TPI ha intervistato, ospite nella propria redazione, Emma Bonino in quello che sarà il primo di una serie di incontri con esponenti politici di tutte le aree in vista delle elezioni del prossimo 4 marzo.
Emma Bonino, storica leader radicale, ha ricoperto incarichi importanti come Commissario europeo, ministro del Commercio con l’estero, ministro degli Esteri. In vista delle elezioni politiche ha iniziato una nuova avventura, quella alla guida della lista +Europa, una forza composta sia da figure legate al mondo radicale (come Riccardo Magi, Benedetto Della Vedova, e Marco Perduca), ma anche persone con storie diverse, come Bruno Tabacci. Una lista alleata nella coalizione di centrosinistra con PD, Insieme, Civica Popolare e SVP e con cui sarà candidata al senato nel collegio di Roma Centro.
Noi siamo profondamente convinti che non c’è futuro se non all’interno dell’Europa, perché se guardiamo da una parte c’è Putin, se guardiamo dall’altra c’è Trump, se guardiamo da un’altra parte c’è il gigante cinese e se guardiamo a sud c’è il Mediterraneo a fuoco e fiamme. In questa situazione in cui c’è un nuovo ordine mondiale che è morto e uno nuovo che non compare, l’ultima cosa che dobbiamo fare è stare con 27 staterelli alla deriva in cui ognuno si fa i fatti suoi. Questa è proprio irresponsabilità nata per affrontare le sfide dei nostri giorni che siano la globalizzazione, il commercio, lo sviluppo economico, e solo l’Unione europea può avere la speranza di contare qualcosa nel nuovo ordine mondiale che verrà, il tutto dietro i nostri valori che sono democrazia, libertà e liberaldemocrazia.
Innanzitutto l’Italia deve smettere di cambiare governi ogni anno, tanto per essere credibili. Gli accordi, anche quelli economici, sono accordi di lunga durata, quindi deve capire che la sua credibilità in Europa ha molto a che fare con la tenuta del governo. Per non parlare dell’economia e di come gestiamo il debito pubblico, che lasciamo ai giovani già dalla nascita, e dell’interesse che noi per questo paghiamo alle banche, che equivale a tre finanziarie e rallenta la crescita.
Io credo che due cose deve fare il nostro paese: essere credibile e persistente a livello dell’Unione europea, secondariamente deve mettere ordine a casa, perché quello che spaventa non sono tanto i milioni di immigrati integrati che partecipano al PIL, che contribuiscono all’INPS, ma sono quelle centinaia di migliaia di cosiddetti clandestini o irregolari che lavorano in nero e che spesso collidono con la criminalità, anche italiana. Cose che non si possono fare. Purtroppo su questo sento cose inenarrabili da parte anche di esponenti politici.
Alcuni, nella coalizione di Berlusconi, dicono ad esempio di voler cacciare i 600mila irregolari. A parte che la legge su cui si basa il meccanismo dell’immigrazione oggi si chiama Bossi-Fini, l’hanno fatta loro superando la Turco-Napolitano che era molto più integrante come impostazione e come efficacia. Sono sempre loro che hanno fatto due sanatorie per un totale di un milione di immigrati irregolari tra quella del 2002 e quella del 2009. Tutto questo senza che ci fossero drammi, e credo abbiano fatto bene.
Quello che dovremmo fare, è cercare di cambiare la Bossi-Fini, adattarla alla situazione e integrare il più possibile illegalità e umanità, da quelli che lavorano in nero a quelli che lavorano nei settori che gli italiani non vogliono più creare come l’agricoltura e la costruzione, come è ovvio che sia, perché è un’aspirazione naturale che i giovani facciano un lavoro migliore di quello dei padri. Anche io sono figlia di contadini, e i miei genitori hanno voluto che io studiassi.
Serve questo, oltre a una politica estera a lungo termine, perché nell’immediato non avrà esiti nel guazzabuglio libico. Dobbiamo capire che le migrazioni fanno parte della natura umana: 20 milioni di italiani hanno lasciato l’Italia tra le due guerre, e non gli italiani del sud, perché sono stati il Veneto e il Piemonte a spopolarsi.
Riguardo i respingimenti abbiamo un solo rapporto che è pubblico, quello dei 29 tunisini rimandati in Tunisia nel maggio 2016. Intanto, per il rimpatrio serve un accordo con il paese, non si lasciano all’aeroporto e si abbandonano, e l’accordo con la Tunisia prevede il rimpatrio per gruppi di massimo 30 persone. Per legge, i 29 tunisini sono stati accompagnati da 74 funzionari, tra polizia di stato, medici, infermieri, agenti di scorta e delegati per i diritti dei detenuti, in un aereo assegnato per gara. Proviamo a moltiplicare questo per 600mila. Ed è assurdo che sia un leader moderato come Berlusconi a portare avanti una proposta simile. Questo significa spendere 2,4 miliardi di euro per rimpatriarli tutti.
Ha parlato del fatto che gli stranieri fanno spesso i lavori che gli italiani non vogliono più fare. Spesso questi lavori avvengono in situazioni di sfruttamento e di illegalità.
Quegli immigrati vanno legalizzati. Devono avere dei diritti e dei doveri, e anche noi dobbiamo avere dei diritti e dei doveri verso di loro.
La violenza non è ammessa mai. Come quando c’è una violenza sulle donne e si dice che se la sono cercata. La violenza non è accettabile mai, e se chi la compie è un fuori di testa lo si curerà. È poi chiaro che, alimentato dagli imprenditori della paura, si sta creando un clima d’odio contro non solo gli immigrati, ma contro i poveri in generale, anche italiani. I barboni ad esempio, non piacciono a nessuno. È un sentimento che bolle da tempo e che nessuno ha affrontare.
Intanto non siamo nello stesso partito, perché io non sono iscritta al PD e loro non sono iscritti ai Radicali Italiani, anzi, se lo facessero farebbero una bella cosa. L’alleanza poi la impone questa legge elettorale che sarà foriera di confusione e disastri. Oltre a questo, in questo momento i nostri avversari non sono nel PD, ma sono dall’altra parte. Noi in ogni caso porteremo avanti il nostro programma, anche perché la legge non prevede che le coalizioni presentino un programma comune, e il nostro obiettivo è quello di rafforzare lo spirito europeista intermittente e timido tenuto dal PD.
Ma per favore, intervenire per fare che? Intervenire nelle guerre civili è già dannoso di per sé, e poi c’è il problema di un vecchio ordine mondiale che è morto e uno nuovo che stenta a nascere. Di fronte a tragedia di questo tipo non ci sono paesi singoli che possono risolvere la situazione. Negli ultimi anni ci sono poi potenze regionali che sono cresciute sotto i nostri occhi senza che ce ne accorgessimo: alcuni decenni fa chi sapeva cosa fosse il Qatar?
Noi oggi quello che possiamo fare è accompagnare il più possibile eventuali negoziati, ma se si ha questa idea che si può arrivare dall’esterno per pacificare una situazione, bisogna avere chiaro che poi bisogna occuparla e starci. Guardate cosa è successo in Kosovo, un’area piccolissima. Quando si decise di intervenire militarmente contro Milosevic, sapevamo tutti che saremmo dovuti rimanere in Kosovo per decine di anni, e infatti ancora ci siamo.
In questa situazione dobbiamo fare il massimo degli sforzi umanitari e democratici, ma rendendoci conto che non siamo noi gli unici attori che determinano la situazione di regioni varie nel mondo.
In Niger al momento non c’è una guerra civile. È una zona di passaggio, ricca di materie prime, a partire dall’uranio, e gli interessi francesi sono storicamente evidenti. La Francia inoltre ha in corso una missione unilaterale nel vicino Mali. Il nostro intervento, che qualcuno chiama a sproposito coloniale, perché parliamo di numeri piccoli, 400 militari in un anno, sarà probabilmente un contributo italiano all’interno dell’apparato francese.
Ripeto: solo una dimensione almeno europea può avere la possibilità anche solo di farsi sentire. Noi abbiamo messo nel programma l’opposizione al nucleare, con l’appello degli scienziati, ma non facciamoci illusioni: non è l’Italia da sola, così come non può essere la Germania da sola o la Francia da sola a risolvere problemi come questo. Non è un caso che la difesa comune sia uno dei punti del programma di Ventotene.