Matteo Renzi cavalca tutto quello che c’è da cavalcare per promuovere il suo libro, (“Controcorrente”, in uscita il 13 luglio), dal DDL Zan al Reddito di Cittadinanza, per farci credere – o peggio per far credere al suo ego smisurato – di essere ancora un personaggio politico di rilievo.
Come la tipa di American Beauty che sciolta in un pianto disperato, entra in macchina e si racconta, specchiandosi nel retrovisore, che “per avere successo è basilare proiettare un’immagine di successo, in qualsiasi momento”.
Ma in realtà, sia dentro che fuori, è devastata dai suoi fallimenti e dalle sue contraddizioni. Allo stesso modo Matteo Renzi se ne esce a sorpresa con la proposta di abrogazione del Reddito di Cittadinanza citando il 2022 come orizzonte temporale, anche se chiamare i cittadini ad esprimersi sul RDC il prossimo anno sarebbe tecnicamente impossibile.
Proprio lui che di recente dava lezioni sui regolamenti del Senato alla dottoressa Ferragni, dovrebbe sapere che l’iter procedurale di un referendum abrogativo è molto complesso.
Prima di tutto la richiesta di referendum deve essere avanzata entro il 30 settembre di ogni anno ma non è possibile presentarla nell’anno precedente lo scioglimento delle Camere (cioè nel 2022) e nemmeno nei 6 mesi successivi alle relative elezioni. Pur non essendo ancora nota la data delle politiche del 2023, se non presentato entro il 30 settembre il quesito referendario, posto, ovviamente, che nel frattempo si sia riusciti a raccogliere le firme di 500.000 elettori e l’ok della Corte – che deve tenersi di norma tra il 15 aprile e il 15 giugno, potrebbe slittare addirittura fino al 2024.
Insomma del referendum abrogativo grazie al quale Renzi tiene banco nel dibattito pubblico da ventiquatt’ore si riparlerà nel migliore dei casi tra due anni e mezzo. In un contesto politico ultra liquido come è quello attuale italiano, in cui l’azione politica è votata all’immediatezza?
Chiaramente Renzi sa bene che la sua ad oggi è solo pura propaganda ma gioca come sempre sul filo dell’ambiguità per raccogliere almeno la luce di qualche riflettore. L’aspetto positivo è che il senatore ha perso da tempo qualsiasi credibilità agli occhi dell’elettorato di terra, di mare e di cielo, non se lo filano più come una volta nemmeno Maria Elena Boschi e Maria Teresa Meli.
Quello negativo è che come al solito il senatore semplice giganteggia per arte oratoria al cospetto dei vari Fedez e Chiara Ferragni, nonostante gli altri, a differenza sua, detengano il monopolio dei talk show sui social network. La coppia più influencer d’Italia però, al contrario di Renzi, si butta a pesce solo su questioni già ampiamente condivise a livello sociale (la battaglia sul disegno di legge contro l’omotransfobia è squisitamente politica, i numeri mancano in aula ma non nelle piazze) mentre si tiene lontanissima dai temi più controversi come ad esempio proprio quello sul Reddito di Cittadinanza rispetto al quale non esiste un’opinione pubblica matura e prevalente ma un giudizio ancora estremamente ricco di sfumature.
Ma non sarebbe proprio questo, quello del pensiero informe, il caso in cui spendere la propria influenza d’opinione potrebbe essere più utile? Più utile per gli altri, certo, per i follower, ma non per chi deve infilare le mani in un ginepraio per cavarne un ideale di senso compiuto, rischiando di scontentare la maggioranza – che non avendo ancora espresso la propria preferenza di acquisto non è ancora cliente di nessuno.
Ed è chiaro che se non assecondi i desideri degli acquirenti il rischio che corri è che quelli si rivolgano alla concorrenza. È così che l’attacco (farlocco, come abbiamo visto) di Italia Viva al dispositivo di ammortizzazione sociale destinato alla popolazione più povera, non diventerà mai famoso, non gli sarà mai dedicata una diretta da milioni di visite, non avrà mai un neonato per testimonial, non si troverà mai al centro di uno scazzo tra titani sui social.
Il partitino di Renzi ha lanciato ieri la proposta di un referendum “perché vogliamo che siano gli italiani a dire se il Reddito di Cittadinanza è diseducativo e va mantenuto o no”. Ma se nemmeno Superman col suo bagaglio di superpoteri potrebbe mai pensare di andarsi a schiantare contro una lastra di criptonite e rimanere illeso, figuriamoci se Renzi, forte appena di un 2%, possa realmente pensare di andare a sbattere contro un altro 4 dicembre senza rimanerci secco.
Chiaramente il messaggio dell’ex segretario del PD (fa male ricordarlo ma è peggio se ce lo dimentichiamo) è rivolto alla Confindustria. Ovvero alla parte produttiva del Paese, alla locomotiva e mica ai passeggeri, al grande capitale e non al popolo del web. Cioè, ironia della sorte, ai Ferragni e ai Fedez. I quali non è un caso che proprio su questa questione non abbiano niente da dire, commentare, opinare.
Alcuni loro affezionati spingitori mi spiegano su Twitter con un’ingenuità disarmante che la coppia ha deciso di prendere parola solo rispetto ai diritti civili, “mentre i sussidi sono temi politici”. Come se le battaglie per la giustizia sociale non avessero a che vedere con i diritti ma fossero roba da manuale Cencelli, avulsa dalle reali esigenze delle persone comuni.
Ma la giustificazione più gettonata è un’altra: “non devono avere per forza un’opinione su tutto, sono imprenditori, non politici”. Centro! Se uno di mestiere fa tutt’altro e non ha tempo materiale di informarsi a dovere sul Ddl Zan, anche io credo che potrebbe semplicemente esimersi dal commentare.
Ma invece i Ferragnez commentano tranquillamente senza cognizione di causa la legge Zan e il voto segreto al Senato, ma non ci sono – o se ci sono dormono – quando si tratta di materie che potrebbero incidere negativamente sulla loro attività di imprenditori.
Come parlare di sfruttamento della manodopera in Amazon o prendere posizione contro gli industriali che lamentano di non trovare più persone disponibili ad essere pagate due lire per lavorare, perché i sostegni statali contro la povertà assoluta farebbero da deterrente. La verità è che il nostro reddito di cittadinanza dovrebbe sì essere rivisto ma nel senso che andrebbe migliorato, non cancellato. Fin dalla sua approvazione, i beneficiari del RDC sono stati criminalizzati, la povertà è diventata una colpa, il sussidio ha avuto un costo elevatissimo in termini di disonore sociale.
La pandemia ha attenuato questa colpevolizzazione perché tutto il tessuto produttivo italiano si è trovato in ginocchio e chiunque ha usufruito di aiuti governativi. Soprattutto i ricchi ereditieri che adesso alzano le barricate contro gli aiuti alle fasce più deboli. E quindi per un lungo anno tutti assolti, nessuno si è più scagliato contro questi fantomatici giovani che nel fiore dei loro anni migliori aspirano a trascorrere le loro giornate sdraiati sul divano, ad ammazzarsi di niente e vergognarsi di tutto, invece di realizzarsi personalmente e socialmente attraverso il loro lavoro.
Ma questo argomento, quello del lavoro, non ha testimonial potenti o agitatori di spicco in Italia. Solo detrattori, che come ha fatto il leader del partito che non c’è possono dire qualsiasi sciocchezza e tenere comunque banco per intere giornate o intere dirette Instagram. D’altra parte, tutto si tiene, dai diritti civili al reddito minimo di inserimento sociale, da Fedez a Renzi, il dibattito pubblico nel nostro paese ormai ha fatto della mediocrità e dell’inconsistenza la sua cifra.
Ma ora è anche chi assiste che dovrebbe iniziare ad alzare la sua asticella perchè se ci si accontenta di chiunque parli senza interessarsi di cosa abbia da dire, la responsabilità di questo disastro è condivisa anche con il pubblico che applaude per nulla.
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