L’Italia rappresenta un unicum a livello mondiale per quanto riguarda la legislazione sul fine vita. Solo nel nostro Paese, infatti, per ricorrere al suicidio medicalmente assistito è richiesto – in base alla nota sentenza 242/2019 della Corte costituzionale sul caso di Dj Fabo – che il paziente sia dipendente da un trattamento di sostegno vitale.
Lo ha scoperto l’associazione Luca Coscioni, che ha pubblicato una mappa in cui si comparano, Stato per Stato, le normative in vigore in tutto il mondo (clicca qui per vedere la mappa interattiva).
“Le legislazioni estere prevedono quali requisiti comuni: il compimento della maggiore età, la capacità di autodeterminarsi, l’essere affetto da malattie o condizioni irreversibili, fonti di sofferenze intollerabili. Ma mai, in nessuna legge attualmente vigente nel resto del mondo, è previsto anche il requisito della dipendenza da un trattamento di sostegno vitale”, fa notare Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione.
Tra i Paesi in cui il suicidio medicalmente assistito è consentito ci sono Germania, Spagna, Portogallo, Canada, Colombia e alcuni Stati degli Usa, come California, Nuovo Messico, Montana.
L’unicità italiana deriva dalla mancanza di volontà da parte della politica di regolare una volta per tutte questo tema con un’apposita legge. “Quando si è espressa sul caso di Dj Fabo – sottolinea Gallo – la Corte costituzionale non poteva spingersi oltre e sconfinare nel potere legislativo proprio del Parlamento, individuando casi diversi da quello su cui era chiamata a esprimersi. Ed ecco quindi che, essendo Fabiano Antoniani tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, questo è diventato un requisito”.
“Requisito che però – prosegue la segretaria dell’associazione Coscioni – in assenza di un intervento legislativo del Parlamento richiesto dalla Consulta, finisce per avere effetti discriminatori, se applicato rigidamente. Si pensi alla maggior parte dei pazienti oncologici, anche terminali, che vogliono porre fine alle proprie sofferenze, ma non possono accedere al suicidio assistito perché non sono dipendenti da un trattamento di sostegno vitale in senso stretto”.
Nei giorni scorsi anche il presidente della Corte costituzionale, Augusto Antonio Barbera, ha invocato “un intervento del legislatore”. Intanto, ricorda Marco Cappato, tesoriere della Coscioni, “proseguiamo con le azioni di disobbedienza civile, per le quali attendiamo l’evoluzione di sei filoni giudiziari (Milano, Roma e Bologna) in cui siamo indagati, insieme ad altri iscritti all’Associazione Soccorso Civile, per un reato punito in Italia con una pena da 5 a 12 anni di carcere”.
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