Radio Radicale rischia la chiusura. Il 15 aprile scorso, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega all’editoria, Vito Crimi, ha annunciato che il governo ha intenzione di non rinnovare la convenzione da dieci milioni di euro annui stipulata tra Radio Radicale e il Mise venticinque anni fa per trasmettere tutte le sedute e i lavori del Parlamento.
“È intenzione di questo governo non rinnovare la convenzione con Radio Radicale. Un servizio che Radio Radicale ha svolto per 25 anni senza alcun tipo di valutazione, come l’affidamento con una gara. Nessuno ce l’ha con Radio Radicale né vuole la chiusura. Sono questi i termini della questione, non altri”, ha spiegato Crimi.
La notizia ha scosso il mondo dell’informazione e provocato accesissime polemiche e molti esponenti politici e della società civile hanno preso le difese della storica emittente radiofonica legata al Partito Radicale del compianto Marco Pannella chiedendo al governo di tornare sui propri passi e sottolineando l’importanza del lavoro svolto da Radio Radicale in questi anni.
Il governo, però, a quanto pare non sembra affatto essere intenzionato al dietrofront e se all’annuncio del sottosegretario Vito Crimi dovesse effettivamente seguire la rescissione della convenzione, l’emittente andrebbe verso la chiusura definitiva e cento persone perderebbero il posto di lavoro.
TPI ha affrontato la questione Radio Radicale e chiesto un parere sull’attuale governo alla senatrice e storica esponente radicale Emma Bonino.
Mi pare di capire che gli unici a cui i fondi saranno tagliati saranno Radio Radicale e Il Manifesto perché immagino che L’Avvenire troverà altre fonti di sostegno facilmente individuabili. Mi pare evidentissimo che ci sia da parte del governo un’insofferenza totale per le voci dissonanti.
È esattamente così!
Per l’opinione pubblica non lo so, però chiudere Radio Radicale significa togliere una voce e cancellare uno strumento che dà voce a tutti e mettere in pericolo l’esistenza di questo preziosissimo archivio quarantennale.
È che è evidente che essendo Radio Radicale uno strumento senza pubblicità e che non fa profitti l’idea di dire “mettetevi sul mercato visto che siete liberali” è dissennata. Sul mercato va chi fa profitti, normalmente. Se uno capisce cos’è il mercato sa che sul mercato va chi ha dei dividendi da spartire e considerando la mission di Radio Radicale è evidente che i profitti non ci sono.
In più, parliamo della messa a gara: ce n’è stata solo una nel 1994, che Radio Radicale ha vinto, e tutti gli anni abbiamo sempre richiesto una messa a gara ed è una cosa che non è stata fatta. Queste mancate gare hanno anche provocato un mancato adeguamento del contributo pubblico per il servizio prestato ed è chiaro che non avendo vinto una gara a lungo termine, qualcosa che desse una concessione, chessò, di cinque anni, non si è riusciti nemmeno a programmare degli investimenti tecnologici migliorativi per i vari servizi.
Io non so quale altra motivazione darmi rispetto a questa decisione perché il “vadano sul mercato” non lo capisco, sul mercato ci va chi produce profitti e non è il caso di Radio Radicale.
Beh guardi, è preoccupato perfino il ministro delle Finanze (Tria, ndr). Continuiamo a parlare di anni bellissimi e non so di quale altra stupidaggine. Anche ieri, durante la discussione sul Def – che peraltro è vuoto come una cocuzza, non c’è una cifra, non c’è un numero, niente di niente di credibile – è saltato subito all’occhio che portandoci dietro debito – da Quota 100 al reddito di cittadinanza e relativi buchi da circa 30 miliardi di euro – qualcosa da qualche parte bisognerà prendere.
Hanno detto che non aumenterà l’Iva. Eh, vabbé. Poi hanno detto che i soldi li prenderanno dalla lotta all’evasione fiscale, grande evergreen. Ma non è che la lotta all’evasione dalla sera alla mattina porta 30 miliardi nelle casse delle Stato.”Vendiamo il demanio pubblico!”, l’altro grande evergreen che si utilizza sempre e poi non succede mai niente.
È vero che si è fermata la crescita mondiale ma è anche vero che noi, causa deficienze che vengono da lontano – l’alto debito pubblico, le mancate riforme, la burocrazia, la giustizia lenta e così via – è evidente che siamo molto più deboli degli altri Paesi.
Il governo sostiene che se il mercato interno riparte questo processo produrrà ricchezza, ma il problema è che loro il mercato interno lo vogliono stimolare a debito e allora se non crei ricchezza non è che puoi distribuirla, al massimo distribuisci debiti. Non è il distribuire la ricchezza il problema – anzi, forse è anche necessario – ma il punto è che per distribuirla devi crearla e loro questo non lo stanno facendo.
Ma è evidente! Io, inascoltata, ho supplicato fino allo sfinimento la società cosiddetta civile a darsi una svegliata. In realtà, per esempio, quando nel 2005 ci fu il referendum sulla procreazione assistita non si è vista alcuna mobilitazione.
Più recentemente, sul fronte della violenza domestica e temi simili qualcosa si è mosso, però in realtà io mi aspetto che una risposta alle dichiarazioni di Pillon e al convegno di Verona perché questi eventi hanno suonato un campanello d’allarme più efficace di quanto abbia saputo fare io in passato.
Ancora non abbiamo capito che i diritti civili, così come la democrazia, sono dei processi e se uno non continua a pedalare cade. Ci siamo – anzi, si sono – distratti per anni e ora spero che questo campanello d’allarme venga finalmente colto e ci sia della resistenza un po’ più strutturata e un po’ più organizzata.
Eh vabbè, ma questo è un governo elettorale mica un governo che vuole fare le riforme. La propaganda è quella che fanno ogni giorno. Io dubito Salvini passi spesso al ministero dell’Interno, tra una felpa e un evento alla bocciofila mi sembra stia facendo tutt’altro.
No, io mi candido come bandiera di traghettazione. Ho già fatto la parlamentare europea, il commissario e questa volta mi candido per testimoniare il mio impegno ma anche per dare un sostegno alla lista, ai suoi valori e a una serie di personalità più giovani che stanno emergendo sulla scena politica. Non ho il dono dell’ubiquità, non sono come Salvini o la Meloni che si candidano ovunque.