Se ne discute da tempo, ricerche e analisi socio-demografiche sono pressoché tutte concordi: l’Italia è uno dei Paesi più ignoranti d’Europa. Nonostante nel corso degli anni siano stati lanciati molteplici allarmi e più e più volte le istituzioni siano state messe in guardia e portate a conoscenza del problema, l’ignoranza sembra non essere affatto un problema prioritario, anzi spesso si cerca in ogni modo di difendere chi ogni giorno ne fa sfoggio in ogni luogo e in ogni situazione e di vituperare invece chi studia e approfondisce, svilendo l’impegno dei cosiddetti “professoroni”.
In un rapporto diffuso dall’Istat nel luglio del 2018, l’istituto di statistica stimava che “nel 2017, in Italia, il 60,9 per cento della popolazione di 25-64 anni ha almeno un titolo di studio secondario superiore; valore distante da quello medio europeo (77,5 per cento). Sulla differenza pesa in particolare la bassa quota di titoli terziari: 18,7 per cento in Italia e 31,4 per cento nella media Ue”. L’Italia è il penultimo Paese in Europa per numero di laureati, superato solo dalla Romania.
L’inchiesta PIAAC condotta dall’Ocse, invece, ha svelato che le competenze linguistiche e matematiche degli adulti italiani nella fascia 16-64 anni sono tra le più basse dei Paesi Ocse e “il 27,7 per cento degli adulti italiani possiede competenze linguistiche di Livello 1 o inferiore, contro solo il 15.5 per cento nella media dei paesi partecipanti. Per quanto riguarda le competenze matematiche, il 32 per cento degli italiani ha competenze di Livello 1 o inferiore, contro solo il 19 per cento in media”.
Dati molto eloquenti, alla luce dei fatti. Quali fatti? Facciamo un esempio, prendiamo un caso molto recente: con l’arrivo del reddito di cittadinanza, molti cittadini rimasti delusi dagli importi mensili accordati dall’Inps si sono riversati nella pagina Facebook “Inps per la famiglia” per protestare contro il trattamento. Sebbene i bassi importi concessi a molti beneficiari siano assolutamente corretti e derivanti da parametri scritti nero su bianco nel provvedimento di legge approvato dal Parlamento, molti cittadini, certi che avrebbe ricevuto i famigerati 780 euro mensili così tanto citati e sbandierati dal vicepremier Luigi Di Maio nel corso della campagna elettorale e dei primi mesi di governo, hanno visto le proprie convinzioni infrangersi di fronte alla realtà dei fatti.
Che molti cittadini non siano in grado di comprendere un testo di legge complesso come può essere il ddl che istituisce la misura è normale e comprensibile, ma a colpire oltremodo è il modo in cui quei commenti sono stati scritti: frasi completamente sconnesse e prive di senso, verbi essere e avere utilizzati in maniera errata, scritti senza h o senza accenti, con accenti dove non dovrebbero esserci e viceversa, verbi coniugati in maniera completamente sballata anche nelle declinazioni più semplici e chi più ne ha più ne metta.
Insomma, la maggior parte dei commenti restituisce il ritratto di una parte d’Italia che è rimasta indietro, senza strumenti e senza possibilità di uscire da una condizione di povertà estrema strettamente connessa all’ignoranza.
Ciò che colpisce maggiormente è che in molti casi a svelare questa sorta di analfabetismo di ritorno sono persone giovani, tra i 20 e i 50 anni, persone che hanno avuto accesso alla scuola pubblica, che hanno avuto la possibilità di frequentare quantomeno le scuole dell’obbligo, quegli anni scolastici a cavallo tra elementari e scuole superiori in cui dovrebbero essere insegnati le basi dell’italiano corretto e gli strumenti per comprendere semplici testi scritti.
La domanda sorge spontanea: com’è possibile che in Italia, nel 2019, ci sia ancora un’ignoranza così pervasiva? Non stiamo parlando di anziani nati sotto la Seconda Guerra Mondiale e in possesso della terza elementare, in molti casi ci troviamo davanti a persone giovani che manifestano gravi forme di analfabetismo di ritorno nonostante abbiano avuto la possibilità di frequentare la scuola e accesso a strumenti che generazioni di nonni e bisnonni non hanno avuto.
Davvero: ma com’è possibile nel 2019 che ci sussista ancora una situazione del genere in un Paese che voglia dirsi civile e che la politica in questi anni di allarmi incessanti non abbia mai fatto nulla per cercare di risolvere un problema che è andato via via incancrenendosi sempre più?
La risposta è semplice: alla classe politica fa comodo avere un popolo manipolabile, non pensante, credulone, incapace di discernere tra promesse elettorali e realtà dei fatti, ben disposto a credere a chiunque dica fornisca inconcludenti facili soluzioni a problemi estremamente complessi. Alla politica fa comodo nutrire queste sacche di ignoranza perché si trasformano molto facilmente in sacche di voti e consenso saccheggiabili e depredabili senza sforzo alcuno.
È l’ignoranza la vera bomba sociale del ventunesimo secolo, il terreno fertile di questi populismi e sovranismi tornati così in auge in questi ultimi dieci anni. E l’unico antidoto al proliferare di queste pervasive e malsane ideologie politiche è solo uno: la cultura.
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