profilo), Serenella per gli amici. La coppia ha due figli, Federica e Giacomo (leggi qui chi sono). La prima dirige una multinazionale che cura le biotecnologie, mentre il secondogenito della coppia, dopo una laurea alla Bocconi, ha lavorato come trader finanziario presso la Morgan Stanley.
Per quanto riguarda la signora Draghi, non sono molte le informazioni sul suo conto. Nobile di nascita essendo una discendente della sposa del Granduca di Toscana Francesco de’ Medici, la signora Draghi è un’esperta di letteratura inglese.
La coppia non ama i riflettori e vive nella semplicità. Nonostante gli importanti incarichi ricoperti dal marito, infatti, i due vivono come persone comuni, così come dimostra una foto del 2015 in cui Draghi e signora vennero immortalati in un negozio per animali mentre compravano croccantini per il loro adorato cane, un bracco ungherese.
Nel 2018, alla domanda di una giornalista che chiede se il marito avrebbe potuto accettare di fare il presidente del Consiglio, la signora Draghi rispose: “Mio marito non farà un governo, non è un politico”.
Alcuni anni prima, invece, quando Mario Draghi lasciò la presidenza della Bce, a chi lo incalzava sui suoi progetti futuri Draghi rispose: “chiedete a mia moglie. Spero almeno che lei lo sappia”. E a chi gli chiedeva se avesse potuto fare il presidente della Repubblica nel 2023: “Davvero non so. Lo ho detto molte volte. Chiedete a mia moglie, ne sa più lei”.
L’orientamento politico e il partito di Mario Draghi
Dopo aver ricevuto l’incarico di premier dal presidente Mattarella in molti si sono chiesti a quale partito appartenesse, o comunque quale fosse l’orientamento politico, dell’ex presidente della Bce.
Mario Draghi non ha mai espresso posizioni ufficiali dal punto di vista politico ed essendo un economista non appartiene ad alcun partito tradizionale.
Oltretutto nel corso della sua carriera, Draghi ha lavorato con numerosi premier di diversa provenienza politica: da Ciampi a Prodi, da Berlusconi sino a D’Alema. Dovendo fare una supposizione ripercorrendo anche la sua biografia, possiamo affermare che le idee dell’ex governatore della Banca d’Italia si posizionino in uno schieramento cattolico-centrista.
Stipendio e proprietà del premier incaricato
Quando lavorava in Goldman Sachs, Mario Draghi guadagnava 10 milioni di euro l’anno. Arrivato alla Banca d’Italia, pretese che il suo stipendio si allineasse a quello degli altri governatori europei: 350mila euro l’anno contro i 622.347 percepiti dal suo predecessore, Antonio Fazio. Compenso che successivamente salì a 450mila euro.
Da presidente della Bce, invece, il premier incaricato Mario Draghi è arrivato a guadagnare 389mila euro all’anno, ovvero quasi 32.500 euro al mese. Con la sua nomina a presidente del Consiglio, Draghi dovrebbe ora percepire 80.000 euro all’anno netti, per uno stipendio mensile di 6.700 euro.
Una volta terminati i suoi incarichi, Mario Draghi è tornato a vivere a Roma, nella sua casa ai Parioli. Oltre alla Capitale, però, l’ex presidente della Bce ha anche una proprietà in Umbria, Città della Pieve, dove nel 2011 si è sposato il secondogenito Giacomo. Un altro posto del cuore per Mario Draghi è Lavinio, una località di mare non distante da Roma, dove il premier incaricato è stato spesso avvistato mentre faceva jogging senza auto blu.
Tutte le curiosità su Mario Draghi
Eletto nel 2018 da Forbes come uno dei 20 uomini più potenti del mondo, Mario Draghi è stato insignito di 6 lauree honoris causa da università italiane e straniere e nel 2012 è stato nominato uomo dell’anno dal Financial Times e dal Times.
Tante le curiosità e gli aneddoti sulla sua vita e sulla sua carriera, a partire dal fatto che l’ex presidente della Bce ha una legge informalmente chiamata col suo nome (Decreto legislativo del 24 febbraio 1998, n. 58).
Salutista, non fuma e beve al massimo un bicchiere di vino rosso al giorno. Va assiduamente in palestra, mentre a scuola giocava a basket. È anche un buon giocatore di tennis e di golf, passione quest’ultima maturata quando era già adulto.
Amante della montagna, è uno scalatore, ma nelle sue arrampicate è accompagnato sempre dalla guida. Secondo le cronache, quando è a Roma, nel weekend, gira in macchina con la moglie Serenella alla guida.
Se si tratta di una bella giornata, lo si può incontrare a Villa Borghese, mentre passeggia con il suo cane. Fa la spesa personalmente al mercato rionale del suo quartiere, i Parioli, dove sceglie con cura cicoria e melanzane, le sue verdure preferite.
Di rado lo si può vedere anche dal macellaio dove acquista la carne maiale, che, a quanto pare, sa cucinare alla perfezione. Anche quando si trova all’estero, Mario Draghi non si concede vizi. Gira in taxi, alloggia in hotel non di lusso e cena da solo al ristorante.
Secondo Denise Pardo “Non usa il cappotto. È un’abitudine che hanno gli studenti di Harvard: anche sotto la neve, solo con la sciarpa, forse a sottolineare la loro superiorità da futuri padroni del mondo. Anni fa il suocero gli regalò un soprabito. Per non fargli dispiacere se lo portò appresso piegato sul braccio. Ma, sublimemente eroico, non lo ha mai infilato”.
Viene definito da chi lo conosce bene “un insonne fisiologico. Tre ore gli bastano. Per il resto legge, studia, scrive e riordina le idee”.
Autore di 3 libri, Produttività del lavoro, salari reali, e occuapazione (1980), Il testo Unico della finanza. Banche, mercati, gestione del risparmio (1999), e Transparency, Risk Management and International Financial Fragility (2003), Mario Draghi è stato insignito di 3 tra le più alte onorificenze italiane e straniere: Cavaliere di Gran Croce dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana, Grande Ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica Italiana e Gran Collare dell’Ordine dell’infante Dom Henrique (Portogallo).
Sul conto di Mario Draghi in Rete circola una leggenda: ovvero che sia un “rettiliano“, ovvero “soggetti nascosti sotto sembianze umane che nel remoto passato avrebbero ibridato il Dna extraterrestre di una evoluta stirpe rettiliana con il Dna terrestre di noi umani. Tutto ciò, da parte della stirpe rettiliana, al fine di dominare in modo occulto il nostro pianeta. Facendosi apparire umani per controllarci e sfruttarci meglio, senza che noi se ne sia consapevoli”.
Le frasi celebri
Sono diverse le frasi, divenute celebri, pronunciate da Mario Draghi nel corso della sua carriera. Di seguito ne vengono proposte alcune delle più famose.
- “But there is another message I want to tell you. Within our mandate, the ECB is ready to do whatever it takes to preserve the euro. And believe me, it will be enough” (“Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la BCE è pronta a fare tutto ciò che è necessario a preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza”).
- “Io non voglio essere un politico”.
- “Anche il suo linguaggio politico è da ricordare: agli “energumeni da comizio” egli [Cavour] opponeva parole che esaltavano la necessità della preparazione, della buona amministrazione come essenziali per ottenere i risultati voluti”.
- “Fu una decisione coraggiosa che segnò una nuova tappa nel processo dell’integrazione europea. Con la moneta unica abbiamo forgiato legami che sono sopravvissuti alla peggiore crisi economica dalla seconda guerra mondiale. È facile sottostimare la forza di questo impegno politico che ci ha tenuto insieme per 60 anni in tempi difficili, quando vi è la forte tentazione di rivoltarsi contro i propri vicini o di cercare soluzioni nazionali”.
- “La sovranità nazionale resta in molti aspetti l’elemento fondamentale di ciascun governo. Ma per le sfide che trascendono i confini nazionali, l’unico modo per difendere la sovranità è che noi Europei la condividiamo all’interno dell’UE”.
- “L’Euro è irrevocabile”.
- “Mai dimenticando di affermare che lui non era un politico, Carlo Azeglio Ciampi ha restituito alla politica la sua dignità più alta”.
Il primo discorso di Mario Draghi al Parlamento
Il 17 febbraio 2021, il presidente del Consiglio Mario Draghi ha tenuto il suo primo discorso al Senato in occasione del voto di fiducia al suo governo. Di seguito, alcuni dei passaggi più importanti del suo discorso (qui il testo integrale).
Il primo pensiero che vorrei condividere, nel chiedere la vostra fiducia, riguarda la nostra responsabilità nazionale. Il principale dovere cui siamo chiamati, tutti, io per primo come presidente del Consiglio, è di combattere con ogni mezzo la pandemia e di salvaguardare le vite dei nostri concittadini. Una trincea dove combattiamo tutti insieme. Il virus è nemico di tutti. Ed è nel commosso ricordo di chi non c’è più che cresce il nostro impegno.
Prima di illustrarvi il mio programma, vorrei rivolgere un altro pensiero, partecipato e solidale, a tutti coloro che soffrono per la crisi economica che la pandemia ha scatenato, a coloro che lavorano nelle attività più colpite o fermate per motivi sanitari. Conosciamo le loro ragioni, siamo consci del loro enorme sacrificio e li ringraziamo. Ci impegniamo a fare di tutto perché possano tornare, nel più breve tempo possibile, nel riconoscimento dei loro diritti, alla normalità delle loro occupazioni. Ci impegniamo a informare i cittadini con sufficiente anticipo, per quanto compatibile con la rapida evoluzione della pandemia, di ogni cambiamento nelle regole.
Il Governo farà le riforme ma affronterà anche l’emergenza. Non esiste un prima e un dopo. Siamo consci dell’insegnamento di Cavour:”… le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”. Ma nel frattempo dobbiamo occuparci di chi soffre adesso, di chi oggi perde il lavoro o è costretto a chiudere la propria attività.
Nel ringraziare, ancora una volta il presidente della Repubblica per l’onore dell’incarico che mi è stato assegnato, vorrei dirvi che non vi è mai stato, nella mia lunga vita professionale, un momento di emozione così intensa e di responsabilità così ampia. Ringrazio altresì il mio predecessore Giuseppe Conte che ha affrontato una situazione di emergenza sanitaria ed economica come mai era accaduto dall’Unità d’Italia.
Si è discusso molto sulla natura di questo governo. La storia repubblicana ha dispensato una varietà infinita di formule. Nel rispetto che tutti abbiamo per le istituzioni e per il corretto funzionamento di una democrazia rappresentativa, un esecutivo come quello che ho l’onore di presiedere, specialmente in una situazione drammatica come quella che stiamo vivendo, è semplicemente il governo del Paese. Non ha bisogno di alcun aggettivo che lo definisca.
Riassume la volontà, la consapevolezza, il senso di responsabilità delle forze politiche che lo sostengono alle quali è stata chiesta una rinuncia per il bene di tutti, dei propri elettori come degli elettori di altri schieramenti, anche dell’opposizione, dei cittadini italiani tutti. Questo è lo spirito repubblicano di un governo che nasce in una situazione di emergenza raccogliendo l’alta indicazione del capo dello Stato.
La crescita di un’economia di un Paese non scaturisce solo da fattori economici. Dipende dalle istituzioni, dalla fiducia dei cittadini verso di esse, dalla condivisione di valori e di speranze. Gli stessi fattori determinano il progresso di un Paese.
Si è detto e scritto che questo governo è stato reso necessario dal fallimento della politica. Mi sia consentito di non essere d’accordo. Nessuno fa un passo indietro rispetto alla propria identità ma semmai, in un nuovo e del tutto inconsueto perimetro di collaborazione, ne fa uno avanti nel rispondere alle necessità del Paese, nell’avvicinarsi ai problemi quotidiani delle famiglie e delle imprese che ben sanno quando è il momento di lavorare insieme, senza pregiudizi e rivalità.
Nei momenti più difficili della nostra storia, l’espressione più alta e nobile della politica si è tradotta in scelte coraggiose, in visioni che fino a un attimo prima sembravano impossibili. Perché prima di ogni nostra appartenenza, viene il dovere della cittadinanza.
Siamo cittadini di un Paese che ci chiede di fare tutto il possibile, senza perdere tempo, senza lesinare anche il più piccolo sforzo, per combattere la pandemia e contrastare la crisi economica. E noi oggi, politici e tecnici che formano questo nuovo esecutivo siamo tutti semplicemente cittadini italiani, onorati di servire il proprio Paese, tutti ugualmente consapevoli del compito che ci è stato affidato.
Questo è lo spirito repubblicano del mio governo. La durata dei governi in Italia è stata mediamente breve ma ciò non ha impedito, in momenti anche drammatici della vita della nazione, di compiere scelte decisive per il futuro dei nostri figli e nipoti. Conta la qualità delle decisioni, conta il coraggio delle visioni, non contano i giorni. Il tempo del potere può essere sprecato anche nella sola preoccupazione di conservarlo.
Oggi noi abbiamo, come accadde ai governi dell’immediato Dopoguerra, la possibilità, o meglio la responsabilità, di avviare una Nuova Ricostruzione. L’Italia si risollevò dal disastro della Seconda Guerra Mondiale con orgoglio e determinazione e mise le basi del miracolo economico grazie a investimenti e lavoro. Ma soprattutto grazie alla convinzione che il futuro delle generazioni successive sarebbe stato migliore per tutti.
Nella fiducia reciproca, nella fratellanza nazionale, nel perseguimento di un riscatto civico e morale. A quella Ricostruzione collaborarono forze politiche ideologicamente lontane se non contrapposte. Sono certo che anche a questa Nuova Ricostruzione nessuno farà mancare, nella distinzione di ruoli e identità, il proprio apporto. Questa è la nostra missione di italiani: consegnare un Paese migliore e più giusto ai figli e ai nipoti.
Spesso mi sono chiesto se noi, e mi riferisco prima di tutto alla mia generazione, abbiamo fatto e stiamo facendo per loro tutto quello che i nostri nonni e padri fecero per noi, sacrificandosi oltre misura. È una domanda che ci dobbiamo porre quando non facciamo tutto il necessario per promuovere al meglio il capitale umano, la formazione, la scuola, l’università e la cultura. Una domanda alla quale dobbiamo dare risposte concrete e urgenti quando deludiamo i nostri giovani costringendoli ad emigrare da un paese che troppo spesso non sa valutare il merito e non ha ancora realizzato una effettiva parità di genere.
Una domanda che non possiamo eludere quando aumentiamo il nostro debito pubblico senza aver speso e investito al meglio risorse che sono sempre scarse. Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti. Esprimo davanti a voi, che siete i rappresentanti eletti degli italiani, l’auspicio che il desiderio e la necessità di costruire un futuro migliore orientino saggiamente le nostre decisioni. Nella speranza che i giovani italiani che prenderanno il nostro posto, anche qui in questa aula, ci ringrazino per il nostro lavoro e non abbiano di che rimproverarci per il nostro egoismo.
Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori.
Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione. Gli Stati nazionali rimangono il riferimento dei nostri cittadini, ma nelle aree definite dalla loro debolezza cedono sovranità nazionale per acquistare sovranità condivisa.
Anzi, nell’appartenenza convinta al destino dell’Europa siamo ancora più italiani, ancora più vicini ai nostri territori di origine o residenza. Dobbiamo essere orgogliosi del contributo italiano alla crescita e allo sviluppo dell’Unione europea. Senza l’Italia non c’è l’Europa. Ma, fuori dall’Europa c’è meno Italia. Non c’è sovranità nella solitudine. C’è solo l’inganno di ciò che siamo, nell’oblio di ciò che siamo stati e nella negazione di quello che potremmo essere.
Siamo una grande potenza economica e culturale. Mi sono sempre stupito e un po’ addolorato in questi anni, nel notare come spesso il giudizio degli altri sul nostro Paese sia migliore del nostro. Dobbiamo essere più orgogliosi, più giusti e più generosi nei confronti del nostro Paese. E riconoscere i tanti primati, la profonda ricchezza del nostro capitale sociale, del nostro volontariato, che altri ci invidiano.
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