I soldi che il governo ha dato ad Alitalia potevano aiutare le terapie intensive
Alla fine i contributi a pioggia ad Alitalia sono arrivati, come previsto. Non sono bastati i miliardi di euro già investiti nella compagnia di bandiera, che sarebbe ormai tecnicamente fallita da tempo. Il Governo in piena crisi Covid19, con ospedali al collasso ed economia in ginocchio, ha scelto di stanziare fondi nell’unico soggetto che non dovrebbe meritarne più, con una strategia che ricorda quella della sanatoria delle case abusive di Ischia inserita all’interno del Decreto Genova.
Per dare un’idea dell’importo, è sufficiente pensare che con 600 milioni di euro, le Regioni avrebbero potuto realizzare oltre 7500 posti di terapia intensiva (è stimato un costo di circa 80.000 euro per postazione), aumentare il numero di borse di studio per gli specializzandi o il numero di personale sanitario operativo. Purtroppo l’ennesimo stanziamento di sussidi a beneficio di Alitalia rappresenta il problema più importante di questo Paese: la mancanza di programmazione a lungo termine.
Dalla mancata vendita ad Airfrance per ragioni “strategiche” al fallimento della cordata CAI, sono decine i fallimenti a costo pubblico che hanno scelto di intestarsi i governi che si sono susseguiti negli ultimi 12 anni. La crisi di Alitalia è iniziata quando la società, un tempo pubblica, ha dovuto scontrarsi con le regole del mercato europeo e, per la prima volta, con la concorrenza sulle tratte nazionali, liberalizzate dall’Unione Europea. Essendo incapace di gestire la concorrenza, Alitalia ha perso passeggeri e quote di mercato.
Oggi i voli di Alitalia rappresentano circa l’8 per cento della quota del mercato da e per l’Italia. Per fare qualche confronto: Ryanair rappresenta il 22.6 per cento, Easyjet il 12.2 per cento. Persino Lufthansa batte la compagnia di bandiera italiana in quota di mercato. Negli ultimi 12 anni Alitalia ha già sprecato quasi dieci miliardi di euro pubblici. Paradossalmente con questi soldi, lo Stato Italiano avrebbe potuto comprare AirFrance-KLM, Lufthansa, SAS, Finnair, Norwegian e Turkish Airlines. Tutte quante queste compagnie insieme.
L’importo stanziato all’interno del decreto di emergenza, probabilmente permetterà alla compagnia di sopravvivere per altri due o tre mesi, dopodichè però, si tornerà alla situazione di origine. Una situazione che vede i contribuenti italiani pagare per gli errori di manager ed azionisti evidentemente incapaci di far sopravvivere un’azienda. Un trattamento di disparità e di profonda discriminazione rispetto alle migliaia di imprenditori ed investitori italiani che ogni giorno rischiano i propri capitali e la propria reputazione per portare a termine iniziative aziendali.
Un giorno ci guarderemo indietro e i miliardi saranno diventati quindici, venti. Una cifra che, assegnata agli stessi dipendenti della compagnia, avrebbe permesso a questi di poter essere formati e accompagnati verso nuove posizioni professionali. Ancora una volta lo Stato italiano ha scelto di non guardare lontano, e di mettere una pezza, il cui valore, oggi, non sarà calcolabile solo in moneta, ma, probabilmente, anche in vite umane.
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