Dietro le quinte della politica, in queste ore si sta consumando una guerra fratricida sulla giustizia che sta attraversando almeno due forze politiche: il M5S ed il Pd. Gli effetti più visibili sono quelli che riguardano il movimento di Giuseppe Conte e Beppe Grillo, dove l’ex presidente del Consiglio è costretto a continui “stop and go” causati dal rapporto difficile, per usare un eufemismo, con l’ala governista guidata dal ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.
Il titolare della Farnesina è in effetti nel mirino della componente radicale, dalla ministra Fabiana Dadone (Politiche giovanili) al direttore del Fatto Quotidiano Marco Travaglio, i quali spingono Conte a porre fine alla presenza dei Cinque Stelle nell’esecutivo Draghi.
L’ex presidente del Consiglio è, per così dire, a metà del guado: il suo sentire è molto più vicino a quello di Travaglio (anzi, diciamo pure che è sulla stessa lunghezza d’onda) ma si rende conto che il prezzo di una rottura per lui sarebbe salatissimo. E quindi, chi lo conosce bene scommette che il 2 agosto, giorno in cui la Camera dovrebbe votare la riforma Cartabia, si accontenterà di pochissimo: magari di una “romanella” (nel gergo romanesco, un piatto di pasta avanzata ripassata in padella, ndr), giusto per dire che ha ottenuto qualcosa.
Ma è in difficoltà anche l’altro alleato: il Pd. Enrico Letta – il “pisano” come lo chiamano i detrattori all’interno del partito – all’inizio delle rimostranze grilline sul testo approvato all’unanimità dal Cdm aveva cercato in tutti i modi di sostenere Conte, inventandosi il non molto azzeccato “Lodo Serracchiani”.
Dopo l’affondo di Draghi sulla fiducia e le prime rimostranze dentro il partito, il segretario dem ha dovuto invece ritirare le sue ambizioni e accucciarsi sotto l’ombra rassicurante del presidente del Consiglio.
Sparita la mediazione, ora il Pd sembra scegliere Draghi “senza se e senza ma”. Perché, come sa bene il corpaccione dei dem – pieno zeppo di amministratori, locali e non, che ben sanno quali sono i rischi giudiziari per chi governa – “il Pd non può perdere il treno del garantismo”.
Qualche grana da Letta arriva anche dal collegio di Siena, dove il segretario si è candidato alle elezioni suppletive perché in caso di vittoria potrà meglio dirigere le danze in vista dell’elezione del prossimo presidente della Repubblica.
Letta sarà costretto ad andare a Canossa per blindare il collegio, ovvero incontrare e concordare il da farsi con Matteo Renzi. In caso contrario, cioè con Italia Viva che si lancia su una candidatura alternativa, il suo ritorno in Parlamento potrebbe diventare molto più arduo.