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    Grillo, “il garante di Draghi” e Renzi il guastatore dei giallorossi

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 10 Lug. 2021 alle 11:56 Aggiornato il 10 Lug. 2021 alle 13:03

    Per una volta – nel caos a Cinque Stelle la forma prevale sul merito. Non c’è dunque sul tavolo, a far discutere, solo il problema della prescrizione (ennesima bandiera del Movimento ammainata dal governo Draghi). Ma – più di tutto – stride il fatto che Mario Draghi si rivolga a Beppe Grillo per far cambiare una posizione ai Cinque Stelle. E che poi il garante del Movimento, a sua volta, chiami i ministri del M5s per dargli una linea, saltando qualsiasi altra figura o organismo interno (più o meno delegittimato, a partire da avuto Crimi).

    Il tema che si pone, dunque, è doppio: non solo il “chi siamo” di una forza in crisi di identità. Ma – soprattutto – il “chi comanda” di un movimento sull’orlo di una scissione. Se Palazzo Chigi ieri aveva bisogno di smentire questi contatti (che tutti però confermano, dentro il M5s) era proprio perché il percorso decisionale di questa vicenda non rappresenta solo l’ennesimo strappo contro Conte (proprio nel momento in cui i presunti “mediatori” stavano trattando con lui).

    La vicenda della prescrizione, infatti, rappresenta piuttosto un salto di qualità nel tentativo di Grillo di diventare l’unico padrone del Movimento. Attenzione: non lo era prima, nemmeno nel 2018, quando il M5s toccava il 33%, lo sta diventando adesso. Grillo oggi è il “garante di Draghi” dentro il movimento.

    Ormai non si tratta più di un singolo episodio: non c’è solo il massimo ribasso (poi ritirato), non c’è solo il cashback (cancellato con un tratto di penna), non co sono solo le nomine, non c’è solo la giustizia (nei modi che abbiamo detto), non c’è solo la questione dei precari ammessi senza concorso (appena esplosa, dopo un post di Lucia Azzolina che ha sollevato il tema su Facebook).

    Non c’è soltanto il caso, molto caro al Movimento, del reddito di cittadinanza (su cui un partner di coalizione, Italia Viva, da ieri raccoglie addirittura firme per un referendum abrogativo). Appare sempre più chiaro – bastava ascoltare Matteo Renzi, ieri a In Onda per rendersene conto – che in questa nuova maggioranza i Cinque Stelle “contiani” e il Pd di Enrico Letta sono ospitati al ballo del governo come delle “Cenerentola” a cui viene chiesto di accettare senza la linea senza fiatare o dissolversi.

    C’è un asse forte del governo, che è quello della Lega (a cui è concesso persino di attaccare i ministri della sua stessa coalizione) e c’è invece il ruolo disgraziato di chi deve portare la voce e cantare, votare senza obiezioni. Il retropensiero, neanche tanto nascosto è: se questa continua tensione dovesse portare ad una rottura o ad una frantumazione del M5s questo non sarebbe un problema, ma casomai un risultato utile.

    E la prima finalità che si scorge sul fondo – dietro tutto questi lavorìo – è il voto sul nuovo inquilino del Quirinale: il M5s è ancora il primo partito del Parlamento Italiano, e l’asse giallorosso con il Pd la maggioranza relativa nell’assemblea dei grandi elettori. Ma se tu rompi questa alleanza perché ne disgreghi un pilastro, la più grande maggioranza compatta che resta in campo (anche grazie al peso dei grandi elettori regionali) è quella del centrodestra.

    Ecco perché le fibrillazioni dentro il M5s, ormai, non sono un effetto collaterale, ma forse uno dei primi esiti attesi del governo tecnico. Indurre l’implosione del Movimento, ponendolo in ogni occasione nel dilemma tra la lealtà al governo e la necessità di rinnegare le proprie scelte (i propri provvedimenti varati al governo) è una strategia ben determinata.

    E dietro questo disegno, già in atto, c’è il vero obiettivo di questo lavoro da guastatori: il Pd di Enrico Letta. Anche il nuovo segretario è stato colpito da Draghi sulla vicenda della tassa di successione, anche lui è inseguito dagli attacchi interni, anche lui è in discussione sulle alleanze, e proprio lui è il vero bersaglio dell’offensiva di Renzi sulla legge Zan.

    Rompere la coalizione sulla legge contro l’Omofobia avrebbe effetti deflagranti per gli equilibri interni del Pd, più che uso M5s, permetterebbe agli ex Renziani di attaccare. E i famigerati “franchi tiratori” su cui Renzi conta nel voto segreto, per affossare la legge, non sono altro che i suoi ex protetti rimasti nel Pd.

    Come è evidente a Renzi non importa nulla di quella legge, e dei suoi articoli, che fra l’altro sono stati riscritti con emendamenti (tutti accolti) dei suoi parlamentari. L’obiettivo di Renzi è far bocciare la legge Zan (dice che non c’è la maggioranza perché lui stesso gli toglie la maggioranza, rendendola vulnerabile) è trasformare questa sconfitta di un legge di iniziativa parlamentare, in una Caporetto politica per il segretario del Pd.

    Il leader di Italia Viva, ridotto a dimensioni lillipuziane nei sondaggi, screditato dalla vicenda dell’Arabia Saudita, considerato inaffidabile da tutti (anche a destra) per quello che ha fatto durante il governo Conte, insediato da Carlo Calenda al centro, in queste condizioni non può più costruire: dunque è di nuovo costretto a distruggere, ed è convinto di essere il migliore in questa impresa.

    E nel suo impegno per la distruzione del vecchio centrosinistra, soprattutto in vista della partita del Quirinale, Renzi spera di poter giocare un ruolo importante. Perché se riuscisse a sommare i suoi voti a quelli del centrodestra salviniano, l’ex sindaco di Firenze potrebbe comunque rientrare in una maggioranza presidenziale, acquisire dei meriti da king maker.

    Ecco perché, dietro la battaglia della prescrizione, non si cela una fine disputa sul diritto tra professori di procedura penale, ma un tassello importante della battaglia che è in atto per completare la restaurazione dell’ancien regime in Italia, in vista dell’elezione del presidente della Repubblica e delle prossime elezioni politiche.

    Il vero cardine di questa impresa è “il gioco di squadra” dei due Mattei. Renzi fa quello che gli riesce bene (il guastatore) e Salvini quello che non gli pare vero: raccogliere i frutti del suo migliore alleato di oggi, l’altro Matteo. Mentre Grillo – con un lavoro parallelo – fa il garante di Draghi, cerca di logorare Conte. Distrugge la sua creatura politica. E prega per suo figlio.

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