“Se io fossi primario in un ospedale milanese e uno dei miei medici avesse con sé una pistola, non so se chiamerei prima la guardia psichiatrica o la polizia. Di certo, in una corsia quel medico non ci resterebbe un minuto di più”: Gino Strada ha commentato così le dichiarazioni di Luca Bernardo, primario di pediatria al Fatebenefratelli e candidato sindaco di Milano per il centrodestra, che ha ammesso di portare con sé una pistola quando si reca in ospedale perché “minacciato” .
Bernardo, che detiene un porto d’armi, ha dichiarato di non portarla “in corsia tra i pazienti”. Eppure per Strada, medico e fondatore di Emergency, che ha lavorato a lungo in contesti estremi e teatri di guerra, portare una pistola in ospedale, anche in situazioni di pericolo, è una “negazione dell’essere medici”. “Io non ho mai portato una pistola, né in ospedale né altrove, e trovo che sia una negazione dell’essere medico”, ha dichiarato in un’intervista a Repubblica.
Tanto da chiedere ad uno dei medici del suo staff, che voleva procurarsi un’arma per sentirsi più sicuro, in missione in Afghanistan, di restare a casa. “Era determinato a tenersi un’arma anche in ospedale, per difesa personale. Gli abbiamo detto di rimanere a casa. Ma lo abbiamo mandato via per proteggere lui, attenzione, non era per punirlo. Perché un ospedale in cui entra una pistola è la totale negazione di quello che dovrebbe essere un ospedale”, ribadisce Strada.
“Io non metto in discussione che qualcuno possa avere un porto d’armi, ma il punto è che ce l’abbia un medico. Detto questo, se uno proprio deve avere una pistola, cosa che per me è inconcepibile, ma perché deve portarla in ospedale? Perché non può lasciarla a casa? Un ospedale, come dice la parola stessa, deve essere “ospitale”, non può mai esserci qualcuno che potenzialmente potrebbe uccidere con un’arma. Queste dinamiche devono stare fuori dall’ospedale, sennò lì il nostro ruolo è finito. Violare questo principio credo sia di una gravità estrema”, continua il medico.