Durante i primi mesi del Governo Meloni tu nei tuoi articoli avevi ribattezzato la presidente del Consiglio “Draghetta”. Perché?
«Perché aveva una linea diretta con Draghi. Era tutto un “Pronto Mario”, “Ciao Mario”… Nei suoi primi quattro mesi a Palazzo Chigi, Meloni era disperata. Si era ritrovata al governo prima del previsto. Non si aspettava che Draghi sarebbe caduto prima della scadenza, grazie al combinato M5S e Lega-Forza Italia, lasciandole in eredità rogne enormi, dalla finanziaria alla gestione gigantesca del Pnrr… Il suo piano originario era quello di andare alle elezioni, per vincerle, nella primavera del 2023».
Poi, dopo quei primi mesi, che è successo?
«Quello che accade nel film “Carlito’s way”: il protagonista, un criminale mafioso interpretato da Al Pacino, esce dal carcere e vuole cambiare vita, ma subito si presentano i suoi ex compagni di sventura a battere cassa… Fratelli d’Italia ha uno zoccolo duro del 6% di nostalgici della fiamma missina. Il Grande Balzo che portò l’unico partito sempre all’opposizione al 27% delle politiche del 2022 avvenne grazie alla trasmigrazione dei delusi da Salvini e dei frustrati del M5S. Il camaleontismo tattico, mai strategico, della Meloni nasce dal fatto che deve accontentare sia il palato post-fascio sia quel grande numero del “voto mobile”, elettori privi del collante ideologico e ideale che dopo aver provato a votare il Pd di Renzi, la Lega di Salvini e il M5S di Conte, hanno puntato sulla Ducetta…».
Oggi a chi dà ascolto Meloni?
«All’inner circle della cosiddetta Fiamma Magica: sua sorella Arianna, la sua segretaria particolare Patrizia Scurti e i sottosegretari Alfredo Mantovano e soprattutto a Giovanbattista Fazzolari».
Fazzolari è l’ideologo.
«Sì, il “pensiero forte” di questo governo di Fratelli d’Italia fa capo a lui, che – ricordiamolo – fino al 2018 era ancora un dirigente di secondo livello della Regione Lazio… Fazzolari ha un’idea chiara di destra. Molto diversa dal berlusconismo».
Diversa in cosa?
«Quelli di Fratelli d’Italia tendenza “Fazzo” non considerano i governi Berlusconi come governi di destra. È vero che fu Berlusconi a sdoganare la destra sociale di Gianfranco Fini per vincere le elezioni, ma lui aveva come modello i Gianni Agnelli, aveva buoni rapporti con Enrico Cuccia… Te ne racconto una».
Prego.
«Una volta, quando era presidente del Consiglio, gli chiesi del capo dei Servizi segreti. Lui neanche si ricordava il nome. Disse: “L’unica carica di cui mi interesso è quella del comandante generale della Guardia di Finanza”. Il motivo lo possiamo immaginare, no? A Berlusconi non interessava la gestione del potere. Il suo, di fatto, era un governo di post-democristiani. Impersonati da Gianni Letta e da una figura troppo spesso dimenticata».
Chi?
«Franco Frattini. Era lui l’uomo di collegamento tra Palazzo Chigi e gli apparati: Corte dei Conti, Consulta, Ragioneria Generale dello Stato, Servizi segreti, Quirinale, Magistratura, Ragioneria Generale, etc. È il cosiddetto “Deep State”, un mondo – io lo conosco grazie alla mia frequentazione con Francesco Cossiga – che non è né di destra né di sinistra. Gli apparati sanno bene che loro restano, mentre i governi passano. Quindi stanno fermi, hanno un disincanto politico e ideologico totale, sono ‘’civil servant’’. Il problema di Fazzolari è proprio questo».
Cioè?
«Lui ha un’idea muscolare e totalizzante della cultura del potere: un’idea che a Roma, però, è impossibile da attuare».
Perché?
«La cultura del potere, che è quella deriva dall’Impero Romano, si articola in tre passaggi: dialogo, trattativa, compromesso. Come diceva, Andreotti, perfetto conoscitore del “De Bello Gallico” di Giulio Cesare, “il nemico non si combatte: lo si seduce o lo si compra”. A Roma l’idea di un uomo solo al comando non regge: se non hai rapporti con il mondo degli apparati, sei destinato alla sconfitta. Ti sei mai chiesto perché a Roma ci sono oltre venti circoli nautici, sono tutti canottieri?».
Roma è una città di relazioni…
«Ogni circolo è una loggia: il Circolo della Caccia è quello degli aristocratici, il Circolo degli Scacchi è quello della borghesia… Sono logge in cui c’è una sorta di stanza di compensazione: tu hai bisogno di me, io avrò bisogno di te… Il potere è un lavoro collettivo: mi stupisce che a non capirlo siano proprio persone che hanno certe nostalgie per il fascio».
Che c’entra il fascio?
«L’immagine storica del fascio consiste in ottanta bastoni tenuti stretti da una corda con al centro un’ascia: è l’idea dell’unione che nasce dalla forza».
Degli ultimi leader che sono stati al governo, chi ha colto questo aspetto?
«Nessuno. Il momento che segnò la fine politica di Renzi fu quando osò mettere a capo dell’Ufficio legislativo di Palazzo Chigi la comandante della Polizia municipale di Firenze: in quel momento l’apparato si è rivoltato. Lo stesso è accaduto quando Meloni ha deciso di togliere ai funzionari del Ministero dell’Economia la gestione del Pnrr per affidarla a un ministero nuovo guidato da Raffaele Fitto: a quel punto si è creata una frattura tra il Mef e il ministero di Fitto. Altro esempio: quando si decise di far fuori Carlo Fuortes dalla Rai, l’allora ministro Sangiuliano disse: “Tranquilli, ci penso io: faccio fare una norma sul limite d’età a 70 anni”. Solo che l’ha fatta scrivere all’Ufficio legislativo del suo ministero, che poi ha scritto la norma al contrario, in modo che la Consulta la bocciasse…».
Quindi in Italia governano gli apparati.
«Il problema è che se tu ti metti contro un potere, anziché allearti con esso, si crea una situazione per cui tu sarai anche al volante della macchina del potere, ma il motore è nelle manine degli apparati. E se loro mettono l’acqua nel motore, questo si ingolfa…».
Ci sarà stato qualche presidente del Consiglio che lo ha capito.
«Il primo a capirlo subito fu uno che era estraneo al potere romano: Bettino Craxi. Prima di lui c’era un potere democristiano. Craxi, dopo aver fatto l’accordo con Ciriaco De Mita, nominò sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giuliano Amato, uno che non aveva niente a che fare col socialismo craxiano, ma che conosceva bene il Deep State. Amato viene considerato un traditore dai socialisti, ma lui era un civil servant. Non era un uomo di Craxi: lo ha consigliato finché ha potuto e finché quello ha accettato i suoi consigli…».
Torniamo al Governo Meloni.
«Inizialmente il posto da sottosegretario non doveva andare a Fazzolari, ma a Guido Crosetto, co-fondatore di Fratelli d’Italia. Solo che poi Crosetto è stato sabotato dai suoi compagni di partito, che lo hanno sempre visto come un democristiano passato poi al berlusconismo. Ecco quindi Fazzolari. A quel punto però…».
Però?
«A quel punto però Gianfranco Fini ha saggiamente consigliato Meloni di affiancargli Alfredo Mantovano, un ex di Alleanza Nazionale, ex magistrato, che è uno che ha rapporti con gli apparati. Questo non è bastato, vista la prevalenza di Fazzolari a delimitare il suo perimetro di potere, a evitare lo scontro con il Capo dello Stato, la Magistratura, la Corte dei Conti».
A cosa ti riferisci in particolare?
«Mattarella è irritato, per usare un eufemismo, con il vicepresidente del Csm Fabio Pinelli, che a novembre ha incontrato Meloni senza avvertirlo. Il Capo dello Stato ha ricordato che il garante della Costituzione è lui e che se la destra vuole cambiare le regole del gioco deve aver la forza parlamentare di cambiare la Costituzione. Il giochino camaleontico di Meloni può funzionare all’estero, ma in Italia alla fine devi fare i conti con il Deep State che ti rema contro».
Chi sono a tuo avviso i tre ministri migliori di questo governo.
«Di sicuro Crosetto. Poi [lungo silenzio, ndr]… Per quello che ha fatto dico Fitto. Ma anche Fitto non è dei loro: è di origine democristiana… Per il resto, c’è una tale mediocrità… A volte questi di Fratelli d’Italia mi chiedono “Ma perché ce l’hai tanto con Meloni?”: io allora faccio notare che nessun governo nell’Italia repubblicana ha mai avuto un consenso pari al loro, anche in termini mediatici. Tranne poche eccezioni (La7), i grandi media sono tutti schierati dalla parte del Governo: la Rai, Mediaset, il Corriere della Sera, più tutti i vari giornali dichiaratamente meloniani come Libero, Il Tempo, Il Giornale, La Verità… Eppure i fratellini d’Italia continuano a fare le vittime di persecuzioni, quasi fossero sotto assedio, vedi anche le continue polemiche contro le “toghe rosse”».
Il tuo sito, Dagospia, è oggi un raro caso di successo nel panorama mediatico italiano. Come te lo spieghi?
«Caro mio, intanto ho un pessimo carattere che mi rende libero e stronzo, quindi reattivo a qualsiasi autoritarismo destrorso attualmente in auge, del tipo “con noi o contro di noi”. Secondo: grazie al cielo, ho alle spalle una famiglia benestante. Dunque, si attaccano al manganello e tirano forte…».