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    Il dilemma Pd: un governo Draghi è possibile. Ma solo governando con la destra sovranista

    Il segretario del Pd Nicola Zingaretti. Credit: Ansa
    Di Niccolò Di Francesco
    Pubblicato il 3 Feb. 2021 alle 13:04 Aggiornato il 3 Feb. 2021 alle 13:11

    Il dramma del Pd: costretto al governo Draghi e alla rottura con il M5S

    Il Pd esce frastornato dalla crisi di governo e si ritrova in una posizione a dir poco scomoda: il partito guidato da Nicola Zingaretti, infatti, non può non dare la sua disponibilità a sostenere un esecutivo Draghi con il rischio, però, di ritrovarsi in maggioranza con la destra sovranista di Salvini e magari anche di Fratelli d’Italia e provocare, così, una rottura con il M5S.

    È un vero e proprio dilemma quello che si appresta a vivere il Partito Democratico che, però, come detto non può precludere un appoggio a un governo Draghi (qui tutte le ultime notizie).

    Il motivo è molto semplice: il presidente della Repubblica, peraltro eletto 6 anni fa proprio con i voti del Pd, ha chiesto responsabilità ai partiti e il Partito Democratico, che si è sempre definito “responsabile”, non può non raccogliere l’appello del Capo dello Stato.

    L’appoggio a Draghi da parte del Pd, quindi, sembrerebbe essere pressoché scontato, ma a quale condizione? È proprio questo il dilemma. Cosa succede, infatti, se anche Lega (i cui numeri in Parlamento sono fondamentali per la nascita dell’esecutivo se il M5S conferma il suo no) e Fratelli d’Italia (al momento meno probabile), oltre a Forza Italia, decidono di votare la fiducia al nuovo esecutivo? Come può il Partito Democratico ritrovarsi improvvisamente in maggioranza con la destra sovranista e antieuropeista?

    Un dubbio che nemmeno Andrea Orlando, vice segretario del Pd, è riuscito a risolvere: “Il percorso indicato dal capo dello Stato merita tutta l’attenzione e la disponibilità – ha dichiarato Orlando a Cartabianca – ma se era difficile mettere insieme quattro forze politiche che avevano lavorato insieme non sarà semplice con forze politiche che non hanno fatto niente insieme e che non faranno strategicamente niente”.

    Nella mattinata di mercoledì 3 febbraio, poi lo stesso Orlando ha specificato che: “Il Pd in Senato pesa per l’11 per cento e dovrà ragionare su cosa fare anche in relazione a ciò che fanno gli altri, il nostro 11 per cento non basta a sostenere un governo”.

    Orlando, ovviamente, fa riferimento anche e soprattutto al Movimento 5 Stelle, orientato per il no al governo Draghi anche se sul partito ora aleggia il rischio scissione.

    Anche perché la strenua difesa di Giuseppe Conte da parte del Pd, più volte definito dai dem “punto di sintesi ed equilibrio avanzato” dell’alleanza Pd-5 Stelle, non era motivata solamente dalla salvaguardia dell’esecutivo Conte bis, ma anche dall’intenzione di entrambi i partiti di continuare a lavorare insieme per la costruzione di un’alleanza organica.

    Da qui, gli ulteriori dubbi del Partito Democratico. Se il Movimento 5 Stelle dovesse confermare il suo no a un esecutivo Draghi e andare, quindi, all’opposizione i due partiti si ritroverebbero di nuovo l’uno contro l’altro e la rottura, dunque, sarebbe inevitabile.

    Insomma se l’obiettivo di Renzi era quello di “fare fuori” Conte, distruggendo l’alleanza tra Pd e M5S e dilaniando il partito di Zingaretti al suo interno, il senatore di Rignano sembrerebbe proprio essere riuscito nel suo intento.

    Leggi anche: 1. La verità che nessuno ha il coraggio di dirvi: Renzi oggi vuole solo una cosa. Spaccare il Pd / 2. Forciniti (M5s) a TPI: “Compatti nel no a Draghi, con lui la vittoria dell’austerity” / 3. Da Ilaria Capua alla conferma della Lamorgese fino alla suggestione Colao: il totoministri del governo Draghi

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