“Il fatto di essere uscito da questo processo è per me una buona notizia, ma questa sentenza non mi consente di gioire. Considero la condanna a Vendola e ad Assennato sull’Ilva una grave ingiustizia. Se vuole e se ha tempo, le spiego anche perché”. Mentre le agenzie titolano “Fratoianni assolto”, il segretario di Sinistra Italiana fissa un curioso primato. Quello del primo imputato che non è contento di una sentenza per lui non negativa.
“Il tema non è personale”, spiega. “Non è neanche la grande amicizia che mi lega a Nichi e l’enorme stima per Giorgio. Il tema è il senso politico di una parte di questa sentenza”. Così, in un processo complesso, che riassume una vicenda molto complessa, Fratoianni prova a spiegare la sua posizione. È assessore della seconda giunta Vendola ed ex segretario del suo partito a livello regionale: “Per noi non può esistere una macchia, o una ambiguità su una storia di veleni. Confido in una assoluzione in secondo grado”.
Onorevole Fratoianni, proviamo a spiegare il paradosso che lei denuncia?
“In fondo è semplice. Considero importante questa sentenza, ma una parte di quel dispositivo è una brutta ferita”.
Detto così può sembrare una risposta strana.
“Mi spiego meglio: il processo sull’Ilva è stato un fatto politico importante, perché sul piano delle responsabilità dei Riva fa chiarezza su tanti abusi commessi all’Ilva in questi anni. Ma la Regione abusi non ne ha commessi, anzi piuttosto ha combattuto per difendere i cittadini e limitare in ogni modo le forme dell’inquinamento”.
Cosa è stato importante affermare?
“A Taranto c’era un cortocircuito tra lavoro, ambiente e tutela della salute”.
Cosa invece non la convince?
“C’è un paradosso: chi per primo, nella storia di questa fabbrica, ha provato ad intervenire con coraggio, con capacità di innovazione, con norme di legge per interrompere quel circuito, oggi paga un prezzo incredibile. Con una condanna”.
Lei sta dicendo: Vendola e Assennato non dovevano essere condannati, i Riva sì.
“Credo sarebbe stato giusto. La verità storica dice che le nostre giunte sono state la prima controparte dei Riva quando nessun altro si opponeva al loro modello. Noi, come le spiegherò, siamo andati in conflitto con il governo per difendere la salute dei cittadini. E lo rifaremmo mille volte”.
Ma, se è come dice lei, come siamo arrivati a questi giudizio?
“Bisognerà leggere la sentenza. Ma qualcosa sappiamo già”.
Ad esempio?
“Nel corso di sei lunghi anni di processo si è appurato che mai la Rregione ha fatto un passo indietro nella lotta all’inquinamento”.
Mi faccia un esempio, non le posso credere sulla parola.
“Ecco il più clamoroso: la gran parte dei dati su cui si è fondato il processo Ilva vengono dall’Arpa, l’Agenzia regionale per l’Ambiente rinnovata da Vendola”.
Perché fu lui a nominare Assennato per dare forza all’agenzia.
“Prima di questa nomina Arpa Puglia era una scatola vuota. Lo sanno tutti. E forse qualcuno la preferiva così”.
Cosa pensa di Assennato?
“Giorgio Assennato è una straordinaria e indiscussa personalità. È figlio di un padre costituente. È una autorità della medicina del lavoro”.
Nel processo lui figura come concusso, perché Vendola lo avrebbe limitato nella sua attività, e come condannato.
“Questo è, semplicemente, il controsenso di cui parlavo: condannato per aver affermato di non aver ricevuto pressioni. Chiunque sappia che persona sia Assennato sa che non avrebbe mai subito nessuna pressione, anzi che si sarebbe ribellato a qualunque pressione. È stato condannato per aver detto la verità. Ma soprattutto…”.
Cosa?
“Perché mai Vendola avrebbe dovuto nominarlo, rafforzare l’agenzia, scrivere leggi regionali, avviare monitoraggi, e poi diventare il suo concussore? È una ricostruzione priva di senso politico e logico, per chiunque conosca fatti e persone di questa vicenda”.
Lui ha sempre negato le accuse a Vendola, qualsiasi forma di pressione, e ha detto di essere stato messo in condizioni di lavorare.
“Appunto! Ha avuto il doppio della pena richiesta perché ha negato di essere stato concusso da Vendola”.
Ma allora come lo spiega?
“Ripeto, non me lo spiego”.
Quindi l’oggetto del reato – Assennato – negava che ci fosse stato questo reato, ed era stato proprio lui, secondo i pm, il principale e arcigno controllare dei Riva.
“Per condannare Vendola dovevi contemporaneamente affermare che Assennato fa bene il suo lavoro, ma poi dire anche che era concusso da Vendola, che voleva impedirgli di esercitare il suo controllo, pur avendolo messo lì per questo. Assurdo”.
Vendola e i Riva. Che rapporti c’erano davvero tra la vostra giunta e i padroni dell’Ilva?
“Noi come giunta ci siamo sentiti in trincea davanti a tutte le aziende inquinanti, e naturalmente in particolare davanti a Ilva”.
Tuttavia i pm vi accusano di essere stati “morbidi” con i dirigenti dell’acciaieria.
“E qui c’è un teorema che non condivido”.
Perché?
“Ilva da sola determinava un pezzo del Pil del paese, e buona parte di quello pugliese”.
Nel processo Vendola è stato accusato di essere consociativo se non corrivo.
“Ridicolo. Ogni volta che la Regione alzava l’asticella per imporre vincoli e controlli sulle emissioni la risposta era la minaccia dei licenziamenti”.
Quindi lei nega quella ricostruzione?
“Ma certo! Noi eravamo in guerra con i Riva per far rispettare i limiti, senza cedere di un passo sulla tutela dei livelli occupazionali”.
Vi sentivate sotto ricatto?
“Mi ascolti bene. Nessuno di noi aveva un qualsiasi tornaconto economico, professionale, personale, diretto o indiretto”.
E c’era altro?
“Beh, ovvio. Un problema enorme come una casa. L’unico interesse era tutelare i cittadini, gli abitanti i lavoratori e i bambini di Taranto e il lavoro”.
Qualcuno dice che quel vostro sforzo era impossibile.
“È legittimo. Si può discutere di questo in termini ideali. È un grande e terribile tema”.
Ovvero?
“La domanda delle domande è: voi volevate chiudere l’Ilva? La mia risposta non può che essere: noi abbiamo pensato di regolamentare, imporre investimenti milionari per ridurre l’inquinamento e salvare l’azienda”.
Siete stati inquisiti per questo, Vendola in sostanza – concussione a parte – è condannato per questo. Volevate cambiare l’Ilva senza chiuderla.
“Ripeto: bisogna essere chiari. La sinistra pugliese non ha mai pensato che si potessero mandare a casa 15mila persone. Ma le chiedo: questo è un reato?”.
Mi dica che risposta da lei.
“Siamo gli unici che abbiamo alzato i livelli di tutela ambientale. Siamo andati allo scontro con tutti per alzare questi livelli di tutela. Va ricordato che lo abbiamo fatto con tale decisione che l’allora Governo Berlusconi pensava e diceva che eravamo una ‘giunta comunista’ che metteva dei vincoli alla libertà di impresa”.
E quindi?
“La prova che ciò che abbiamo fatto non era rituale, né ordinario è che molte di quelle norme sono state impugnate dal governo nazionale, che le voleva cancellare”.
I magistrati tutto questo lo hanno preso in considerazione?
“Ah, lo leggeremo nella sentenza. Ma questa condanna ci dice che la risposta è no”.
Il processo non è finito.
“Sono certo che i prossimi gradi di giudizio stabiliranno che Nichi e Giorgio sono del tutto estranei. Però il tema è questo: o si dice che l’Ilva andava chiusa, e Vendola ha ricevuto una condanna per non aver compiuto questa operazione…”.
Oppure?
“Oppure va riconosciuto che la giunta e l’Arpa hanno fatto tutto quello che potevano per controllare le emissioni e salvare la più grande produzione nazionale di acciaio, e la più grande fonte di occupazione di Taranto”.
È amareggiato?
“Sì. Per le ragioni che ho spiegato”.
E poi?
“Noto che i governi nazionali, dopo l’inchiesta, hanno prodotto decreti in serie, che contenevano tutti lo scudo penale”.
E cosa ne deduce?
“Che, mentre il processo era in corso, i governi, pur di far proseguire la produzione, hanno protetto Ilva con lo scudo penale. Ma noi abbiamo combattuto gli abusi di Ilva senza alcuno scudo”.
Sta dicendo che non deve servire lo scudo penale?
“No. Io voglio credere nella giustizia senza essere tutelato da nessuno scudo. Ma voglio che sia fatta giustizia su una verità storica che non può essere riscritta”.
Cosa dice a Vendola?
“Gli mando un grande abbraccio. Non ho mai dubitato un minuto della sua innocenza. Sarà fatta giustizia nei prossimi grado di giudizio”.
Cosa le ha detto lui?
“Che è deluso. Amareggiato. Ma che si batterà a testa alta in appello perché sa quello che ha fatto, e sa di aver agito solo nell’interesse di Taranto. Noi non siamo stati al servizio dei Riva. In tanti hanno guadagnato dal rapporto con quella fabbrica. Noi certamente no, noi siamo stati i loro controllori. E questa verità deve essere ristabilita.