Emanuele Dessì, senatore del Movimento 5 Stelle, non ha mai nascosto le sue posizioni e anche oggi parla chiaro sul voto di Rousseau e sull’ipotesi di governo con il Partito democratico. TPI l’ha intervistato.
Io sono un fautore di questo cambio di campo di gioco. Ho ritenuto doveroso fare un tentativo di governo essendo partito di maggioranza e a suo tempo ho accettato il fatto che l’unica interlocuzione possibile fosse con la Lega. Ma era chiaro ormai da tempo, prima che cadesse il rapporto tra i vertici, che la discussione fra noi e loro fosse un po’ strozzata: si doveva stare attenti a non toccare certi dogmi e certi argomenti che personalmente non ritengo nemmeno degni di nota. Non c’era slancio.
Invece ritengo che l’opportunità di questo governo con il Pd (a parte la problematica di nominare i democratici, cosa che ritengo un’involuzione di questo tempo) sia da cogliere: io non ho nessun problema con il mondo che il Pd rappresenta, ha rappresentato e dovrà rappresentare con i valori socialisti che condivido.
Quando si è presentata, anche in maniera un po’ casuale, l’opportunità di interloquire con loro io mi ci sono buttato a capofitto. Ritengo che il Movimento dovrebbe ricominciare a progettare la visione del futuro, come ha anche detto Beppe Grillo, con i suoi modi. Del resto noi nasciamo come partito progressista, forse il più progressista nel panorama italiano e europeo.
Noi viviamo una condizione particolare: tutte le fasi della politica per noi sono un trauma perché ogni volta è la prima volta, abbiamo una prima volta al giorno e questo nell’ambito politico diventa devastante. Di Maio usciva da una fase in cui tutti lo accusavano di essere stato massacrato dal suo contraente di governo, cioè Salvini, e doveva stare attento a non farsi schiacciare di nuovo.
Io ho visto un Pd molto disponibile oltre ogni aspettativa, del resto anche loro hanno bisogno di darsi una nuova prospettiva dopo avere abbandonato la loro strada maestra, fuori dal mondo operaio, dal mondo sociale, dal mondo giovanile. Quindi è chiaro che anche il Pd abbia intravisto una grandissima opportunità. Di Maio ha fatto quello che ha potuto. Teniamo conto che sono entrati anche altri attori in campo Giuseppe Conte, il ritorno di Beppe Grillo. È scomparso Salvini. In questo scenario capisco le difficoltà di Di Maio, io lo voglio giustificare.
Lui è un personaggio costruito a tavolino, si capisce studiando la sua storia politica. In modo molto sciacallesco ha voluto interpretare una difficoltà oggettiva dell’italiano medio. Il mondo sta cambiando: il mondo del lavoro, il sistema scolastico, i media. Salvini ha giocato su questo potendo contare su un partito che non è un partito politico ma un plotone di fedeli in cui valgono regole diverse dalle nostre: nella Lega vige una sorta di nonnismo in cui vale solo la fedeltà alla linea. Anche per questo sono il partito più vecchio d’Italia. Salvini detta la linea e quella linea è per tutti. Da parte mia io sono per il rispetto delle regole, ma le regole devono stare nell’alveo del rispetto per l’essere umano.
Credo che il problema del primo Decreto Sicurezza sia stato l’uso che ne è stato fatto per il bombardamento mediatico. Il corpo centrale di quel decreto avrebbe dovuto essere la linea degli accordi per i rimpatri nei Paesi di origine ma non è stato fatto nulla di tutto questo. Il secondo Decreto Sicurezza è pieno di tante belle parole ma il nostro errore, da Movimento 5 Stelle, è stato di non imporre il numero identificativo sui caschi dei poliziotti. Se c’è l’inasprimento delle pene sui manifestanti allora anche i manifestanti hanno il diritto di identificare chi hanno davanti: non esistono solo poliziotti buoni e manifestanti cattivi. La questione dell’immigrazione è molto semplice: ci sono milioni di persone che non sanno più come mangiare e c’è un gruppetto di ricchi che li vorrebbe tenere fuori dalla porta. Quindi o si studia una formula seria di cooperazione oppure dobbiamo aiutarli.
Io l’avrei fatto prima di cominciare l’interlocuzione. Se vincesse il no sarebbe una danno di immagine enorme: ci smentiamo da soli. Troverei difficile poi ripresentarsi come formazione credibile di governo. Sinceramente credo che Rousseau non abbia niente di incostituzionale poiché è banalmente la nostra segreteria politica, anche se questo è incomprensibile per alcune vecchie ideologie. Può piacere o non piacere, ma è così.
Credo che esca il sì. Mi lancio anche in un’ipotesi: 65 per cento di sì e 35 per cento di no.
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