Alessandro Di Battista ha dedicato la sua attività politica e sociale anche al caso di Julian Assange, liberato dopo aver trascorso 1.901 giorni in un carcere di massima sicurezza britannico per aver pubblicato veri documenti militari segreti del Pentagono su WikiLeaks.
La prima reazione è stata, ovviamente, di gioia. “Ho saputo stanotte della sua liberazione: ho visto le immagini di quando è salito sull’aereo ed ero tanto contento per lui e per la sua famiglia”, racconta Di Battista a TPI. “Ho anche mandato un messaggio a Stella (Morris, la moglie – ndr), però non mi ha ancora risposto. Saranno sommersi da decine di migliaia di messaggi”.
Ma la contentezza per la ritrovata libertà di Assange non può mascherare il rimpianto per 12 anni di reclusione, sette volontari nell’ambasciata dell’Ecuador a Londra e cinque passati nelle prigioni britanniche. Modi e tempi, in particolare, del rilascio del fondatore di WikiLeaks non sono casuali secondo Di Battista.
“Da qualche mese sostengo che si sarebbe potuti arrivare a una mossa simile da parte dell’amministrazione americana”, ci spiega. “Dato che ormai tutto il mondo vede l’ipocrisia totale degli Stati Uniti d’America che stanno dando scorta politica e mediatica a dei volgari assassini in Israele, la Casa bianca aveva bisogno di provare a mostrarsi in maniera diversa”.
Una scelta politica che però non cambia la dura realtà. “È tutto maquillage: la verità è che hanno distrutto la vita a un grande giornalista per 12 anni e non posso dimenticare tutto questo”, afferma l’attivista. “Soprattutto non dimentico il 90 per cento dei giornalisti occidentali, che si sono dimenticati di Assange proprio perché hanno preferito il silenzio alla lotta per la libertà di informazione”. Per Di Battista infatti, “i principali responsabili dell’orrenda detenzione di Assange sono i suoi presunti colleghi che sono rimasti in silenzio”.
Nessuno conosce il futuro di Assange, che domani dovrà presenziare a un’udienza in tribunale a Saipan, nelle Isole Marianne Settentrionali (un territorio statunitense nel Pacifico) dove un giudice federale dovrà ratificare il patteggiamento del fondatore di WikiLeaks con il Dipartimento di Giustizia Usa, che prevede un’ammissione di colpevolezza ai sensi dell’Espionage Act e una condanna a 62 mesi di carcere, equivalente al periodo di tempo già scontato dal 52enne nel Regno Unito.
Ma per Di Battista, il mondo oggi ha bisogno di Assange più che mai. “Non so cosa farà in futuro ma da cittadino mi auguro che possa tornare al lavoro a pieno regime perché è il più grande giornalista vivente e perché WikiLeaks ha bisogno di lui”, sottolinea. “Il mondo ha bisogno di persone come lui”, rimarca Di Battista. “Soprattutto oggi, quando le menzogne alimentano la guerra in Ucraina e il massacro di bambini innocenti a Gaza”.
Insomma, ci vorrebbero altri giornalisti come lui oggi. “Hanno punito Assange essenzialmente perché ci ha permesso di conoscere la realtà delle guerre, mentre le guerre si stavano svolgendo”, ci spiega l’attivista. “Oggi è facile parlare dei crimini americani in Vietnam o dei colpi di stato della CIA in Guatemala, Iran o Cile: sono passati decenni. Assange e WikiLeaks invece ci hanno fornito informazioni per capire le guerre in Iraq, in Afghanistan, in Libia, mentre quelle guerre si stavano svolgendo e questo non glielo hanno perdonato”.
“Se oggi Assange potesse lavorare a pieno regime, ci svelerebbe le menzogne del sistema occidentale, del cosiddetto Blocco Occidentale, dall’Ucraina a Gaza. Come tra l’altro WikiLeaks ha già in parte fatto pubblicando – sei giorni dopo il 7 ottobre – un documento dell’intelligence israeliana in cui veniva delineata la strategia criminale, terroristica, da parte di Israele a Gaza”, aggiunge. “Dunque mi auguro che possa tornare a lavorare ma queste ovviamente sono scelte sue: penso che ora voglia stare legittimamente con la sua famiglia e veder crescere i figli, non da dietro delle sbarre”.
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