Primavera del 2001, le famiglie italiane ricevono in dono un prezioso volumetto illustrato stile fotoromanzo. È Una storia italiana, il libro che promette di raccontare chi è davvero Silvio Berlusconi. Maggio 2016, viene pubblicato Secondo Matteo, la (quasi) autobiografia di Matteo Salvini. Maggio 2021, Giorgia Meloni esce in libreria con Io sono Giorgia, l’autobiografia con la quale si prepara a vincere le prossime elezioni. Sembra quasi che se si ambisce a guidare il centrodestra italiano ci sia un modo solo per farlo, non primarie, non congressi: autobiografie.
Va da sé che queste pubblicazioni vadano oltre l’autodichiarato compito di raccontarsi e diventano invece un manualetto per militanti, candidati e sostenitori. Un prontuario con tutti gli alternative facts per rispondere alle obiezioni della controparte.
Curiosamente il libro della leader di Fratelli d’Italia e quello di Salvini condividono l’incipit. Salvini che nel 2013 sale sul palco del congresso che lo investirà leader della Lega “mentre il pubblico intona il coro ‘Matteo Salvini, là là là là là là, Matteo Salvini!'”. Giorgia Meloni parte invece da quello di Piazza San Giovanni del 2019, quello dal quale lancerà il tormentone io sono Giorgia, sono una madre, sono una donna, sono italiana. Non sono le uniche somiglianze: come Salvini anche lei ha una certa nostalgia per i vecchi Nokia e si parla pochissimo di mafia o ‘ndrangheta.
Nel libro della Meloni c’è tutto: l’infanzia difficile, i traumi, il bullismo, la militanza nel Fronte della Gioventù. Ragazzi descritti come dei sognatori e dei rivoluzionari (ma nulla sulle croci celtiche). Dei tanti ex compagni del Fronte la Meloni dimentica di citare il vicepresidente di CasaPound Simone Di Stefano, che pure raccontò di averle fisicamente aperto la porta della sezione MSI della Garbatella.
Selvaggia Lucarelli ha fatto notare su TPI come il dettaglio di Giorgia Meloni che ha rischiato di essere abortita sia un po’ strano. Non tanto perché l’aborto fosse o meno illegale nel 1976 (la Meloni è nata a gennaio del 1977) quanto perché all’epoca era piuttosto raro fare gli esami clinici prima dell’interruzione di gravidanza. Ma tutto è possibile.
Il problema è quando la biografia cede il passo alla mistificazione della realtà. Perché un conto è raccontare la storia di Giorgia che a quattro anni dà fuoco alla casa (per errore), rinasce dalle sue ceneri e si mette a cavallo del drago della Destra italiana.
Un altro è raccontare ad esempio che Alberto Angela abbia fatto nel 2017 in RAI un elogio dei muri, quelli che dividono e separano. Quando in realtà aveva precisato che “Non è il muro il nostro nemico, ma l’uso che se ne fa”, precisazione convenientemente omessa.
Il senso di Giorgia per la vita
Oppure, tornando al tema dell’aborto, quando si scaglia contro le “multinazionali dell’aborto” descrivendo l’orrore di quello che chiama “aborto a nascita parziale”. Un termine che non esiste in ambito medico, che riguarda una pratica chirurgica (Intact dilation and extraction) che non viene utilizzata in Italia (ed era poco diffusa anche negli USA) dove si ricorre all’isterosuzione e al raschiamento (come dimostra questo report del Ministero della Salute). Nessuno in Italia ha mai chiesto di adoperare quella tecnica che la Meloni descrive. Ma soprattutto nessuno ne fa uso nel nostro Paese. Però è più comodo confondere le acque.
E non è l’unico caso. Nel 2018 ad Atreju arrivarono i genitori di Alfie Evans, un bambino britannico affetto da una rara malattia neurodegenerativa associata ad una grave forma di epilessia oggetto di un contenzioso legale tra i genitori e i medici che chiesero (e ottennero) dal giudice la sospensione dei trattamenti terapeutici che lo tenevano in vita. Con l’incredibile delicatezza che le deriva dall’essere mamma la Meloni scrive:
“se ci hanno detto che il papà di Eluana Englaro doveva essere libero di poter staccare la spina della macchina che la teneva in vita, dato che ‘nessuno sa meglio di un genitore cosa sia bene per i suoi figli’, lo stesso diritto non è valso per i genitori di Charlie Gard e Alfie Evans, bambini ai quali i medici hanno voluto staccare la spina rivolgendosi addirittura ai giudici perché fosse imposta per legge quella decisione alle famiglie?”.
Questa però è una mistificazione. La battaglia legale che vide protagonista il padre di Eluana Englaro non riguardava la richiesta da parte di Beppino Englaro che fosse sancito che lui sapeva cosa fosse meglio per la figlia. Fu invece un processo per stabilire e ricostruire (attraverso diverse testimonianze) se davvero Eluana avesse espresso – prima del suo incidente avvenuto 17 anni prima – il desiderio di non continuare a vivere attaccata ad una macchina qualora si fosse trovata in quella situazione. Fermo restando che Italia e Regno Unito hanno leggi differenti quindi il paragone è pretestuoso, non fu Beppino Englaro a decidere cosa era meglio per la figlia, esattamente come accadde per Charlie Gard e Alfie Evans.
Ma in questo modo la Meloni strumentalizza una vicenda drammatica che insieme ad altri casi bio-grafici simili contribuì ad avviare il lungo percorso che portò il nostro Paese a dotarsi nel 2017 della legge sulle Dichiarazioni Anticipate di Trattamento.
Sempre sul tema della famiglia Giorgia Meloni scrive che “in Italia non è consentita l’adozione ai single”. Ma non è vero, perché in casi particolari la legge consente l’adozione anche ai single. L’affido ai single invece è consentito, come sa bene il capogruppo di Fratelli d’Italia al comune di Ferrara che nel 2019 presentò una curiosa interrogazione per sapere “quanti bambini ad oggi siano stati affidati a persone single (e, tra queste, quante si dichiarino omosessuali) e quanti bambini a coppie omosessuali nel nostro comune”.
Per Giorgia Meloni i radical chic hanno ucciso Willy Monteiro Duarte
Nel capitolo Il razzismo del progresso Giorgia Meloni se la prende con i buonisti che vorrebbero farla passare per razzista o peggio ancora per fascista quando in realtà i veri razzisti sono loro. Non manca la stoccata al politicamente corretto ai figli di papà che distruggono “statue che ricordano eroi di guerra, memorie di nazioni” e che si scagliano “contro i grandi del passato, in nome di una riscrittura puritana della storia e della società” quando in realtà si abbattono statue di schiavisti o di re genocidi (Leopoldo del Belgio) e si chiede semplicemente di tenere in considerazione altre prospettive storiche.
Deve essere ben difficile per la Meloni coniugare la critica al colonialismo francese in Africa e far finta di non vedere come le potenze coloniali abbiamo scritto e insegnato una storia a senso unico.
Caso da manuale dell’ideologia buonista secondo la leader di Fratelli d’Italia è la vicenda dell’omicidio di Willy Monteiro Duarte a Colleferro il 6 settembre 2020.
A processo ci sono Marco e Gabriele Bianchi, Mario Pincarelli e Francesco Belleggia, accusati di omicidio volontario. Come ha scritto Valerio Renzi su Fanpage non si può negare che dal momento che Willy era di origine capoverdiana una certa componente di odio razziale possa aver avuto un peso ma gli imputati sarebbero imbevuti di una cultura machista (mascolinità tossica, direbbero i buonisti) che vede in certi modelli criminali un esempio e che non si limita al razzismo o a presunte simpatie neofasciste.
Giorgia Meloni fa di meglio. Scrive testualmente che i quattro “sono invece figli di tutt’altra ‘cultura’: quella di chi ha propagandato tra i giovani modelli come Gomorra per farci sopra i milioni» e di «di quei modelli cari a certi artisti ‘progressisti’, o ‘comunisti col Rolex’ che dir si voglia, per i quali il successo si misura con la cilindrata delle macchine, il costo delle borse, il numero di partner che si riescono ad avere e quello delle droghe che si riescono ad assumere”.
Insomma, nemmeno troppo velatamente dice che la colpa è dei vari Saviano (l’autore di Gomorra) e di tutti quelli che hanno scritto romanzi o serie televisive su temi simili (che ne so, Breaking Bad conta?). Non solo: è colpa anche degli artisti di sinistra, naturalmente drogati, promiscui e pieni di soldi (Mick Jagger e Keith Richards?).
Io sono Giorgia
I fatti alternativi proseguono come quando la Meloni scrive “il consigliere comunale a Roma lo faccio gratis, e dato che sono più presente del sindaco Raggi in assemblea capitolina, direi che è un bene che faccia il mio lavoro a Roma senza costare nulla alla collettività”.
Ora, a parte che il Sindaco non è un consigliere comunale mentre la Meloni sì i dati sulle presenze – incontestabili, si diceva un tempo – dicono un’altra cosa. E cioè che su un totale di 108 giornate di seduta nel 2020 (ma negli anni precedenti la musica non cambia) la Meloni è risultata presente 43 volte. Peggio di lei Alfio Marchini (11) e Virginia Raggi (16). Ma se invece guardiamo le presenze effettive dei consiglieri in Assemblea Capitolina, commissioni capitoline, Capigruppo e Ufficio di Presidenza la Meloni è penultima con 45 presenze (nel 2020 perché gli anni precedenti erano poco più di una decina) mentre la media del consiglio è attorno alle 200 presenze.
La storia insomma la si può scrivere e riscrivere come si vuole. Ad esempio quando parla della nascita del Governo Monti nel 2011 con toni epici:
“Dissi a Berlusconi, con chiarezza, che il Popolo della Libertà non avrebbe dovuto assolutamente dare appoggio al governo Monti. Era intollerabile consegnare l’Italia agli emissari di quelle consorterie europee che avevano manovrato contro la nostra democrazia; era come dire che avevano ragione i nostri avversari, e non l’avevano”.
Ma dimenticandosi purtroppo di dire esplicitamente che poi lei la fiducia a Monti la votò. Così come votò il Salva Italia (che conteneva la Legge Fornero) e l’abbassamento del limite del contante a mille euro che oggi contesta. Eppure la Meloni del 2021 dice: “Nel 2011 l’asse franco-tedesco ha dato un segnale inequivocabile all’Italia: ‘La sovranità ve la potete scordare'”.
Ammesso e non concesso che le cose siano andate così, se è successo è anche perché qualcuno i voti a Monti li ha dati. E quando spende parole di elogio per Guido Crosetto ricordando che “si era alzato in aula a Montecitorio per annunciare il suo voto contrario al Fiscal Compact” dimentica di dire che poi Crosetto aveva già votato a favore alla legge costituzionale che introduceva il Pareggio di Bilancio in Costituzione che è proprio uno dei punti del Trattato Europeo sul Fiscal Compact (curiosamente la Meloni era assente a tutte e due le votazioni finali).
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