Nell’ultimo anno un italiano su tre, quasi 14 milioni di persone, ha rinunciato a una o più cure mediche. La percentuale sale al 37,5% al Sud e nelle Isole. Lo afferma un’indagine commissionata da Facile.it agli istituti mUp Research e Norstat. Le ragioni per cui si sceglie di non curarsi sono legate nel 64% dei casi ai tempi di attesa troppo lunghi e nel 60% al costo elevato delle prestazioni.
Numeri così alti non sorprendono, se si considera che, come spiegato dallo studio, chi nell’ultimo anno si è curato solo attraverso il Sistema sanitario nazionale ha affrontato, in media, liste di attesa di circa 77 giorni, valore influenzato anche dalla scarsità di personale medico nelle strutture pubbliche.
La domanda adesso è: cambieranno le cose grazie agli interventi messi in campo dalla manovra finanziaria del Governo?
Critiche
Dopo l’approvazione da parte del Consiglio dei ministri, la scorsa settimana è stata resa pubblica la bozza di testo della legge di Bilancio. Per il comparto della Sanità, come annunciato, è stato previsto un incremento del Fondo nazionale di 3 miliardi per il 2024, di 4 miliardi per il 2025 e di 4,2 miliardi a partire dal 2026.
Lo scorso 17 ottobre, in Commissione Affari sociali del Senato, il ministro Orazio Schillaci aveva parlato di «3,3 miliardi, per un totale incremento nell’anno di 5,6 miliardi». Pubblicata la bozza, Schillaci si è detto «soddisfatto»: «Ci sono 3,3 miliardi in più rispetto ai 2,3 già stanziati, è un risultato che non avveniva da vent’anni». Parole che intendono dare una risposta a quanti nei giorni precedenti avevano evidenziato i punti critici della manovra sul versante Sanità.
Tra i primi ad andare all’attacco, i senatori e deputati del Movimento 5 Stelle, che hanno espresso in una nota le loro perplessità: «Abbiamo letto con grande interesse i dati dell’Istat e dei sondaggi pubblicati da diversi quotidiani. Il quadro che emerge è disastroso e la dice lunga su quanto il Governo sia lontano anni luce dalla realtà del Paese. I numeri parlano chiaro: la fiducia dei cittadini nella Sanità pubblica è ai minimi storici, al 52%, superata dal sistema provato che può vantare il 61%. L’esecutivo sta riuscendo nel suo intento di smantellare il Servizio sanitario nazionale. E nel frattempo, oltre 22 milioni di persone, il 40% degli italiani, sono costrette ad attendere mesi e a volte purtroppo anni per ricevere le cure. E le alternative non sono molto più agevoli, visto che c’è chi si trova costretto a cambiare Regione per trattare malattie gravi».
«Secondo il sondaggio dell’Istituto Noto – proseguono i pentastellati – addirittura due cittadini su tre si sono visti costretti a pagare per accedere alle visite nel privato, accettando di impoverirsi per curarsi. Ma soprattutto restano milioni gli italiani che scelgono di rinunciare direttamente alle cure. Numeri assolutamente inaccettabili. E il Governo cosa fa? Continua a tagliare la Sanità pubblica».
«L’unica mossa condivisibile inserita in manovra – scrivono i parlamentari M5S – è il rinnovo dei contratti del personale, che però non è nemmeno lontanamente sufficiente per ridurre il gap con i colleghi degli altri Paesi europei. Senza contare il fatto che gli stessi operatori sanitari non chiedono di essere pagati per lavorare di più, ma di avere più colleghi per poter lavorare su turni più umani. Di fronte a tutto questo, Meloni e i suoi continuano a vantarsi di fantasiosi stanziamenti storici, dimostrando di essere completamente fuori dalla realtà e molto pericolosi per il futuro del nostro Ssn».
Nodi
Chi invece difende la manovra è ovviamente la premier Giorgia Meloni: «Sono menzogne le cose ascoltate negli scorsi giorni», ha dichiarato presentando i numeri in conferenza stampa. «Noi raggiungiamo il più alto investimento mai previsto in Sanità». Peccato che non sia così.
Se è vero che sono previsti 3 miliardi di euro in più rispetto allo stanziamento dello scorso anno, non solo rispetto al Pil vi è un arretramento dello 0,3%, ma quelle risorse dovrebbero andare a finanziare tutto, compresa la detassazione degli straordinari per gli operatori sanitari e l’abbattimento delle liste d’attesa attraverso anche il ricorso ai privati.
Nulla per il piano di assunzione straordinario, nulla per superare il tetto di spesa per il personale, ma circa 600 milioni andranno – appunto – ai privati. Non solo: probabilmente quei 3 miliardi non saranno nemmeno sufficienti a compensare l’aumento dei costi da inflazione.
Entrando nel dettaglio, a stroncare in maniera netta gli annunci del Governo riguardo a maggiori investimenti nel Servizio sanitario nazionale ci pensa ancora una volta la Fondazione Gimbe, che ha analizzato la bozza della legge di Bilancio: «I 3 miliardi di euro in più alla Sanità sono assorbiti quasi esclusivamente dal rinnovo dei contratti del personale», rileva la fondazione presieduta da Nino Cartabellotta.
«Poi, negli anni a seguire, nessun rilancio del finanziamento pubblico. E anche sulle liste di attesa le misure sono insufficienti, si appoggiano sul “collo di bottiglia” dei medici e su maggiori soldi ai privati, quando invece servirebbero “coraggiose riforme”».
Pur avendo «soddisfatto quasi interamente le richieste delle Regioni e del ministro Schillaci», che chiedevano un aumento di 4 miliardi, la realtà – osserva Cartabellotta – è meno soddisfacente: «Di fatto, 2,4 miliardi dovrebbero essere destinati ai rinnovi contrattuali 2022-2024 del personale dipendente e convenzionato, lasciando ben poche risorse per le altre priorità. Soprattutto la manovra non lascia affatto intravedere un progressivo rilancio del finanziamento pubblico».
Dopo il balzo in alto del 2024, infatti, «tornano le cifre da “manutenzione ordinaria” con incrementi talmente esigui che nel 2025 e nel 2026 che non copriranno nemmeno gli aumenti legati all’inflazione». In altri termini: «L’aumento del Fabbisogno sanitario nazionale disposto dalla legge di Bilancio sostanzialmente conferma le stime della Nadef 2023 sulla spesa sanitaria, che per il triennio 2024-2026 prevedevano una progressiva riduzione del rapporto tra spesa sanitaria e Pil, che precipita nel 2026 al 6,1% (dall’attuale 6,8%, ndr)».
Per quanto riguarda l’abbattimento delle liste di attesa, sono tre le misure previste. Prima: il rifinanziamento dei Piani operativi regionali per l’abbattimento delle liste d’attesa, per il quale tuttavia la bozza «non indica la cifra, ma fa riferimento ad una quota non superiore allo 0,4% del finanziamento», che corrisponderebbe a circa 520 milioni.
Seconda: gli incrementi delle tariffe orarie delle prestazioni aggiuntive di medici e personale sanitario del comparto, con uno stanziamento di 280 milioni di euro per ciascuno degli anni 2024, 2025 e 2026. Terza misura: l’aggiornamento del tetto di spesa per gli acquisti di prestazioni sanitarie da privati.
«La bozza della Manovra non indica la cifra, ma indica un incremento della spesa consuntivata nel 2011 dell’1% per il 2024, del 3% per il 2025 e del 4% a decorrere dal 2026», spiega Gimbe. «È necessario sottolineare – rimarca Cartabellotta – che tutte le misure sono a valere sul Fabbisogno sanitario nazionale, ovvero rappresentano solo indicazioni di spesa per le Regioni nell’ambito del finanziamento assegnato, ma non costituiscono risorse aggiuntive».
Pilastri a rischio
Dure critiche arrivano anche dal Pd, per voce di Stefania Bonaldi, membro della segreteria nazionale del partito: «La presidente Meloni illustra in cifre assolute le risorse destinate alla Sanità nella manovra e ridicolizza chi fa “il giochetto che è stato fatto di dire che scende in rapporto al Pil”. Peccato dimentichi di considerare l’aumento smisurato dell’inflazione di questi anni, che ha diminuito nettamente il potere d’acquisto. Se infatti viene rapportata la spesa sanitaria all’aumento dei prezzi, risulta evidente come l’investimento sulla Sanità non salga con la manovra».
«Invece di pronunciare la parola “assunzioni”, questa sì sparita dal gioco dell’illusionista Meloni – conclude l’esponente dem – si chiedono più ore a un personale stremato da una carenza di organico drammatica, da un peggioramento senza eguali delle condizioni lavorative e da un tetto di spesa sul personale oggi inaccettabile».
La strada per un cambiamento appare dunque ancora lunga e popolata di insidie. Citando il l presidente della Fnomceo (Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri), Filippo Anelli, «quando la legge che istituiva il Ssn, il Servizio Sanitario Nazionale, arrivò in Parlamento il 23 dicembre 1978, la ministra Anselmi fu chiara nel rendere esplicito il fatto che la riforma era frutto del sentire ampio del Paese: “La riforma è frutto dell’iniziativa del movimento operaio”, ossia della parte più discriminata del Paese in tema di salute e si basa su quattro principi cardine: “Globalità delle prestazioni, universalità dei destinatari, eguaglianza del trattamento, rispetto della dignità e della libertà della Persona”». Oggi, dopo 45 anni, possiamo dire che quei principi sono sempre più lontani.
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