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    De Magistris: Sono stato fatto fuori da Palamara e dal suo sistema. Ora lo dice anche lui

    Di Claudio Sabelli Fioretti
    Pubblicato il 12 Lug. 2021 alle 14:05

    Fu al centro di incredibili polemiche e di violente diatribe quando, magistrato in Calabria, tentò di trascinare in tribunale politici, imprenditori ma soprattutto suoi colleghi magistrati. Luigi De Magistris. Di sinistra ma non organico. Anzi la sinistra ufficiale lo detestava. Come detestava qualsiasi giudice che non si limitasse ad indagare Berlusconi ma osava indagare anche dalle parti degli ex comunisti. Ricordate WhyNot? Poseidon? Toghe Lucane? De Magistris era tosto. E perse. Lo presero di punta e gli tolsero praticamente tutto. Le sue inchieste. La sua professione. La sua città. Usando una sua espressione, gli polverizzarono la carriera sommergendolo con una salva di processi, indagini, interpellanze. Il sistema aveva reagito pesantemente a chi aveva osato mettere becco nei suoi gangli.

    Ma Luigi De Magistris era tosto. Si presentò alle elezioni europee. Risultò eletto in tutte le circoscrizioni, con un diluvio di voti, secondo solo a Silvio Berlusconi. Sull’abbrivio del successo politico, assolto da tutte le accuse e in tutti i processi, si presentò nel 2011 alle elezioni per il sindaco di Napoli. Un trionfo. “Amm’ scassat’!” urlò ai suoi elettori festanti. Di nuovo nel 2016. Di nuovo trionfo. Fra qualche mese l’impresa impossibile. Le elezioni per la presidenza della Regione Calabria. Come al solito contro tutti, contro il centrodestra e contro il centrosinistra. Da eroe solitario. Lo avevo intervistato ai tempi dei casini calabresi, nel 2008. E poi avevo avevo scritto con lui un libro-intervista (“Di lotta e di governo”), nel 2011. Qualche giorno fa nuova intervista, una di quelle che nella mia room di Clubhouse faccio ogni tanto insieme ai miei amici “Cazzoni Stonati” ripercorrendo le domande delle precedenti interviste. È sempre lo stesso, il De Magistris tosto. “Luigi, se diventerai Presidente della Calabria…” Domanda sbagliata, interrompe il tosto. Dovevi dire: “Quando diventerai Presidente della Calabria”.

    Sindaco, sei più Calabria o più Campania?
    Io sono nato a Napoli, davanti al mare, orgogliosamente napoletano nell’animo, però sono anche legatissimo alla Calabria alla quale sono legatissimo fin da quando ero bambino. Poi mia moglie è calabrese. La Calabria è una regione avvincente sul piano del legame con la natura.
    Hai passato la tua vita e contrastare i soprusi ma contemporaneamente ti sei impegnato nell’amministrazione della cosa pubblica e della giustizia. Adesso sei più di lotta o di governo?
    Entrambi. Ho imparato che le insidie più grosse vengono dalle istituzioni. Quasi trent’anni di istituzioni mi hanno insegnato che le persone libere senza prezzo all’interno delle istituzioni sono una minoranza e quindi devi essere molto di lotta anche se governi.

    Durante i casini “calabresi” mi dicesti: se vogliono che vada via debbono cacciarmi. E infatti ti hanno cacciato.
    Mi hanno trasferito per incompatibilità ambientale e mi hanno sottratto le funzioni di pubblico ministero.
    Non è stato un grande successo.
    A distanza di 15 anni ormai in tutte le sedi, compreso il Csm, si ammette che io fui fatto fuori perché non facevo parte del sistema. Lo ha detto e scritto anche Palamara.
    Ma allora, dissero, eri incompatibile con l’ambiente.
    E avevano ragione. Infatti cacciando me che indagavo contro la corruzione, hanno lasciato i collusi e i corrotti in Calabria.
    L’interdizione alla funzione di Pm è un caso unico. In quel momento solo il giudice Chionna era stato vittima di quella sanzione. Lui aveva arrestato Sabani e si era messo con la sua fidanzata.
    La cosa incredibile è che il Csm mi trasferì nonostante sapesse benissimo, perché glielo avevano detto i magistrati di Salerno che indagavano sulle storie di Calabria per competenza territoriale, che io stavo agendo con correttezza e che ero vittima di ingerenze illegittime. Io mi ero trovato ad indagare su un vasto schieramento politico trasversale, centrosinistra e centrodestra.
    Solo quello?
    Purtroppo erano coinvolti molti magistrati, appartenenti a correnti diverse. Il sistema andò in corto circuito. Si sono legati magistratura, Csm, organi ispettivi del ministero, la politica, la borghesia mafiosa, molta massoneria deviata, più la ‘ndrangheta tradizionale. Meno male che è accaduto nel 2007. Se avessi fatto quelle cose 15 anni prima le conseguenze avrebbero potuto essere diverse.

    Si potrebbe dire che te la sei andata a cercare.
    Non era mai accaduto nella nostra storia del dopoguerra. Si mossero tutti, dal Quirinale al Csm, al ministero della giustizia, alle correnti, agli organi ispettivi e disciplinari.
    Ti sei fatto qualche domanda?
    Una: perché avevano così paura se come dicevano io non valevo niente? Se le inchieste che io avevo fatto erano campate in aria? Se ero un cattivo magistrato c’era veramente bisogno di tutto quel tritolo istituzionale per farmi fuori?
    Tritolo istituzionale?
    Io venni fatto fuori non con le pallottole ma con la legalità formale. Fu un salto di qualità. E fecero fuori anche i magistrati di Salerno che avevano indagato su di me e mi avevano dato ragione. La mia bravura fu di evitare che questo tritolo istituzionale passasse col silenziatore. Se non ci fossero stati alcuni giornalisti liberi e indipendenti, se non ci fosse stata una Calabria che alzò la testa, se non ci fossero stati i centomila calabresi che raccolsero le firme in mia difesa, il mio linciaggio sarebbe passato sotto silenzio.

    Tu mi dicesti allora che i giudici dovrebbero cambiare città dopo un po’. Mi dicesti: dopo venti anni i giudici non vedono nemmeno l’abuso edilizio di fronte a casa loro.
    Forse anche meno di venti anni. Sono fortemente convinto della necessità della mobilità dei magistrati. Non puoi stare per venti anni sempre nello stesso posto. Adesso è un po’ cambiato. Prima trovavi procuratori che si sentivano padroni assoluti del territorio. Se tu stai sempre nello stesso posto ti abitui ad esercitare il potere guardando non più alla legge uguale per tutti e all’interesse collettivo ma al salotto che frequenti.
    Mi raccontasti di quella volta che eri andato a mangiare al ristorante e nel tavolo vicino c’era il giudice insieme al suo imputato. Ricordi?
    E chi se lo scorda. Era un processo molto delicato che riguardava imputati eccellenti tra cui un notissimo costruttore calabrese. Pochi giorni prima una giudice aveva mandato prosciolti gli imputati tra i quali questo costruttore. Un paio di giorni dopo in un noto ristorante della costa catanzarese nel tavolo vicino a quello dove mangiavo con mia moglie e mio figlio vidi la giudice, il marito, il costruttore e la moglie. Un valore simbolico enorme in un territorio come quello calabrese. Significa dire: questi sono i salotti, questo è il potere. Se si percepisce che un pezzo di magistratura è dentro ad un sistema deviato c’è un crollo democratico che non sfugge a nessuno.
    Quel pranzo era un messaggio alla popolazione.
    Era un processo che stava tutti i giorni sulle prime pagine. Un proscioglimento che destò anche un particolare meraviglia in molti perché gli elementi a carico erano molto solidi quantomeno per fare il processo. C’è la sentenza di proscioglimento in udienza preliminare e tu vai a cena con l’indagato prosciolto? Quantomeno inopportuno. Io non voglio dire che quella cena avesse a che fare con la mafia. Non vorrei essere equivocato. Però era un gesto simbolico potente.

    Dissero di te: De Magistris manca di serenità e di equilibrio.
    Sono rimasto equilibrato al punto di inventarmi una nuova vita. Credo di aver superato qualsiasi test psicoattitudinale e di aver dimostrato il mio equilibrio. Sono il magistrato che ha collezionato il maggior numero di interrogazioni parlamentari, il maggior numero di indagini ispettive. Ho reso settanta interrogatori alla Procura di Salerno.
    Qualcuno ti ha mai chiesto scusa?
    No. Di quelli che sono stati responsabili della situazione che ha cambiato la mia vita, nessuno. Mi fa piacere che alla fine si sia messo tutto a posto, Palamara ha confessato, il Csm ha rivisto. Si dice che il tempo è galantuomo. Ma alla fine che significa? È grave che non ci sia nessuno all’interno delle istituzioni che chieda mai scusa. Ma non mi meraviglia. Credo ancora nelle istituzioni. E non sono diventato ancora anarchico. Quando dovessi rendermi conto che non ci sono più spazi per cambiare questo Paese dall’interno delle istituzioni, mi dedicherò ad altro.
    Altro cosa?
    Farò l’agricoltore.
    Io ti dissi: sei una toga rossa e tu rispondesti: sono una toga anarchica.
    Tu sei stato un bravo giornalista perché hai colto una frase che io provocatoriamente avevo detto. Io intendevo dire: interpreto in maniera talmente profonda i principi di autonomia e indipendenza della magistratura che non è solo autonomia dall’esterno, diciamo dalla politica, ma anche dall’interno, dalle correnti, dei capi degli uffici che colludevano con ambienti malavitosi. Talmente autonomo, talmente autonomo che potevo apparire anarchico. Fu una provocazione. Tu la cogliesti ed io mi presi un procedimento disciplinare.
    Tu dicesti allora che la sentenza del Csm era inaccettabile. Non avresti dovuto essere più “socratico” e accettare la sentenza delle istituzioni?
    Ed infatti io l’ho accettata. Ma l’ho criticata. L’ho denunciata. Ho lottato. Non mi sono arreso. Un mio amico magistrato siciliano mi disse: hai perso ma non ti sei perso. Ho continuato a vivere con i miei ideali. Proprio per non aver accettato quella sentenza oggi il Csm ha dovuto ammettere che ci sono gli spazi per rivedere quella sentenza ingiusta. Luca Palamara, quando furono fermati i magistrati di Salerno che avevano accertato la correttezza del mio operato e le gravi interferenze illecite cui ero stato sottoposto, furono trasferiti anche loro e Luca Palamara che era il presidente di tutti i magistrati usò un termine che allora mi parve inquietante e mafioso. Disse: il sistema ha dimostrato di avere gli anticorpi. Cioè, quei magistrati che hanno osato mettere in discussione il sistema, entrando a guardare le nefandezze, hanno fatto reagire il sistema che aveva gli anticorpi. Oggi Palamara a distanza di dieci anni nel libro intervista ad Alessandro Sallusti più o meno confessa dicendo: io ho fatto parte di un sistema. Detto da un magistrato è inquietante. E a proposito della mia vicenda dice: De Magistris viene fatto fuori perché era fuori dal sistema. Così fu polverizzata la vita professionale mia e dei tre giudici di Salerno.

    Che giudizio dai di Palamara?
    Palamara parla, in parte, perché viene preso.
    Cioè?
    Fatte le dovute differenze è come quando un mafioso viene preso e comincia a collaborare. Fatte le dovute differenze. Lui è stato preso, cioè è stato individuato e ha cominciato in qualche modo a dichiarare. Però: ha dichiarato tutto?
    Lo domando io: ha dichiarato tutto?
    Non credo.
    E perché non parla di tutto?
    Lo domando io. Perché non fa i nomi di tutti quelli che fanno parte del sistema? Palamara è la punta dell’iceberg. Purtroppo una fetta enorme di magistrati, anche di magistrati stimabili, di magistrati perbene, sono dovuti entrare in quel sistema per poter diventare procuratori o presidenti di tribunale. Questa è una roba indegna perché la Costituzione garantisce l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. Non come privilegio ma come garanzia dell’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.
    Invece?
    Invece un magistrato che fa la fila per andare dal Palamara di turno per avere il posto di procuratore della repubblica è una cosa che non potrà mai garantire fino in fondo la sua indipendenza. E se i cittadini cominciano a perdere fiducia nella magistratura è l’inizio della fine dello stato di diritto. Purtroppo siamo in uno dei momenti più bassi.

    Ti sento più pessimista del solito.
    No. Nonostante tutto ci sono tanti magistrati perbene.
    Tu avresti fatto carriera se non fosse successo quello che è successo?
    Mai. Anche se non mi avessero fatto fuori sarebbe arrivato qualcuno che “apparteneva” a qualcuno e diventava procuratore al posto mio. L’indipendenza te la fanno pagare. Ti tengono al guinzaglio.
    Stai dicendo che per diventare Procuratore della Repubblica bisogna essere un po’ colluso?
    No. Aspetta. Non mi far prendere querele da tutti. Non succede sempre così. Ma questo è il sistema. Per poter diventare capo di un ufficio giudiziario, per potere avere copertura nei procedimenti disciplinari, devi cercare la corrente di riferimento. Se non fai parte del sistema correntizio, se non fai parte del sistema delle correnti del Csm, non diventi niente. Mai. Io trovo squalificante per un magistrato che aspira a fare carriera dovere andare a cercare l’appoggio del capocorrente di turno. E’ qualcosa che puoi capire nella politica, nei partiti, dove una certa forma di appartenenza la puoi capire. Ma nella magistratura no. Il magistrato non può appartenere a nessuno. Il magistrato è arbitro.
    Rovescio la domanda: senza appartenere ad una corrente si diventa Procuratore della Repubblica?
    Tendenzialmente no. Se non appartieni ad un filone correntizio resti fermo dove sei. Che non vuol dire che gli altri siano collusi. Per questo ho voluto fare il chiarimento. Poi ci sono anche i collusi. Quando devi qualcosa a qualcuno…
    Un magistrato indipendente, mi sembra di capire, è destinato ad una brutta fine.
    Sì. Un magistrato autonomo e indipendente, se si trova ad investigare sul sistema, tendenzialmente fa una brutta fine.

    Ti chiesi allora se c’era differenza in materia di giustizia fra il governo Berlusconi ed il governo Prodi. Tu mi dicesti no.
    Anche in tempi più recenti. Berlusconi è chiaro. Non ha mai nascosto le sue idee non amorevoli nei confronti della giustizia, della magistratura, non si è mai molto speso per la lotta alla corruzione e alle mafie. Ma lui ha un pensiero chiaro. Dalla parte opposta abbiamo assistito alla morale dei puri. Fino a quando si indagava su esponenti del centrodestra sentivi gli applausi della sinistra politica o dei loro referenti in magistratura. Poi quando mi sono ritrovato ad occuparmi di reati che appartenevano ad entrambe le aree allora non andava più bene. Questo moralismo a torcicollo direzionale di un certo centrosinistra è ancora più penoso di chi invece ti avversa in maniera chiara e lineare.
    Anche Clementina Forleo ebbe i suoi problemi quando si occupò della sinistra.
    Anche lei, come me, toccò dei punti che non doveva toccare e subì pesantissimamente la violenza istituzionale.
    E i magistrati di Salerno?
    Accadde una cosa gravissima che non si era mai vista nella storia della Repubblica. Quando i magistrati di Salerno andarono a fare atti investigativi importanti, compreso perquisizioni, nei confronti di magistrati di Catanzaro, i magistrati perquisiti invece di mettersi a disposizione dei loro colleghi che legittimamente indagavano, fecero il controsequestro degli atti che gli erano stati sequestrati. Cosa vietata per legge.
    Che cosa avrebbero dovuto fare?
    Avrebbero dovuto denunciare i magistrati di Salerno ad un’altra procura competente. È un po’ come se la polizia entra in una banca dove è in atto una rapina e i poliziotti vengono arrestati dai rapinatori. Questa cosiddetta guerra fra procure fu molto avallata dal Csm, da Palamara e dallo stesso Quirinale. La Procura generale della corte di appello di Catanzaro chiamò e chiese l’intervento del Quirinale.
    Io che sono un giornalista a schiena dritta e volevo provocarti ti chiesi: ma i giudici sono antropologicamente diversi come sostiene Berlusconi? Tu rispondesti sì.
    All’epoca ci stava. Lo dissi in risposta alla provocazione di Berlusconi. Io oggi utilizzerei una frase diversa. Mi viene in mente un bellissimo articolo di Domenico Starnone che scrisse: l’Italia è diventata il Paese della normale devianza. Dove i normali vengono fatti passare per sovversivi, ribelli, masanielli. E i devianti diventano normali. Se accade questo vuol dire che la lontananza fra legalità e giustizia è diventata molto forte. Se la devianza diventa normalità c’è bisogno di una insurrezione etica e culturale.

    Giri armato?
    No. Non ho mai avuto un’arma nella mia vita.
    Macchina blindata?
    Me l’avevano data ma non mi davano la benzina. Facevano di tutto per scoraggiarmi e farmi desistere. Ma più mi mettevano ostacoli più capivo che correvo dalla parte giusta.
    La Calabria è un laboratorio criminale, mi dicesti. Adesso tu vuoi diventare presidente di un laboratorio criminale?
    Quel sistema agiva e agisce come un laboratorio criminale. Adesso è diventato un laboratorio molto raffinato. Però sono testimone diretto della sete di giustizia enorme della gente di quella terra. Io ricordo la fila dei calabresi che aspettavano fuori della mia porta per denunciare fatti gravissimi. Alla faccia di quelli convinti che i calabresi fossero conniventi od omertosi. Evidentemente cominciavano ad avere fiducia in quello che facevamo. La Calabria ha bisogni di rompere quel sistema. Anche attraverso la politica. I calabresi vogliono mettere in campo una classe dirigente alternativa, libera, senza prezzo. Oggi è il laboratorio della costruzione di un’alternativa pulita.
    Scrivi ancora il diario?
    Lo scrivevo allora, per cautelarmi. Conteneva fatti, episodi, nomi. Lo consegnai ai magistrati di Salerno. Alcuni dei nomi appartenevano a persone che sono ancora ai vertici delle istituzioni. Altri a persone che sono poi finite in galera. Lo scrivevo giorno per giorno. Se mi fosse capitato qualcosa, leggendolo, si sarebbe capito tutto.
    Tu ti sei sempre dichiarato di sinistra. Ma la sinistra non ti ama mica tanto.
    Non mi amano quelli che dicono di essere di sinistra ma non fanno mai cose di sinistra.
    Comunque in Calabria non ti presenti con la sinistra. Ti presenti da solo.
    I partiti in questo momento sono gabbie. A me non piace stare con i partiti, piace stare con la gente.
    Appunto. Dicono che sei populista.
    Dicono che sono populista, è vero. Ma il populista strumentalizza il popolo. Io invece sto con il popolo.

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