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    Elezioni europee: “Ecco come l’Italia nega il diritto di voto agli italiani che non vivono nell’Ue”

    Credit Ansa/Jan Woitas/dpa-Zentralbild/dpa

    Una legge del 1979, mai riformata, impedisce di votare a chi risiede in Paesi extracomunitari. In vista delle elezioni di maggio un'associazione di studenti che vivono all'estero ha lanciato una petizione per spingere il Parlamento italiano a intervenire

    Di Gabriele Cruciata
    Pubblicato il 12 Mar. 2019 alle 10:44 Aggiornato il 12 Set. 2019 alle 02:07

    Mentre i 27 Stati dell’Unione europea si apprestano al voto del Parlamento europeo previsto per il prossimo 23-26 maggio, l’Italia è l’unico membro fondatore a negare di fatto ad alcuni dei propri cittadini uno dei diritti basilari della nostra democrazia.

    Gli italiani residenti in Paesi extra-Ue non avranno infatti la possibilità né di votare per corrispondenza né di recarsi all’ambasciata più vicina, come avrebbero diritto di fare per qualunque altro tipo di elezione.

    Qualora volessero esprimere una preferenza, dovranno tornare in Italia, a differenza di ciò che succede nella maggior parte dei Paesi membri. La causa è una legge datata 1979.

    Una questione politica

    Per questo motivo Lo Spiegone, un’associazione di studenti e studentesse dal background internazionale, ha di recente avviato una petizione per invitare il Parlamento italiano a modificare tale legge, estendendo anche alle elezioni europee la possibilità per gli italiani residenti in Paesi extra-UE di votare per corrispondenza o in ambasciata.

    “Quando siamo venuti a conoscenza di questa storia siamo rimasti disgustati, non riuscivamo a capire perché il nostro Stato sembrasse volerci limitare un diritto così importante per la vita democratica”, spiega Fabio Angiolillo, co-fondatore dell’associazione. “Con la nostra campagna #IoVoglioVotare vogliamo incoraggiare una modifica della legge e contribuire a dare alle nuove generazioni una scossa nella direzione dell’Europa e dei diritti”.

    Secondo Angiolillo, che vive a Hong Kong, la principale motivazione di tale situazione sarebbe un’ignoranza diffusa nel Paese riguardo all’Unione Europea, alle sue istituzioni e al loro funzionamento.

    “I dati sull’affluenza alle elezioni europee ci dicono che gli italiani, politici compresi, sanno poco o niente dell’Ue, e quindi garantire anche a noi la possibilità di votare non è una priorità”. Angiolillo rincara poi la dose: “A causa di questa legge, noi italiani fuori dall’Ue siamo cittadini svantaggiati rispetto sia ai nostri connazionali sia agli altri europei che, pur vivendo ai quattro angoli del mondo, possono sempre votare con relativa facilità”.

    Secondo il co-fondatore de Lo Spiegone, dietro la mancata modifica della legge del 1979 ci sarebbe anche la mancanza di volontà politica: “Un italiano che vive fuori verosimilmente se ne è andato per mancanza di possibilità nel proprio Paese, e quindi è più propenso a dare un voto contro l’establishment che non a favore”. Gli italiani residenti fuori dai confini dell’Unione europea costituiscono un tesoretto elettorale di circa tre milioni di voti.

    La normativa

    La legge numero 18 del 1979, promulgata in occasione delle prime elezioni europee della storia, rappresenta la legge elettorale italiana per quel che riguarda il Parlamento europeo.

    Il testo ha subito varie modifiche nel corso del tempo, la più recente delle quali nel 2009. Ma nessuno di questi interventi ha garantito un miglioramento delle condizioni per chi vive fuori dai confini dell’Unione europea.

    Si tratta di un caso unico tra i Paesi fondatori dell’Ue: solo Bulgaria, Cipro, Danimarca e Grecia presentano lo stesso problema. Nonostante un invito ufficiale ma non vincolante emanato dal Consiglio dell’Unione a luglio 2018, l’Italia non ha adeguato la propria legislazione in materia.

    Secondo il professor Fulco Lanchester, titolare della cattedra di Diritto Costituzionale italiano e comparato alla Sapienza di Roma, ci sarebbero due principali motivazioni dietro questa storia quarantennale. “Da un lato in alcuni Paesi potrebbe essere difficile garantire le condizioni di libertà e segretezza imposte dall’articolo 48 della Costituzione, dall’altra dopo il contributo decisivo degli italiani all’estero alla sconfitta elettorale di Berlusconi del 2006 contro Prodi, la politica è sempre stata intimorita da chi vota da Paesi terzi”.

    A dicembre del 2018, le Commissioni I e XIV di Camera e Senato si sono anche riunite riguardo la legge del 1979, ma non si è discusso di eventuali novità nelle modalità di voto per i residenti in paesi terzi.

    TPI ha intervistato Giuseppe Brescia, onorevole del M5S e presidente della I Commissione parlamentare della Camera dei deputati. “A dicembre non abbiamo discusso di quest’argomento perché nessuna forza politica l’ha calendarizzata in tempo utile”, ha spiegato Brescia, che poi si è impegnato a risolvere il problema attraverso l’introduzione del voto elettronico sul modello estone.

    “Si tratta di uno strumento che può garantire al voto sicurezza, segretezza e velocità, e potrebbe dunque risolvere anche il problema degli italiani residenti in paesi extra-Ue. Non dobbiamo aver paura dell’espressione democratica di chi ha diritto al voto”.

    Esclusi e discriminati

    L’esclusione di fatto dal diritto di voto comporta sensazioni di frustrazione e rabbia. Viola Scalacci ha 24 anni e vive a New York, dove studia Sicurezza Internazionale e lavora come insegnante di italiano per studenti universitari.

    “Qui ho conosciuto francesi, spagnoli, tedeschi, e tutti potranno votare alle elezioni europee tranne me. L’assurdità? È che tutti facciamo parte dello stesso progetto” racconta a TPI. “Appena l’ho saputo ho provato una forte rabbia. Mi sono sentita esclusa, privata di un mio diritto, discriminata”.

    Ironia della sorte, quando si trovava in Italia Viola insegnava a bambini e ragazzi il funzionamento delle istituzioni europee. Destino simile è quello di Riccardo Mazzucchelli, 34enne che da quando ha 17 anni si sposta in giro per il mondo per studiare prima e lavorare poi.

    Dopo un’esperienza di studio tra Spagna e Libano e un’esperienza lavorativa alla Fao, oggi coordina un progetto nelle Ande con l’obiettivo di incentivare l’applicazione uniforme di standard internazionali dell’Onu per il commercio di prodotti alimentari e vegetali.

    “Noi italiani fuori dall’Ue siamo di fatto discriminati semplicemente perché le questioni europee in Italia non sono una priorità” spiega Riccardo a TPI. “Il problema è che sembra che per gli Stati membri che non garantiscono il nostro diritto di voto non ci siano conseguenze. È paradossale: sanzioniamo la Russia per l’invasione dell’Ucraina, e poi obblighiamo chi vuole votare a farsi 20 o 30 ore di volo a proprie spese. Ridicolo, no?”.

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