La lettera di Conte alla Stampa e al Gruppo Gedi
Per la prima volta da quando ha lasciato Palazzo Chigi, Giuseppe Conte difende la sua azione di governo e attacca quella parte di stampa che negli scorsi mesi ha accolto l’arrivo di Mario Draghi come una svolta salvifica dopo l’anno e mezzo di “inettitudine giallo-rossa” (così l’hanno definita). Una narrazione su cui gli esponenti dell’ex maggioranza e il premier stesso hanno sempre taciuto. Ma adesso Conte non ci sta, e invia una lettera a La Stampa.
A scatenare la sua reazione l’editoriale di Massimo Giannini pubblicato ieri sul quotidiano torinese: “Italia e Libia, un atlante occidentale“, in cui il direttore ha commentato la missione di Mario Draghi in programma per oggi a Tripoli per incontrare il neopremier Abdul Hamid Dbeibah, insediato un mese fa in un Governo unificato sotto l’egida dell’Onu.
Nell’articolo Giannini accusa l’ex premier di aver gestito male i rapporto con la Libia, parla di “ritirate indecorose e falsi movimenti” e rende l’immagine di “un’italietta che si risveglia dalla sbornia nichilista e anti-occidentale”.
Nella lettera indirizzata al quotidiano del Gruppo Editoriale Gedi Conte esordisce sottolineando che negli ultimi mesi “ha evitato di rilasciare dichiarazioni o intervenire nell’attualità politica” per preparare la nuova agenda per il M5S, ma che si è trovato costretto a intervenire per smentire quelle che definisce notizie false.
“Non posso tacere perché queste notizie false, essendo attinenti alla politica estera perseguita dall’Italia negli ultimi anni, non riguardano solo la mia persona, ma anche un buon numero di nostri professionisti, della filiera diplomatica e dell’intelligence, che hanno condiviso gli sforzi e profuso grande impegno in questa direzione”, scrive Conte.
Il neo leader grillino si riferisce al passaggio in cui Giannini, dopo un commento “malevolo” (“le ultime pezze a colori improvvisate da Giuseppe Conte nel Corno d’Africa e nella Penisola Arabica hanno portato più malefici che benefici”) afferma che “i due incontri ad Abu Dhabi con Mohammed bin Zayed, tra il novembre 2018 e il marzo 2019, furono talmente inutili sul dossier libico che lo sceicco emiratino diede ordine ai suoi diplomatici di non organizzargli mai più altri colloqui con l’Avvocato del Popolo”.
Un’affermazione smentita dai fatti. “Dopo le date che Lei ricorda ho avuto ulteriori colloqui con lo sceicco Mohammed bin Zayed, che hanno confermato non solo l’eccellente rapporto personale instaurato, ma anche le ottime relazioni tra i nostri due Paesi”, ricorda Conte.
“Mi permetta poi di sottolineare che la sua falsità suona davvero ingenua: in pratica ha tentato di convincere i Suoi lettori che lo sceicco emiratino avrebbe informato solo lei che non avrebbe più accettato colloqui con il sottoscritto, quando invece abbiamo sempre operato, anche a tutti i livelli della filiera diplomatica e di intelligence, nella reciproca consapevolezza che i nostri rapporti fossero molto buoni”, aggiunge.
Nel mirino di Conte anche un secondo passaggio, in cui l’ex firma di Repubblica afferma che “il blitz a Bengasi del 17 dicembre 2020 organizzato come uno spot di bassa propaganda solo per riportare a casa i pescatori mazaresi previa photo-opportunity con Haftar, è stato ancora più imbarazzante”. Una falsità che Conte definisce “non meno sorprendente”.
“Già all’epoca dei fatti chiarii che volai in Libia non per piacere, ma perché fu l’unica condizione per ottenere il rilascio dei diciotto pescatori. L’ho fatto. Lo rifarei. Dopo un lungo negoziato e dopo avere respinto altre richieste che giudicai non accoglibili, atterrai all’aeroporto di Bengasi, dove Haftar mi accolse e firmò in mia presenza il decreto di liberazione dei diciotto pescatori”, assicura ancora l’ex premier.
“Quanto alla photo opportunity, caro Direttore, la informo che ho ricevuto più volte Haftar a Roma, anche nel pieno di quest’ultimo conflitto libico. Aggiungo che non troverà in giro nessuna mia foto con i pescatori: a loro e a tutti i cittadini di Mazara ho mandato un saluto a distanza”, scrive nella lettera.
E infine, l’affondo all’intero gruppo editoriale: “Gentile Direttore, Lei e l’intero gruppo editoriale a cui il Suo giornale fa riferimento avete abbracciato convintamente una causa. Ora, non dico che debba fidarsi di me. Ma dia retta almeno a un raffinato stratega quale Talleyrand, che ai suoi collaboratori raccomandava sempre:“𝘚𝘶𝘳𝘵𝘰𝘶𝘵 𝘱𝘢𝘴 𝘵𝘳𝘰𝘱 𝘥𝘦 𝘻𝘦̀𝘭𝘦” (“Soprattutto non troppo zelo”). Quando si eccede in fervore si rischia di servire male la causa”.