Lamorgese attende Salvini al Viminale lui va a farsi i selfie coi funghi
Sono le ore 15 circa di un normale pomeriggio romano di una giornata per nulla normale per il futuro di questo Paese. Da qualche ora i ministri del governo Conte 2 hanno giurato al Quirinale nelle mani del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tra loro, c’è anche la neoministra dell’Interno, Luciana Lamorgese, l’unica tecnica a tutti gli effetti, nel ruolo più delicato e sulla poltrona più esplosiva dell’intero esecutivo. Un breve pranzo e poi la visita di rito in piazza del Viminale 1 per il tradizionale passaggio di consegne e il definitivo insediamento.
Quando Lamorgese ha varcato il portone del Ministero, ad attenderla ha trovato, oltre al suo staff ristretto, dipendenti, funzionari, poliziotti, che l’hanno accolta con il rispetto e l’onore che si deve a una donna delle istituzioni che da 40 anni serve il Viminale e il Paese. Nel comitato di benvenuto spiccava, però, l’assenza dell’uomo che, come prevede il protocollo, avrebbe dovuto fare gli onori di casa: il predecessore Matteo Salvini.
Per capire il perché non serve essere un politologo di razza o un navigato viminalista. Basta aprire uno a scelta tra la pagina Facebook, l’account Twitter e il profilo Instagram e, invece di palazzi secolari e picchetti militari, ti si spalanca di fronte lo scenario agreste e pastorale dei monti del Trentino. Già, mentre Lamorgese muoveva i primi passi da ministra in un dicastero per cui lavora dal lontano 1979 e che conosce come le sue tasche, l’ex inquilino del Viminale era troppo impegnato a filmare vacche nuotatrici, postare crocifissi, odorare funghi velenosi e a fare dirette Facebook, in un florilegio di attacchi al nuovo governo e gli immancabili hashtag contro il Partito democratico.
Risultato? L’atteso passaggio di consegne è saltato. Lamorgese si è dovuta consolare – si fa per dire – incontrando il capo della Polizia Franco Gabrielli, a lungo indicato come possibile successore proprio di Salvini sulla poltrona poi andata alla prefetta di Milano. “Un grave sgarbo istituzionale”, non usano mezzi termini i dem. “Un’altra occasione per non farsi vedere al Viminale”, rincara la dose su Twitter il vicepresidente della Camera Ettore Rosato (Pd), che aggiunge: “Naturalmente continua ad essere pagato, anche se si fa i fatti suoi”.
E pensare che, solo poche ore prima, era stato lo stesso Salvini a rivolgersi al successore designato attraverso un appello pubblico in cui la esortava a “non smontare il suo lavoro”. Non è difficile leggere in quelle parole l’esortazione chiara a non modificare i testi delle due leggi che, negli ultimi 14 mesi, hanno infiammato il dibattito pubblico e segnato in modo indelebile la stagione salviniana. Nonostante l’inevitabile stoccata al Pd (“Al Viminale hanno messo un tecnico, non hanno voluto nemmeno metterci la faccia”) e al netto dell’ennesima minaccia della rivolta di piazza (“In caso riapriranno i porti”), il “capitano” sembrava aver teso la mano a Lamorgese: “Sono a disposizione del nuovo ministro per dare qualche consiglio” ha detto Salvini. Ma al Viminale, ancora una volta, nessuno l’ha visto, degna conclusione di un ruolino di marcia che l’ha visto presentarsi in ufficio meno di 30 volte in 14 mesi, alla non invidiabile media di 2 volte al mese. Un confronto impietoso con il curriculum del suo successore, che tutti indicano come una “secchiona”, una donna del fare e lavoratrice instancabile.
Il primo round della sfida a distanza destinato a infiammare l’autunno è andato a Lamorgese. La forma premia, per distacco, la ministra. Ma la sostanza si giocherà, inutile girarci attorno, sui decreti Sicurezza e sulla gestione della politica migratoria in generale. È lì che Lamorgese è attesa al varco, tanto a destra quanto a sinistra. E la prima a saperlo è proprio lei.