Paragone, siete riusciti a raccogliere le firme per presentarvi alle politiche?
«Sì! Un miracolo».
Cioè?
«Ci avevano sottovalutato: pensavano di farci fuori con un trucco, e invece eccoci qui, adesso ci divertiamo davvero».
In che senso?
«Il Palazzo si era fatto le sue regole a misura».
Ovvero?
«Nessuno dei partiti in Parlamento ha dovuto raccogliere le firme. Noi invece ne abbiamo dovuto raccogliere 40mila, per giunta a Ferragosto! Che ne dici delle regole democratiche? Un orrore. Ma meglio così».
Sei sarcastico?
«No, sono serio».
Cioè?
«Potevano ucciderci. Ma visto che non ci sono riusciti metà della nostra campagna elettorale è già fatta. Loro sono imballati, ancora al palo».
Siete ovunque?
«In tutta Italia tranne che in Molise. Ci siamo messi ventre a terra. Supereremo di certo il quorum».
Chi ti vota?
«Gente con qualsiasi provenienza. Ovunque vada, mi viene riconosciuto un ruolo di testimonianza democratica».
Italexit è un partito no vax, però.
«Noooh…!!! Quello sui vaccini è solo l’ultimo pezzo della nostra storia».
E gli altri?
«Diritti dei lavoratori, difesa dell’economia reale rispetto all’economia finanziaria, lotta allo strapotere delle banche».
Sei a destra della Lega?
«Balle. Io spiego da anni che destra e sinistra non vogliono più dire nulla».
Il fatto che tu lo dica non significa che sia vero. Non ti senti un qualunquista?
«Per nulla. Combatto il potere che dall’alto schiaccia il basso».
Di chi parli?
«Dell’Unione europea, dell’Oms e della Nato, se vuoi una rosa sintetica».
Sei contro tutto.
«Al contrario. Io rivendico il ruolo della Costituzione italiana e la sovranità degli Stati contro gli organismi non legittimati dal voto».
Sono antisistema anche M5s e Lega?
«No, ti prego! Hanno entrambi le mani sporche di farina draghiana. Ormai sono stati stanati dagli elettori».
In che senso?
«Cercano inutilmente di rifarsi una verginità. Ma non gli crede più nessuno».
La Meloni non ha votato Draghi, però.
«Ha votato contro alcune cose ma non contro tutte. Sull’invio delle armi – per dire – ha votato come il governo. Giorgia oggi è più atlantista ed europeista di ieri».
Potresti votarle la fiducia.
«No, mai. Proprio per i motivi che ti ho detto».
Cosa non ti piace della Nato?
«Ha esaurito la sua funzione storica. La Nato ha le sue gravi responsabilità sul conflitto in Ucraina. Ha voluto la guerra. “Ha abbaiato alle porte della Russia”, come dice Papa Francesco.
La crisi energetica però è colpa di Putin?
«Veramente la Russia ci ha fornito energia a prezzi convenienti».
Sei filo-russo.
«Sono contro qualsiasi sanzione: misure che non fanno danno alla Russia, ma che – come si vede – danneggiano la nostra economia, colpendo in primo luogo lavoratori e imprenditori».
E tu cosa faresti invece?
«Voglio tassare tutti i profitti energetici, impedire che qualcuno guadagni su questa catastrofe».
C’è un legame tra la guerra e il caro energia?
«Ovviamente sì. Spiego agli elettori che l’Europa ha voluto partecipare a questa guerra e che ora ci vuol fare anche pagare il prezzo in bolletta, rinunciando a imporre qualsiasi tetto al prezzo del gas».
Gianluigi Paragone, 51 anni. Ex conduttore televisivo, oggi animatore di Italexit, l’unico dei partiti non tradizionali che nei sondaggi supera il 3%: «Saremo l’unica sorpresa del nuovo Parlamento. Siamo gli unici anti-sistema».
Sei cresciuto a Varese, un figlio del profondo nord, un ex direttore de La Padania. Adesso chiedi voti in tutta Italia.
«Mio padre si considerava “un terrone” ed era orgogliosissimo di esserlo».
Addirittura.
«La mia famiglia è di San Giorgio La Molara, provincia di Benevento».
Ma tu ci sei mai stato?
«Stai scherzando? Anche io conosco il dialetto, lo parlo, quando andavamo giù, io facevo una full immersion linguistica e comunicavo soltanto così. Sono orgogliosamente terrone pure io».
Che lavoro faceva tuo padre?
«Era un manager: per tanti anni dirigente a Seat pagine gialle».
Un posto d’oro?
«Pensa che quando facevano le loro classifiche aziendali lui risultava sempre uno dei primi agenti in Italia, sia per fatturato che per reddito».
E tua madre lavorava?
«È sempre stata a casa. La nostra educatrice. Aveva fatto le Magistrali».
Hai girato l’Italia?
«Ho vissuto anche a Pescara. Avevo cinque anni, bei ricordi di infanzia spensierata: poi sono tornato a Varese, ho fatto tutte le scuole in Lombardia».
Quando eri piccolo cosa sognavi di diventare?
«Non mi sono allontanato di molto dal mio obiettivo: sono della generazione 90esimo minuto, mi sognavo nei panni del giornalista sportivo».
Tu e tuo padre parlavate di politica?
«Sì, ma spesso per litigare».
Perché?
«Lui da ragazzo era socialdemocratico. Aveva votato a lungo Psdi, poi era diventato socialista fino al patatrac di Tangentopoli, quando salta tutto per aria e con le inchieste lui si ritrova orfano, addirittura di due partiti».
Mentre tu?
«Io ero già anti-sistema, fin dalla scuola. Per me la corruzione era una infamia. Confesso che allora non avevo sentimenti garantisti».
Frequenti il classico al Cairoli, il liceo delle élite varesine.
«A scuola ho conosciuto uno dei miei migliori amici Alessandro Alfieri senatore del Pd».
Vi parlate ancora?
«È il mio testimone di nozze! Siamo usciti insieme da scuola con la stessa maturità, e poi, per puro caso, siamo entrati insieme in Parlamento».
Eri di destra, e fanatico degli sport.
«Sugli sport non hai idea… Ho fatto basket, calcio, judo e nuoto. Poi ho iniziato a suonare il pianoforte. Ma non avevo ancora una identità politica, ho fatto anche una lunghissima esperienza con lo scoutismo che mi ha dato una forte impronta sociale».
Tutto quello sport, la Meloni sarebbe contenta.
«Pensa: anche papà e mamma erano certi che quelle attività fossero il miglior antidoto contro la droga. Ti devo dire che avevano ragione».
Eri rappresentante di classe, poi sei diventato rappresentante di istituto, con il Fronte della Gioventù.
«Vuoi la verità? Al primo anno ero candidato in una lista creata dai giovani del Msi, perché mi piaceva follemente una ragazza che l’animava».
Confessa!
«Non ci crederai, ma non sono stato neanche eletto».
Missino per amore. E l’anno successivo?
«Sono stato eletto, con una lista meno caratterizzata. Ma figurati se mi vergogno delle idee che avevo a quindici anni. Sono orgoglioso di tutto quello che ho fatto nella mia vita».
E la maturità?
(Ride). «Facevo di tutto tranne che studiare. Ho ho preso il minimo, un 36».
E l’Università?
«Mi sono iscritto e laureato, con grande soddisfazione, in Giurisprudenza.
Però inizi anche a fare il giornalista.
«Alla Prealpina: giornale locale. Cronaca di strada e gavetta. Mi trovo un posto, ma partendo da sottozero. Immagina che scrivevo cronache minori e spesso compilavo i tabellini di tutto il calcio locale. Un incubo».
Cioè?
«Bastava sbagliare un risultato di terza categoria, ti ritrovavi cento lettere di insulti e finivi a casa».
E poi?
«Confesso, ero bravo. Quando arrivò la bufera di Tangentopoli c’era bisogno di gente che corresse da un’aula ad un commissariato, cronisti che consumassero le scarpe».
E tu?
«Ero fatto così, e professionalmente esplodo».
Eri forcaiolo, confessa.
«Me lo dici come se fosse un crimine. Ma quello che scoperchiavamo con i nostri pezzi era un mondo di corruzione bruttissimo».
Quando fai il salto?
«Non c’è mai un solo giorno o un solo pezzo: ma ricordo distintamente una intervistona a Maroni che è stata la mia prima pagina importante».
Diventi leghista.
«Ero amico di Giorgetti».
Come lo eri diventato?
«Da cronista. Pensa, l’ho conosciuto un secolo fa, quando era ancora sindaco di Cazzago Brabbia».
Ma…
«Per noi “Giorgetti” era suo padre, il mitico Natale Giorgetti presidente della cooperativa dei pescatori del lago di Varese.
«Parlavate di indipendentismo e secessione?».
(Ride). «Io a dire il vero ricordo giornate passate a discutere deI lucioperca».
Ah ah ah. E come era il giovane Giorgetti?
«Juventino sfegatato, conoscitore maniacale del calcio inglese».
E poi la politica.
«Macché. Si raccontava come appassionato di rock e suonicchiava discretamente la batteria».
Una foto con lui ai piatti e tu alla chitarra sarebbe compromettente.
(Ride). «Mai suonato insieme. Siamo andati in Inghilterra, però, a vedere insieme il Southampton!».
E quando è che sei diventato direttore?
«Quando mi hanno messo in mano la Tv di Varese».
Area Lega. È così che diventi direttore de la Padania?
(Ride). «Vuoi sapere la verità? Giorgetti dice alla moglie di Bossi: “Perché non ci mettiamo Gianluigi?”».
E Bossi?
«Il nostro nuovo direttore è Paragone».
Ah ah ah. Ed è così che hai conosciuto il giovane Salvini.
«Sinceramente non avrei mai pensato che diventasse leader. Ma nessuno lo avrebbe mai detto».
E in seguito?
«Ho capito che stava rovesciare i rapporti di forza quando ha iniziato a frequentare l’Ultima parola, il nostro mondo».
Cioè?
«Borghi, Bagnai, Rinaldi.. Ha avuto il coraggio di buttare tutto il passato a mare e di reinventarsi sovranista».
Sei arrivato in Rai, e ci sei andato in quota Carroccio, confessa.
«Come tutti. Dai direttori, ai dirigenti, ai conduttori: chi ti dice di essere entrato a viale Mazzini in quota spirito santo, ti racconta balle».
Però tu sei entrato con cravatta e occhialini e sei uscito con la chitarra elettrica al collo e sovranista.
«Direi di più: anti-europeista. Meglio ancora: anti-unionista. Come vedi è dieci anni che lavoro su questi temi».
In quel periodo, però, ti sentivi anche con Berlusconi.
«Sì, ma è durato poco. Il mondo dell’Ultima parola non era il suo mondo».
Tu hai cambiato pelle, idee.
«Sì, ma come è evidente, non per una scelta di convenienza. Cambiavo perché mi convincevo che quella fosse la risposta giusta. E a viale Mazzini il settimo piano cercava di controllarmi».
Quando è diventata dura?
«Quando hanno iniziato a volere le scalette il giorno prima».
Ahia. E che facevi?
«Gli mandavo le scalette. Ma false».
E cosa accadeva?
«Gubitosi cercava di marcarmi a uomo».
Ma su cosa scattava l’incidente?
«Su tutti. Ad esempio perché criticavo Napolitano. Oppure perché davo il microfono a Don Gallo e a tanti altri eretici di ogni tipo: pensa a Barnard. A Messora. A Cremaschi…».
Sei diventato grillino.
«Davo spazio a chiunque fosse fuori dal pensiero ufficiale. L’Italia era nelle mani di Mario Monti, e a me pareva una catastrofe. Non mi sbagliavo».
La Rai prova a cacciarti?
«Mi danno una trasmissione musicale. Io la maschero e diventa l’ultima parola. E allora un giorno arriva un ometto di Gubitosi e mi pone un veto: “Tu non devi parlare di politica!”».
Prevedibile…
«Arrivo a fine stagione con ottimi ascolti. Mi chiama Cairo. Aveva bisogno di qualcosa di forte a La7 e gli piaceva il nostro talk: nasce la Gabbia».
Rimpiangi quel programma?
«Con gli occhi di poi, i due ultimi anni in Rai sono il primo capitolo di quel che abbiamo fatto a La7: inchieste toste, fatti, polemiche».
Poi passi alla politica.
«Arriva il nuovo direttore, Andrea Salerno e mi dice: “Non rientri nei miei programmi”. È un benservito».
E diventi un front man del M5s
«I miei interlocutori erano Pietro Dettori, Alessandro Di Battista, Davide Casaleggio. Non sono “andato”. Mi sono ritrovato esattamente dove ero arrivato con la Gabbia».
Parlavi con Casaleggio padre?
«Avevo un rapporto: abbiamo discusso di tecnologie, social, futuro, Blockchain. Chissà cosa direbbe oggi».
Poi hai mollato anche il Movimento.
«Perdonami: è il Movimento che si è suicidato. Mi spieghi che cosa c’entravo io nel governo con il Pd che è il partito garante del sistema? Ho votato contro chi ha ucciso la grande speranza di cambiamento del 2018».
Hai condotto la serata da Rimini in cui Di Maio è diventato leader M5s.
«Io mi ero avvicinato al Movimento su un punto: la battaglia contro il decreto Lorenzin sulle vaccinazioni. Lui come sai ha cambiato le sue idee, io, anche in questo, sono rimasto dove ero».
Non voti la fiducia al governo giallorosso, ti espellono dal M5s.
«Vatti a rileggere cosa dissi al Corriere della Sera costringendoli a buttarmi fuori».
Cosa?
«Di Maio ha occupato troppi ruoli, il M5s, se diventa la spalla del Pd, muore. È quello che è accaduto, con Luigi che è passato dai gilet gialli e dalle invettive su Bibbiano al ruolo di alleato del Pd».
Italexit era la versione italiana del Brexit party di Farage, che però non esiste più.
«Siamo partiti da zero e abbiamo fatto politica: adesso siamo in campo per superare lo sbarramento, unici, fra chi non è in Parlamento, che possono farcela. L’unica forza nuova della politica italiana siamo noi».
Hai candidato tutti i No vax d’Italia. Puzzer, la Schilirò…
«Ho unito tutti quelli che erano disposti a proseguire nelle istituzioni la comune battaglia per la libertà di cura».
Hai candidati di estrema destra nelle tue liste.
«Ho candidati che vengono da sinistra e da destra. Cosa fossero prima non mi importa. Te lo ripeto: le ideologie del Novecento oggi non significano più nulla».
E le teorie no euro, dopo la guerra dove sono finite?
«Se c’è un momento in cui si è dimostrato che avevamo ragione su tutto è proprio questo, quello che sta accadendo in Occidente dopo la guerra in Ucraina».
Perché?
«Sia la pandemia che la guerra hanno dimostrato l’inadeguatezza delle istituzioni e dei poteri che ci hanno imposto le loro regole. Il patto di stabilità è morto, ma nessuno ha il coraggio di dirlo».
Ovvero?
«La guerra è diventata un affare per i mercanti d’armi e una condanna a morte per le nostre economie. I vaccini sono stati imposti cacciando i lavoratori dai loro impieghi e privandoli dei loro diritti costituzionali nel silenzio generale».
La crisi energetica è colpa del conflitto?
«È figlia di tante cause, ma il conflitto ha fatto da detonatore».
Cioè?
«L’Occidente ha fatto esplodere il prezzo del gas con le sanzioni».
Però tu hai detto che combatti le sanzioni.
«Certo! La Russia ci ha fornito energia a prezzi convenienti e bloccati. Siamo noi che ci stiamo staccando dal gas russo».
Quindi contesti che sia colpa di Putin?
«Lo vedono tutti che questa crisi energetica è anche figlia di uno sciacallaggio».
Quale?
«Quello delle grandi società energetiche che stanno speculando sui vecchi contratti. Hanno forniture a prezzo imposto, ma vogliono aumentare i loro profitti, approfittando della crescita dei prezzi. È tutta una finzione».
Quale?
«Mettiamo sanzioni alla Russia e poi dialoghiamo con l’Azerbajan come se non avesse nulla a che fare con Mosca».
Compriamo più gas dai Paesi africani.
«Benissimo diversificare, per carità. Ma se poi andiamo a controllare l’azionariato e i fornitori di quei gruppi si scopre che c’è sempre dietro la Russia. Ci fa comodo racontare che abbiamo chiuso con Mosca. Ma semplicemente non è vero».
Non ti preoccupa venire a patti con una autocrazia?
«Se il risultato finale è che nel Mediterraneo comanda la Turchia mi preoccupo».
Perché?
«Non affiderei ad Erdogan un ruolo di arbitro. Sta giocando una furba partita, da sultano. E a noi ci raccontano la favolettta che trattiamo solo con i buoni. Beh, non è vero…».