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    Revelli a TPI: “Meloni sta realizzando una rivoluzione conservatrice mai riuscita a nessuno in Italia”

    “Per un secolo la sinistra è stata progresso, rivoluzione sociale e diritti. Poi la globalizzazione ha rotto il fronte degli ultimi. E s’è imposta l’egemonia neoliberista"

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 27 Gen. 2023 alle 16:00

    Marco Revelli, a te che studi da mezzo secolo la storia sociale della sinistra ecco una domanda complessa che richiede una risposta semplice.
    «Oddio, quale?»

    Cos’è oggi, secondo te, la carta dei valori dei Progressisti? E soprattutto: in cosa questi valori ancora oggi si distinguono da quelli della destra?
    (Sospiro e sorriso). «Ehhh… la domanda è davvero complessa, ma provo a raccogliere la tua sfida. La semplicità che tu chiedi, fra l’altro è alle nostre spalle».

    Cosa vuoi dire?
    «Che la sinistra, ma sarebbe meglio dire “le” sinistre, nel Novecento, sono state una potentissima fucina di sintesi e di slogan perfetti. Ma per risponderti, fra le tante parole d’ordine, vorrei tornare a illuminare una triade che da anni non sento nominare più». 

    Quale?
    «La destra, nel bene o nel male, gira da almeno cento anni intorno al trittico “Dio, Patria e Famiglia”. Che, se ci pensi, va bene da Mussolini alla Meloni…». 

    Ah ah ah. E la sinistra?
    «Ha ballato per intere stagioni intorno a una bellissima terna di priorità: “Pane, Lavoro e Pace”. Mi raccomando, mettici le maiuscole». 

    Curioso che questa triade sia stata dimenticata, perché è ancora molto attuale.
    «Che sia attuale non c’è dubbio: ma prova oggi a declinare la parola “Pace” sul caso ucraino, ed ecco che ti ritrovi un pezzo di classe dirigente moderata che insorge o accampa distinguo». 

    Non è curioso che la destra, con tutte le sue mutazioni, abbia meno difficoltà della sinistra a stabilire una linea di continuità con la propria storia ideale?
    «Vero. Anche questa è una bella suggestione, che però richiede una risposta più lunga. Quante pagine abbiamo a disposizione?». 

    Marco Revelli: sociologo, storico, editorialista, carne e sangue nella storia intellettuale della sinistra italiana. La persona più indicata, come si vede dalle prime battute per rispondere alle grandi questioni che dopo la vittoria del centrodestra del 25 settembre sono sul tavolo. 

    Abbiamo spazio e tempo.
    «E allora ecco il tema: nel Novecento – grazie alla semina di Marx ed Engels, e di decine di pensatori – la sinistra era diventa una filosofia della storia in cui una solida idea di progresso illuminava il cammino di una lotta dura, che però prometteva un cammino di emancipazione e uguaglianza». 

    C’era una fede laica, ma quasi messianica a sostenere questo percorso!
    «Certamente. Però c’era anche uno strepitoso raccolto di vittorie a deporre a favore di chi proponeva questo lungo viaggio: conquiste, diritti, rappresentanza elettorale crescente, elementi di welfare, benessere diffuso». 

    Ed ecco che dalla carboneria dell’Ottocento, e dalle borghesie cadette e illuminate del 1848, si passa ai partiti di massa del Novecento.
    «Per un secolo il racconto è stato perfetto: un’avanzata inesorabile sul percorso, rettilineo del tempo, che produceva enormi salti nel benessere delle persone: penso ai cicli vincenti del dopoguerra, negli anni Quaranta e Cinquanta e – anche in Italia – alla grande stagione delle conquiste economiche e civili, prodotta dalle lotte degli Sessanta».

    Cos’altro c’era?
    «Un patto importante, di cui ora, a ben vedere, non esiste più memoria». 

    Cioè?
    «Classi dirigenti responsabili, e oserei dire integerrime di fronte ai loro sostenitori e compagni».

    Quali?
    «Quelle della lotta eroica contro lo sfruttamento nei primi anni del secolo scorso, quella di chi subito dopo si era forgiato in clandestinità opponendosi al fascismo, quella della “scelta di vita” che portava i figli della borghesia ad abbracciare la causa degli ultimi. Tutto questo, intendo soprattutto il legame di garanzia e di fiducia, a parte casi singoli, sembra oggi svanito». 

    Però la differenza tra destra e sinistra non è evaporata…
    «La destra, se devo semplificare, è stata – sotto mille camuffamenti – una idea di difesa delle forme sociali costruite intorno al privilegio e alla conservazione. La sinistra, invece, prometteva progresso, rivoluzione sociale e diritti». 

    Cosa ha messo in crisi questo racconto?
    «In primo luogo un macrofenomeno: la globalizzazione. La concorrenza planetaria della forma lavoro a basso costo, come primo effetto, ha smontato una ad una le garanzie sociali e i poteri di controllo costruiti dalla socialdemocrazia». 

    E poi?
    «La globalizzazione, e anche la rivoluzione digitale, hanno rotto il legame di solidarietà degli ultimi mettendo i poveri del mondo in concorrenza gli uni contro gli altri».

    Come è accaduto?
    «Le grandi garanzie degli anni Cinquanta e degli anni Settanta sono saltate perché saltavano i rapporti di forza costruiti dentro gli Stati-nazione».

    E infine?
    «Una ideologia di destra, il neoliberismo, ha imposto una sua egemonia culturale. Tornano a crescere le disuguaglianze, si smontano le garanzie sociali, e nel nostro piccolo mi preme ricordare che il  Jobs Act lo fa Renzi, non Berlusconi».

    Ti preme?
    «Sì, perché le garanzie vengono abbattute da uno che era presidente del Consiglio e insieme segretario del Pd. Lì si rompe il legame di fiducia profondo. E – se ci pensi – se la globalizzazione mette  in discussione il pane, il neoliberismo di sinistra combatte il lavoro, nella forma che avevano conosciuto nel Novecento: ecco la precarietà e il nuovo sfruttamento». 

    Perché lo fa Renzi?
    «Ehhhhh…. Sai che la migliore risposta a questa domanda l’ha data Agnelli: “Ci vuole un governo di sinistra per fare politiche di destra”». 

    Anche la destra si è divisa tra un’anima sociale d una liberista.
    «Ma la destra non ha grandi problemi di coerenza con se stessa: la destra è pragmatica, e naturalmente gerarchica. Su tutto prevale sempre il leader».

    E poi?
    «Ha sofferto meno della sinistra le conseguenze della globalizzazione. Pensa alla lotta contro il Reddito di cittadinanza. La destra aderisce facilmente a qualsiasi fatto che sancisca la differenza tra i forti e i deboli». 

    Però la Meloni si è imposta con una critica del neoliberismo forse più radicale di quella delle classi dirigenti di sinistra.
    «Sai, io non mi dimentico che Mussolini nella sua vita ha detto tutto e il contrario di tutto: pacifista e interventista, repubblicano acceso e monarchico osservante, con i latifondisti e gli agrari prima, ma poi repubblichino e insieme sociale nella Rsi». 

    Usi Mussolini per spiegare la Meloni?
    «Non ti ha stupito il modo repentino in cui è passata dai panni di oppositrice a quelli di erede di Draghi?».

    Cosa vuoi dire?
    «Che io non la sottovaluto: penso che la sua nuova destra stia realizzando un Italia una rivoluzione conservatrice che a nessuno era riuscita». 

    Perché la destra sociale in passato era elitaria mentre lei è popolare.
    «Uno degli aspetti proteiformi delle tante destre populiste che ho studiato, da Trump a Orbàn, dalla Le Pen a Bolsonaro è la capacità di mutare». 

    E poi che altro?
    «La debolezza delle classi dirigenti della sinistra ha permesso a questa nuova destra di imporre una nuova forma egemonica». 

    Perché la Meloni ripete che non tocca i diritti?
    «Perché gli italiani non vogliono perdere quello che hanno. I diritti non sono, come pensano i liberali, una proiezione delle libertà assoluta dell’individuo, ma un riconoscimento dei principi egualitari nell’altro. Ecco perché la sinistra continua a presidiarli».  

    Mi dicevi di “Dio, Patria e Famiglia”. La Meloni è questo?
    «Ti stupisce? Nel dna della propria cultura politica Fratelli d’Italia ha il fascismo». 

    Sarebbe meglio dire il Msi.
    «Chi si è iscritto al Msi ha aderito ad una storia che, nel tempo della repubblica, era in continuità con un ventennio. Per me, se vuoi, è una scelta più grave di chi diventò fascista perché era cresciuto sotto una dittatura». 

    Loro dicono: «Siamo nati dopo».
    «Per me non è un attenuante ma una aggravante». 

    E gli attuali gruppi dirigenti della sinistra?
    «Per loro non è un problema».

    Addirittura?
    «Sono stati a guardare per un anno la resistibile ascesa di Fratelli d’Italia. Sapevano che bastava poco per fermarli, ma non hanno mosso un dito». 

    La Meloni durerà vent’anni?
    «Questo è un Paese volubile. Se le bollette e la benzina continuano a crescere gli italiani potrebbero incazzarsi. I cicli dei leader, da Monti a Draghi, sono stati brevissimi». 

    La Meloni ha la determinazione che alla sinistra manca.
    «Ha dalla sua quella che Gobetti chiamava “l’autobiografia della nazione”».  

     E la sinistra ha qualcosa in più?
    «Una bellissima immagine che rubo a Bobbio: “La capacità di indignarsi di fronte allo scandalo delle disuguaglianze”. Aggiungilo a quelle tre bellissime parole e hai tutto».

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