Si accende lo scontro nella maggioranza sul tema dell’obbligatorietà del Green pass con la Lega di Matteo Salvini che, dopo essersi più volte detta contraria all’ulteriore estensione dell’uso del certificato verde, ha già presentato alla Camera quasi mille emendamenti al decreto approvato dal Governo a luglio, in cui si prevede l’obbligo del lasciapassare per accedere a determinate attività e locali a partire dal 6 agosto.
Tutto questo mentre domani è atteso un nuovo provvedimento in Consiglio dei ministri volto ad allargare la certificazione anche al mondo della scuola e ai trasporti. Se infatti l’esecutivo sembra arrivato alla stretta finale sul Green pass, la partita nella maggioranza è tutt’altro che chiusa e resta decisiva la mediazione del premier Draghi per mettere d’accordo i più riottosi e ottenere soprattutto l’appoggio del Carroccio.
Sono quasi 1.300 gli emendamenti proposti in commissione Affari sociali alla Camera al decreto Covid del 22 luglio, di cui ben 916 presentati solo dalla Lega. Un segnale inviato al presidente del Consiglio in vista della possibile introduzione dell’obbligo del Green pass per insegnanti e professori universitari e a bordo di treni, aerei e navi dirette verso le destinazioni nazionali. La partita però è più ampia e riguarda il peso del Carroccio nella maggioranza: comincia con le minacce di Salvini sugli sbarchi e arriva fino all’elezione del prossimo presidente della Repubblica.
Alla ricerca di una mediazione: il metodo Draghi
Dopo la mezza crisi di maggioranza sulla giustizia, risoltasi con un compromesso e l’approvazione di un nuovo testo della Riforma Cartabia alla Camera, il premier è obbligato a misurarsi con un nuovo scontro interno ai partiti che sostengono il Governo e sembra intenzionato a utilizzare lo stesso metodo usato per la riforma del processo penale: parlando con i diretti interessati.
Ed è proprio il leader della Lega ad averlo confermato ieri a Palermo: “Ho sentito il presidente Draghi anche oggi e ho sottolineato alcuni problemi reali come quelli delle famiglie con figli, che partono per le vacanze venerdì e se non cambia la
norma dovranno cenare loro nel ristorante e portare la ciotola con gli avanzi fuori ai figli: prudenza sì ma senza rovinare l’agosto a milioni di famiglie, chiediamo buonsenso”.
Una richiesta rafforzata negli ultimi giorni prima dall’ultimatum di Salvini all’intero esecutivo e alla ministra degli Interni Luciana Lamorgese, accusati di non fare abbastanza per fermare gli sbarchi di migranti sulle nostre coste mentre introduce l’obbligo del Green pass per tutti gli italiani che vogliano accedere a determinate attività e locali. E poi con la presentazione di quasi un migliaio di emendamenti al provvedimento sull’estensione del certificato verde.
Precisamente 916, una cifra non scelta a caso secondo fonti leghiste citate dal Fatto Quotidiano. Si tratta infatti dello stesso numero di proposte di modifica presentate una settimana fa dal Movimento 5 Stelle in commissione Giustizia sulla riforma Cartabia. Un segnale inequivocabile al Governo e alla maggioranza a non alzare troppo la posta e a venire incontro alle richieste del Carroccio, così come avvenuto con le istanze segnalate dai pentastellati guidati dall’ex premier Giuseppe Conte.
Un’arma spuntata, secondo i più, visto il concomitante inizio del semestre bianco che impedisce il ritorno alle urne prima dell’elezione di un nuovo presidente della Repubblica. O forse no, perché se è vero che l’impossibilità di andare alle elezioni, come delineato da Marco Damilano dalle colonne de L’Espresso, sta spegnendo tra i Partiti “la tensione unitaria portata dall’emergenza”, la partita del Colle è ancora tutta da giocare e potrebbe riservare sorprese.
In particolare, negli scorsi giorni il ministro dello Sviluppo economico Giancarlo Giorgetti, indicato da più parti come l’anima moderata e governista all’interno della Lega, ha sottolineato come quella interna alla maggioranza non sia “un’unità nazionale” ma “su Draghi, una persona fisica”.
E proprio l’ipotesi dell’elezione dell’attuale premier a presidente della Repubblica porterebbe dritta alle elezioni, secondo il ministro. “Senza Draghi serve un governo che possa legittimarsi dal mandato popolare”, ha ribadito l’esponente leghista dal palco della Festa della Lega a Milano Marittima.
Insomma, se da un lato Giorgetti ha tracciato una linea invalicabile per il proprio segretario: non mettere in discussione Draghi, le sue considerazioni non possono non essere lette anche come un segnale al premier, a cui viene implicitamente (e magari involontariamente) ricordato il peso del Carroccio nel solo nel cammino dell’ex presidente della Bce verso il Quirinale, ma nella collaborazione a un altro governo cosiddetto europeista dopo la salita dell’attuale presidente del Consiglio al Colle.
Come disinnescare la bomba Salvini prima dell’elezione per il Colle
Principalmente il ministro ha però voluto provare a disinnescare la bomba Salvini nella maggioranza, solleticando le ambizioni del segretario leghista con l’ipotesi di un ritorno al Viminale al posto di Luciana Lamorgese. Un’eventualità davvero poco probabile: Salvini ministro degli Interni in un governo di unità nazionale metterebbe a rischio la tenuta della maggioranza e soprattutto l’appoggio del Partito democratico.
Eppure la strada indicata dal ministro dello Sviluppo economico potrebbe rivelarsi utile. Lo sbarco di Salvini nella compagine dell’esecutivo (con quale incarico sarebbe tutto da decidere) metterebbe il segretario della Lega faccia a faccia con il premier Draghi su tutte le decisioni più importanti, allontanandolo anche fisicamente dalle piazze e costringendolo a misurarsi con gli obiettivi e i limiti dell’azione di governo. Quantomeno togliendo a Giorgetti l’incombenza di una mediazione sempre più difficile tra il leader del Carroccio e il presidente del Consiglio, un’argine che finora ha retto.
“Non è ipotizzabile che la Lega ritiri il proprio sostegno all’esecutivo”, aveva dichiarato Giorgetti a Milano Marittima dopo le minacce di Salvini sugli sbarchi e prima di lanciare quella che lui stesso ha definito “una provocazione” ossia il ritorno del segretario del Carroccio al ministero dell’Interno. “Tornerei subito al Viminale”, aveva risposto Salvini al suo ministro durante la trasmissione Controcorrente su Rete 4. Chissà se solo al Viminale.