Tonino Guerra, uno tra i più grandi sceneggiatori che il nostro Paese abbia mai conosciuto, ha detto più volte che “la realtà ha sempre molta più fantasia di noi”. Difficile trovare una massima più calzante per quanto è accaduto ad Arturo Lorenzoni, docente di economia Economia Applicata all’Università di Padova (città di cui è stato vicesindaco fino a luglio scorso). Candidato del centrosinistra alle regionali del Veneto contro Luca Zaia, a quindici giorni dalla fine della campagna elettorale è risultato positivo al Covid-19: “Se avessi dovuto raccontarlo – spiega Lorenzoni a TPI – non ci avrei creduto neanche io. Mi son sentito poco bene nella notte tra giovedì e venerdì di due settimane fa e sono andato subito a fare il tampone, preoccupato dei tanti appuntamenti pubblici della campagna elettorale. E il tampone è risultato positivo. Per fortuna non ho avuto complicazioni dal punto di vista polmonare, ma ho avuto febbre alta per nove giorni. Ora per fortuna sto molto meglio, sto tornando padrone di me stesso. Ammetto di aver avuto un po’ di paura perché nessuno conosce ancora bene tutti gli effetti della malattia”.
Certo una campagna elettorale già in salita si è trasformata in una vera e propria scalata.
Purtroppo sì, per fortuna oggi gli strumenti tecnologici ci consentono comunque di essere presenti, almeno in video. Ma soprattutto c’è una squadra che si sta muovendo tantissimo. Ovviamente non è come essere lì. Penso comunque che le persone abbiano capito il nostro sforzo di riunire tutta l’area democratica.
Dall’altra parte c’è Luca Zaia, da molti considerato il più moderato dei leghisti nonché l’anti-Salvini.
È innegabile che lui abbia una grandissima capacità comunicativa e questo lo ha aiutato a costruire questa immagine di “volto moderato”, ma la Lega è sempre la Lega: non possiamo pensare che esista una Lega di un tipo e una Lega di un altro. È sempre un partito protezionista sulle politiche economiche, che non guarda all’integrazione in Europa, che discrimina le perone.
C’è addirittura chi dice che Zaia potrebbe allearsi col Pd in una sorta di “campo largo” su scala nazionale. C’è del vero?
Purtroppo temo che ci sia del vero e penso che qualcuno ci stia lavorando: ma questa idea di dividere la Lega e di costruire una specie di “polo moderato” secondo me è molto pericolosa. Per inseguire il consenso elettorale si rischia di creare un mostro.
Pensa che dietro a questo progetto ci sia un lavoro dietro le quinte di Matteo Renzi?
C’è sicuramente, ma anche Carlo Calenda ha pronunciato delle parole di stima nei confronti di Zaia che mi hanno sorpreso. Anche una parte di Forza Italia so che guarda con interesse a questo “accrocchio”. Ripeto: non si può partire da un obiettivo elettorale senza parlare di contenuti.
Nel frattempo nel Pd già si mette in discussione Nicola Zingaretti, si parla di uno Stefano Bonaccini pronto a sostituirlo nel caso le regionali andassero male.
Io penso che il Partito Democratico, anche nella scelta di candidare me che non sono un dem, abbia dimostrato una visione e un’apertura. Per questo ritengo che oggi, alla vigilia delle elezioni, sia sbagliato porre delle condizioni all’attuale segretario. C’è bisogno di ricucire tutte le fratture che ci sono state in questi anni, perché non si può pensare di essere un’alternativa alla destra senza un Pd forte.
Quindi sarebbe favorevole all’idea di Bonaccini di far rientrare anche Renzi e Bersani.
Assolutamente. Dobbiamo invertire quella tendenza alla frammentazione che ha provocato dolori negli ultimi anni. È il progetto a cui sto lavorando anche io, perché bisogna rimettere insieme le forze: ciascuno con la sua identità e la sua particolarità.
Malgrado il voto su Rousseau, Pd e M5S hanno trovato l’accordo alle regionali solo in Liguria. Questo penalizza molto sia lei che Emiliano in Puglia e Mangialardi nelle Marche. Un errore?
Io con i Cinque Stelle avevo avviato una trattativa che si è rotta alla fine di febbraio, quando la situazione a livello nazionale era già tesa. A quel punto qualche centinaio di militanti ha votato su Rousseau ed è finita così. Peccato. Comunque confido negli elettori grillini del Veneto, perché ho un profilo molto compatibile con le loro battaglie: a Padova molti di loro mi hanno già votato perché le loro “stelle” legate all’ambiente, alle telecomunicazioni, all’energia, all’acqua, sono anche le mie.
Parliamo del Veneto. Quali sono i tre principali motivi per cui i veneti dovrebbero voltare pagina?
Dal punto di vista economico dobbiamo procedere con l’innovazione e l’integrazione: in questi ultimi anni c’è stato un immobilismo che ha penalizzato la nostra economia in modo drammatico. Proprio ieri Confindustria Veneto, nel suo “position paper”, ha lanciato un allarme sul futuro della nostra regione dopo l’emergenza, sottolineando che gli indicatori della nostra economia erano in sofferenza già prima del Coronavirus. Da economista condivido in pieno le loro riflessioni. Dal punto di vista ambientale abbiamo avuto una politica a dir poco latitante: non si può pensare di non agire per la tutela del territorio, le conseguenze come vediamo sono gravissime. E non c’è oggi una politica di tutela che tenga conto dei cambiamenti climatici, sia dal punto di vista del dissesto idrogeologico che urbanistico. Questa è anche una lacuna culturale pesante, che grava sul territorio e sul futuro della regione. Al terzo posto, a pari merito, metterei la sanità e i trasporti: sono due ambiti dove i servizi mancano e questo genera disagio sul territorio.
Eppure vulgata vuole che la sanità del Veneto abbia surclassato quella della Lombardia nella lotta al Coronavirus.
È vero, ma solo perché il modello di “lombardizzazione”, come lo definivano gli stessi leghisti fino a qualche mese fa, non è arrivato fino in fondo. Noi abbiamo una tradizione socio-sanitaria fortissima, ma che è in corso di smantellamento. È l’eredità delle amministrazioni democristiane degli anni ’80 e ’90 che avevano fatto un lavoro davvero visionario, prevedendo una presenza capillare della sanità sul territorio e una serie di servizi socio-sanitari diffusi. È stata la diga che ha contenuto le conseguenze della pandemia sul nostro territorio, ma è un qualcosa che negli ultimi dieci anni è stato depauperato. Ora dobbiamo invertire questa tendenza, perché già oggi ci sono zone periferiche senza servizi: come fa la gente a viverci?
Pensa che siate riusciti a smontare questa narrazione di un Veneto dove tutto va bene e in fondo non ci sono grandi problemi?
Questo ve lo dico martedì mattina.
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