L’anziano Bernardo Caprotti sapeva che Roma è una città complicata. Fondatore del marchio della grande distribuzione Esselunga, morto nel 2016, fino a qualche anno fa non era riuscito a mettere piede nella capitale. Era una questione di terre, di spazi, di urbanistica, una sfida che può diventare un incubo, oppure una grande opportunità se hai gli agganci giusti: «Roma è una città speciale – raccontava nel 2010 Caprotti – perché o è verde o è un monumento o è già costruita e se ti capita un terreno iniziando a scavare magari trovi una villa romana, come ci è accaduto nell’unico tentativo che abbiamo fatto». Trovare un’area libera dove realizzare un centro commerciale con una grande superficie – come richiede la strategia dei grandi circuiti di supermercati – può rivelarsi un’impresa non semplice.
La storia del rapporto difficile tra Capriotti e la capitale ha incrociato la strada che da Roma porta al litorale. Ostia, decimo municipio, il territorio forse più complesso della città eterna, tanto da diventare lo scenario principale della serie Suburra. Qui il problema non è – solo – la presenza di praticamente tutte le mafie che il nostro Paese ha prodotto, come hanno raccontato le inchieste degli ultimi dieci anni della Procura di Roma. Ostia è anche la quintessenza di quella particolare abilità, tutta romana, dove fare impresa vuol dire saper creare le giuste alleanza. Un complesso gioco di domino.
L’area tra via del Canale della Lingua e la Cristoforo Colombo, a pochi chilometri dalle spiagge e dagli stabilimenti balneari, estensione dei salotti romani, è una zona delicata. Sei metri sotto il livello del mare, che in epoca di inondazioni non è proprio un luogo ideale. Dalle immagini satellitari spicca una striscia di 15 ettari, ancora intatta. È questo il luogo dove si è giocata una partita urbanistica durata vent’anni e non ancora conclusa, diventata il simbolo del tentativo di sbarco romano di Capriotti. Potrebbe essere una storia di periferia se non fosse che tra le protagoniste, nel passato, vi sia stata anche la madre dell’attuale premier Giorgia Meloni, Anna Paratore. Per la figlia – che su questa vicenda ha risposto nei giorni scorsi al quotidiano Domani – si è trattato appena di un lavoro come altri, che appartiene ad un passato lontano, senza alcuna rilevanza. Affari di famiglia, come ce ne sono tanti. Sarà così, sicuramente. Quella vicenda, però, è una porta d’ingresso in quel mondo complesso raccontato dal patron di Esselunga, un varco verso “Roma, una città speciale”.
Ostia Real Estate
Si chiamano “patti territoriali”, nome per indicare accordi di espansione urbanistica e commerciale. Vedono tre protagonisti, il Comune, la Regione e le imprese private. Nel 1998 la giunta regionale del Lazio, all’epoca guidata da Piero Badaloni, emana la legge 14, per la realizzazione del “Patto Territoriale Ostia Fiumicino”, un piano di espansione per la zona del litorale romano. L’obiettivo, sulla carta, appariva come sempre nobile: “Valorizzazione di un’area turistica, culturale e archeologica”. È il mare di Roma, ci sono aree archeologiche di pregio e una forte vocazione turistica. La Giunta comunale, quattro anni dopo, il 2 aprile 2002, emana le linee guida e la metodologia da attuare. Con un obiettivo principale: servono strutture che diano lavoro, in un’area dove il tasso di disoccupazione è tra i più alti della capitale. I giochi, però, erano già fatti, come vedremo. Passano pochi mesi e nelle strade di Ostia il nome Esselunga inizia a passare di bocca in bocca.
Meno di una settimana prima dell’arrivo delle linee guida, il 26 marzo 2002, una società romana protocolla la proposta numero 3673, per la realizzazione di un gigantesco supermercato in quella lingua di terra sei metri sotto il mare, di proprietà di una storica famiglia di Ostia. Quel terreno, all’inizio degli anni Novanta, era già finito sulle pagine di cronaca, al centro di una storia di mazzette pagate per evitare che entrasse in una zona di tutela, rendendolo non edificabile e dunque protetta.
Torniamo alla proposta e alla società Lazio consulting. Era nata nel 1998 come Compagnia del gelato, ed aveva tra i soci due personaggi oggi divenuti molto noti: il geometra Raffaele Matano e la madre di Giorgia Meloni Anna Paratore, con una piccola quota di minoranza. Non erano i proprietari dei terreni; non erano i progettisti; non erano i costruttori; non erano neanche gli utilizzatori finali, visto che l’obiettivo era la realizzazione di un centro commerciale con il marchio Esselunga. Che ruolo avevano, dunque?
Raffaele Matano in una dichiarazione alla stampa si definisce «il più esperto operatore immobiliare nella creazione ed organizzazione di centri commerciali». Abbiamo provato a chiedergli di raccontare nel dettaglio come funziona il settore, come arrivò ad individuare quell’area. La risposta è stata tranchant: «Non rilascerò mai più ulteriori dichiarazioni». Come raccontato nel libro “Meloni segreta” (ed. Ponte alle Grazie, 2013), Matano è stato il datore di lavoro e il socio – tra il 1998 e il 2002 – della madre della Presidente del Consiglio Anna Paratore. Giorgia Meloni ha poi aggiunto un altro elemento, in quello stesso periodo tra i due esisteva un rapporto non solo professionale.
Raffaele Matano ha una particolare dote, che appare seguendo il suo percorso imprenditoriale, fatto di decine di società, quasi tutte attive sulla capitale: riuscire nel miracolo di trovare il terreno giusto per i grandi centri commerciali. Ovvero risolvere quel problema non da poco che Capriotti aveva individuato nel descrivere la difficile città di Roma. Matano oggi è uno dei consulenti dello studio di Romolo Reboa – avvocato che si era presentato, senza successo, alle ultime elezioni regionali per la lista Rocca – sul cui sito viene presentato così: «Ha aperto supermercati e centri commerciali di primo piano in tutta Italia avendo come clienti aziende di livello internazionale quali, tra le altre, Auchan, Carrefour, Coop, Continente, Gros e Leroy Merlin». Un vero mago dei centri commerciali.
L’offshore alla romana
Bernardo Capriotti all’epoca era sicuro di riuscire a sbarcare nel centrosud, aprendo le porte del mega centro commerciale di Ostia. Di soldi ne ha investiti tantissimi. Oggi quel terreno – ancora vergine, dopo vent’anni – è di proprietà di Esselunga (Capriotti è morto nel 2016), che lo ha pagato, secondo gli atti notarili di cessione della società proprietaria dell’area – ben diciassette milioni di euro. Abbiamo chiesto all’ufficio stampa dell’azienda di grande distribuzione di poter avere altre informazioni sullo stato del progetto, senza però ricevere nessuna risposta. Di certo è una ferita ancora aperta. Per Capriotti era diventata una vera ossessione, tanto da distribuire nelle buche delle lettere degli abitanti di Ostia una copia in dvd del cortometraggio realizzato da Giuseppe Tornatore sulle attività di Esselunga.
Proviamo a seguire il filo del progetto. Poco più di un mese prima della presentazione della proposta, la quota della Lazio Consulting detenuta da Anna Paratore viene ceduta a una società inglese, la D Construction Limited, controllata a sua volta da una complessa rete che porta a uno studio di commercialisti di Panama. I reali soci? Sconosciuti. Il 27 marzo 2002, il giorno dopo il deposito della proposta all’ufficio protocollo del Comune di Roma, tutte le quote di Matano passano alla stessa società di Londra, che versa 413mila euro. Il geometra mago «nella creazione ed organizzazione di centri commerciali» incassa ed inizia ad occuparsi di altri progetti. Quattro mesi dopo i contratti in essere della Lazio Consulting vengono ceduti alla società Lunghezza immobiliare, le cui quote sono detenute dalla Polired del Lussemburgo, controllata a sua volta da due gruppi offshore, con sede nelle Isole Vergini Britanniche e nella sempre presente Panama. Anche in questo caso i proprietari reali delle quote – e dunque delle chiavi del progetto, visto che formalmente il proponente era la società Lazio consulting – sono sconosciuti, mai rivelati fino ad oggi.
Che accade? Tutto sembra inabissarsi. Il progetto prosegue stancamente il suo iter negli anni successivi, sempre con l’intestazione “Proposta 9/D1 Lazio consulting”. Nella documentazione disponibile sui siti del comune di Roma e del X Municipio, non appare mai il volto di quei soci nascosti dietro le società offshore. Veri fantasmi. Tra il 2004 e il 2008 avviene il passaggio della proprietà del terreno dalla famiglia Loconte al gruppo Esselunga, che si impegna a pagare la bellezza di 17 milioni di euro. Una scommessa che si rivelerà azzardata. Alla fine, nel 2012, il consiglio del municipio di Ostia vota una risoluzione che chiede di bloccare tutto, perché il progetto viene ritenuto non compatibile dal punto di vista ambientale. La storia sembra arrivata al capolinea.
Eppur si muove
Accanto all’area che avrebbe dovuto ospitare il centro commerciale Esselunga c’era una delle osterie storiche di Ostia. Un punto di ritrovo molto conosciuto all’Infernetto. Da alcuni mesi ha chiuso i battenti e oggi appare abbandonato. Le associazioni locali che si sono battute per preservare quell’area mostrano tutta la loro preoccupazione: «Il progetto è ancora lì, dobbiamo stare con gli occhi aperti».
Raffaele Matano, nel frattempo, ha spostato la sua attività negli Stati Uniti, dove nel 2016 ha trasferito l’ultima sua creatura societaria, la Belfiore 2000, che nel 2015 aveva concluso un’operazione commerciale nella zona della Magliana. Oggi punta in alto, dichiarando negli atti societari di volersi occupare dello «studio di attività immobiliari nell’area attorno a New York». Ha aperto gli uffici presso uno studio di commercialisti di Greenwich, nel Connecticut. In Italia, in fondo, ultimamente non ha avuto più grandi fortune. Il Consiglio dell’Ordine dei Geometri lo ha sospeso ed oggi è in attesa del giudizio di appello su una vicenda di bancarotta, per un’altra sua creatura societaria, la MM. Meglio emigrare.
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