Eutanasia, Marco Cappato: “Casellati fa pressioni alla Consulta? Intervenga Mattarella”
A sei giorni dalla scadenza degli undici mesi concessi dalla Corte costituzionale al Parlamento per discutere e legiferare sul tema del fine vita, il Senato avrebbe chiesto in via informale alla Consulta una proroga. Su mandato unanime dei capigruppo, la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati avrebbe effettuato una telefonata informale alla Corte chiedendo più tempo per affrontare la discussione sul fine vita. Così unanime, ma soprattutto ufficiale, però, questo mandato non sembra. “Non ne so nulla, è una voce che gira”, ha dichiarato la senatrice dem Cirinnà a TPI.
Nell’ottobre del 2018 la Consulta è stata chiamata a esprimersi sulla legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio – che prevede fino a 12 anni di carcere per “chiunque determina altri al suicidio o rafforza l’altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l’esecuzione” – contestato al leader dell’associazione Luca Coscioni, Marco Cappato, per la morte di Dj Fabo.
Riservandosi interventi successivi e ritenendo che l’argomento fosse di competenza parlamentare, i giudici della Consulta hanno concesso undici mesi per colmare il vuoto legislativo sul fine vita, rinviando la decisione al 24 settembre 2019. Undici mesi sono passati, ma nulla è cambiato. A ridosso della scadenza ormai imminente, il Senato sta ora cercando di ottenere questa proroga, ma la chiamata informale della presidente Casellati ha scatenato le accesissime proteste dei parlamentari M5S che si occupano di fine vita.
“Non bisogna interferire nei lavori della Corte in modo che si possa esprimere senza ulteriori rinvii”, hanno dichiarato in una nota stampa. Per capire meglio i contorni della vicenda, TPI ha raggiunto telefonicamente il protagonista della vicenda giudiziaria da cui scaturisce la richiesta della Consulta, Marco Cappato.
Non so se ci sia un verbale della conferenza dei capigruppo dove si attesta questa volontà dei capigruppo. Dovrebbe esistere un documento ufficiale….
Qui c’è qualcosa che non va. Io in un tweet ho appunto chiesto ai parlamentari di dire qualcosa. A mio parere, in ogni caso, è una violazione delle prerogative istituzionali del presidente del Senato, perché la telefonata non è una forma istituzionale di dialogo, nemmeno se ci fosse l’unanimità dei gruppi politici.
Una telefonata per dire che cosa? Dov’è registrata questa telefonata? Qui stiamo parlando di un processo dove c’è una persona che rischia dai 5 ai 12 anni e di un’udienza fissata dalla Corte Costituzionale per decidere di questo processo, da cui dipende la libertà o il carcere di una persona. C’è un obbligo di atti formali, non di telefonate. Se questa telefonata fosse stata fatta dietro mandato unanime dei capigruppo sarebbe comunque una cosa grave. Senza un mandato sarebbe doppiamente grave, doppiamente abusivo.
No, è decisamente una pressione. Essendo informale è comunque fuori dalle competenze e prerogative del presidente del Senato. Io penso che se questo viene rivendicato come mandato dei capigruppo, allora la telefonata deve essere pubblicata, devono essere date delle spiegazioni sul perché si è deciso di procedere così. Altrimenti siamo in una situazione in cui, su un tema del genere, si sta esercitando una pressione in modo totalmente opaco e quindi abusivo.
Io credo che questo sia un tema che deve affrontare il Parlamento, il governo non aveva alcun ruolo nella vicenda. Quello che è successo è che il Parlamento in undici mesi di tempo non ha compiuto alcun atto. Nemmeno il Senato, ed è vero che il provvedimento è stato incardinato alla Camera, ma non è che il Senato si è riunito, ha votato una mozione, qualsiasi cosa, con la quale avrebbe potuto rivolgersi formalmente magari anche alla Corte Costituzionale. Certo, sarebbe stato un po’ curioso vedere il Senato che con un atto chiede alla Consulta più tempo, ma quantomeno sarebbe stata un’assunzione di responsabilità.
Qui invece siamo di fronte alla totale mancanza di responsabilità, il Senato non ha fatto nulla, la Camera non ha fatto nulla. Sono in atto delle pressioni della Conferenza Episcopale Italiana e della presidente del Senato nei confronti del più alto organo giurisdizionale della Repubblica.
Penso che ci sia materia per interventi di chiarimento da parte dello stesso presidente della Repubblica. Non è che la Corte è un organo politico che può difendersi da solo, non ha strumenti per farlo. A questo punto, il presidente della Repubblica, che invece ha questi strumenti, dovrebbe farsi sentire e chiarire qual è il perimetro delle responsabilità istituzionali di ciascuno.
La nostra campagna “Eutanasia legale” da sei anni a questa parte ha tra i propri motti “il Parlamento si faccia vivo”. Il Parlamento si è esautorato da solo per sei anni, nessuna di queste persone ha fatto nulla di concreto per discutere questa legge, perché la realtà è che non vogliono discuterla ma vogliono semplicemente impedire alla Corte Costituzionale di deliberare in materia di diritti costituzionali, che è esattamente ciò che compete alla Corte.
Veniamo alla manifestazione di domani: io non lo sapevo che sarebbe successo tutto questo, ma l’obiettivo della manifestazione era esattamente quello di togliere questo tema dal chiuso dei corridoi di palazzo e restituirlo all’opinione pubblica.
Da questo punto di vista, la manifestazione di domani diventa ancora più importante. Per questo vorrei ringraziare Nina Zilli, Neri Marcoré, Roy Paci, il Muro del Canto, Dj Coccoluto e tutte le personalità che interverranno, da Valeria Imbrogno, fidanzata di Fabo, a Beppino Englaro e Mina Welby, perché la piazza di domani assume proprio il significato di difendere il corretto processo istituzionale su questo tema, difenderlo dalle pressioni indebite.
Naturalmente la piazza di domani chiede che il Parlamento faccia una legge, ma che faccia una legge per davvero. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale, definiti i principi della materia, a quel punto il Parlamento avrà tutti gli elementi per regolamentare tutti gli aspetti e le condizioni operative per accedere all’aiuto alla morte volontaria.
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