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    Meloni-leaks: i tre cablogrammi Usa sull’ascesa di Giorgia

    La diplomazia americana aveva previsto la crescita di Fratelli d’Italia. Ecco come Washington vigila da sempre sulle scelte italiane. E come, con scrupolosa attenzione, punta sui leader che verranno. L'approfondimento sul settimanale di TPI in edicola da venerdì 23 settembre

    Di Simona Zecchi
    Pubblicato il 21 Set. 2022 alle 18:52 Aggiornato il 29 Set. 2022 alle 17:58

    È il 27 marzo 2009, l’allora premier Silvio Berlusconi è impegnato da mesi a preparare la Road Map che traghetterà Forza Italia (Fi) e Alleanza nazionale (An) verso un processo di sintesi dei due partiti convogliandoli nel Popolo della Libertà. Percorso che vedrà la conclusione proprio in quella data, nel congresso nazionale fondativo durato tre giorni che ne sancirà la nascita ufficiale. E preceduto da un altro congresso, quello che registrò lo scioglimento di An.

    Quel giorno la diplomazia americana, direttamente dall’ambasciata di via Veneto, sigla un rapporto che invia agli uffici di Firenze, Napoli e Milano e all’allora Segretario di Stato Usa Hillary Clinton. Alla guida degli Stati Uniti c’era Barack Obama. Sono rapporti, non dimentichiamolo, destinati in generale a restare segreti e che si comprendono soltanto se collegati tra loro. Qualche anno prima WikiLeaks aveva pizzicato anche l’attuale segretario del Pd Enrico Letta a ereditare il ruolo dello zio Gianni (ex sottosegretario sempre al fianco di Berlusconi e occhi e orecchie di via Veneto): ovvero l’accesso strategico alla politica italiana. A pubblicare nel 2013 quei cablo, datati 2006, che indicavano Enrico Letta come «fortemente americano», fu L’Espresso.

    Le stanze di via Veneto, come è noto, sono anche quelle abitate dalle spie e chi redige il rapporto frutto di giorni di chiacchierate con il partito di Gianfranco Fini (allora leader di An e presidente della Camera) si spende in una lunga analisi dei due schieramenti che, fondendosi in un’unica anima, «lasciano molti dubbi sulla natura ideologica e strutturale e soprattutto in merito alla successione di Berlusconi». Una successione che in termini ufficiali non è mai avvenuta ma che è stata strappata via, alternandosi fino ai nostri giorni, da chi – vuoi Salvini vuoi Meloni – ne desiderava le redini. Una mancanza di ideologia, quella di Forza Italia, che nel cablo è ben sottolineata, così come la fede atlantista del suo leader. Intanto il cablo riporta la trasformazione dell’ex partito fascista in una forza politica, anch’essa sempre più atlantista, e si riferisce a Fini come colui che: «ha portato il proprio partito, la cui retorica e ideologia erano antiamericane e antisemitiche, verso una realtà mainstream».

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    Le basi di quella fusione vengono fissate dapprima nel gennaio del 2009 durante una tregua tra Silvio e Gianfranco Fini, raggiunta dopo un periodo tesissimo trascorso tra i due, anche se Fi e An erano insieme uniti contro Prodi, caduto rovinosamente e non proprio in maniera naturale (vedi le vicende De Gregorio e Mastella). Ma Silvio Berlusconi aveva tessuto la tela già due anni prima, quando una domenica di novembre del 2007, in piena crisi del governo Prodi, era arrivato a sorpresa all’incontro dei militanti azzurri a Piazza San Babila a Milano. Quel 18 novembre 2007 è poi passato alla storia recente della politica come il giorno della “Svolta del Predellino”: dal predellino della sua Mercedes il Cavaliere arringò infatti la folla di simpatizzanti annunciando la decisione di sciogliere Forza Italia e fondare un nuovo partito, il Popolo della Libertà. Un colpo di scena in puro stile berlusconiano che portò il Cavaliere, dal faticoso tramonto del suo terzo governo (autunno 2005) all’alba di una nuova stagione con il trionfo elettorale dell’aprile 2008. Giorgia Meloni, oggi definita dall’ex stratega di Trump, Steve Bannon, come una «rockstar» della politica, dopo diversi incontri avvenuti tra loro e l’avvicinamento della leader di FdI al movimento Make America Great Again di Trump, si ritrovò a soli 31 anni ministro del governo Berlusconi e leader del movimento giovanile del Popolo della Libertà.

    Sembrano – e forse lo sono – fasi andate o rimosse della politica italiana, un vecchio mondo, ma la maggior parte dei nomi che contano si ritrovano tutti in questa vicenda e alla fine la coalizione, depauperata dell’Udc, resta solida a rappresentare il centrodestra la cui anima era prima berlusconiana.

    Il nome dell’allora giovanissima Meloni appare nel cablo che qui mostriamo. Giorgia che come un politico compassato e dei più navigati, come appunto Enrico e Gianni Letta, fa capolino nelle stanze dell’ambasciata americana a Roma. Meloni in quei giorni riferisce a via Veneto dei piani che Alleanza nazionale ha per i giovani e per il Paese e rassicura gli americani che An continuerebbe a «proteggere la sua identità, i suoi valori, e la sua base di potere», pur convogliando nel nuovo partito. Inoltre, aggiunge il diplomatico nel messaggio ai suoi superiori, «continuerebbe a guidare un movimento giovanile indipendente rispetto a quello di Forza Italia». Una rassicurazione che smonta per bene l’asse dei buoni e dei cattivi della politica americana in cui a prescindere da chi la governa, in quel momento appunto Obama, a contare sono le politiche estere delle ambasciate abitate dalle spie.

    A parlare con via Veneto non è solo Giorgia ma anche il fratello del più noto big del suo partito, che non ha mai nascosto la sua simpatia per il regime fascista e che definì malati gli omosessuali: Romano La Russa, oggi tornato a ricoprire la carica di assessore in Lombardia. La Russa jr., parlando con la diplomazia Usa, sottolineava le differenze tra An e Fi: «una più rigida linea sull’immigrazione, un ruolo maggiore dello Stato nell’economia del Paese e un forte senso della nazione». Tutti valori a cui An non avrebbe rinunciato divenendo all’interno del Pdl «un blocco compatto che avrebbe attratto sempre più seguaci». Una profezia che nonostante le trasformazioni in “partito mainstream”, e con le varie modifiche subite nel tempo anche del nome, sembra dare ragione al fratello di Ignazio La Russa, elogiato in alcuni cablo del 2011 dalla stessa diplomazia americana come amico e fine stratega, indispensabile allora per le posizioni italiane sull’Afghanistan. Definizioni persino riportate come fiore all’occhiello in un vecchio sito del politico. Le posizioni che l’Italia prende in questa o quella crisi mondiale, infatti, per gli Stati Uniti erano allora, come oggi nella questione russo-ucraina, fondamentali.

    Chi redige il report, poi pubblicato da WikiLeaks, mette a fuoco con 13 anni di anticipo la struttura di quello che oggi conosciamo come Fratelli d’Italia.

    «Contatti sia in Fi che in An», è scritto nel cablo, «ci dicono in privato che vogliono che il partito vada oltre le sue origini “carismatiche”. Nell’ambiente post-Berlusconi», continua il diplomatico che non si firma, «An vedrà sempre di più posizionarsi così da portare avanti i suoi interessi e le sue figure politiche, perché i suoi politici godono di una forte reputazione locale e sono ideologicamente e strutturalmente forti rispetto a Forza Italia che avrà meno elementi su cui contare». È il quadro perfetto di oggi, basta cambiare il nome del partito e dare un volto alle forti figure che lo guidano, su tutte quella di Giorgia Meloni.  Al cablo di cui qui parliamo sono allegati infine altri due rapporti, firmati dall’ex ambasciatore Richard Spogli, in cui via Veneto registra il crollo del centrosinistra e dove l’instabilità del governo in realtà viene vista come «bad news for the far left and good news for us» («una cattiva notizia per l’estrema sinistra e una buona per noi)». È questa la ragione, si legge, per cui il rapporto doveva restare segreto (“reason 1.4”).

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