Da quando esiste l’elezione diretta del presidente il Lazio è sempre stata considerata una regione contendibile da entrambi gli schieramenti, e per questa ragione la vittoria del candidato di centrodestra Francesco Rocca con circa 20 punti di distacco sul suo sfidante Alessio D’Amato rappresenta un risultato particolarmente significativo.
Il peso in termini di popolazione di Roma rispetto al resto della regione aveva sempre attribuito alla capitale un ruolo determinante nel risultato del Lazio: il centrosinistra aveva sempre puntato su un largo bottino elettorale in città per trainare il risultato in provincia e cercare di fare un risultato accettabile, non per forza vincente ma comunque non disastroso, nelle altre province. Il centrodestra, dal canto suo, aveva sempre puntato a un risultato più ampio possibile altre province della regione accontentandosi anche di una sconfitta dignitosa a Roma.
Il caso di Rocca vede però l’ex presidente della Croce Rossa arrivare al 54 per cento prevalendo in tutte e cinque le province del Lazio, superando addirittura il 60 per cento nella storica roccaforte di Latina, a Rieti e a Viterbo. A Roma, oltre a un’affermazione in quasi tutta la provincia, riesce anche a vincere nel comune con sette punti di vantaggio su D’Amato, avanti solo in quattro dei quindici municipi della Capitale (I, II, VIII e XII). In secondo piano la candidata del Movimento Cinque Stelle Donatella Bianchi, per l’occasione sostenuta anche dalla lista di sinistra Polo Progressista, ferma poco sopra il 10 per cento.
I precedenti e il peso delle province
Nel 1995, prima elezione diretta del presidente di Regione, il Lazio fu deciso per appena 5mila voti nel primo di una serie di derby tra giornalisti che vide in campo Piero Badaloni, espressione del centrosinistra e uscito vincitore, e Alberto Michelini per il centrodestra. In quell’occasione si presentò un dato territoriale molto omogeneo, con il centrosinistra e il centrodestra particolarmente vicini in molti contesti.
Cinque anni dopo, Badaloni venne sconfitto dal candidato di centrodestra Francesco Storace con un margine di oltre cinque punti. Storace riuscì a prevalere in tutte e cinque le province della regione e in modo particolare a Latina, storicamente quella dove il centrodestra è più forte, mentre Roma fu quella in cui il suo margine di vantaggio fu più ridotto.
Nel 2005 la regione cambiò nuovamente colore, con Piero Marrazzo che sconfisse l’uscente Storace con poco più di due punti di vantaggio. In tale occasione la geografia elettorale della regione andò a delinearsi in modo più chiaro. Marrazzo riuscì a guadagnarsi il vantaggio grazie a una vittoria nel comune di Roma con 12 punti di scarto che, unita al vantaggio ai Castelli Romani e nella Valle dell’Aniene contribuì a consegnare all’ex conduttore di Mi manda Rai Tre un largo margine nella provincia della Capitale. Sconfitto nettamente a Latina, Frosinone e Viterbo e vincitore per pochi voti a Rieti, la provincia meno popolosa del Lazio, fu abbastanza chiaro in quell’occasione quali fossero i territori e gli obiettivi chiave perché il centrosinistra o il centrodestra potessero vincere nel Lazio.
Le elezioni del 2010 confermarono infatti questa tendenza e portarono a un ennesimo cambio di colore per l’amministrazione regionale. Renata Polverini del centrodestra riuscì a sconfiggere Emma Bonino vincendo in modo netto nelle quattro province fuori dalla Capitale e limitando lo svantaggio sulla storica leader radicale a circa quattro punti nella provincia di Roma.
Il 2013, voto anticipato successivo alla caduta anticipata della giunta Polverini, rappresentò il primo senza un bipolarismo netto: lo stesso giorno, infatti, alle elezioni politiche il Movimento Cinque Stelle faceva il suo ingresso dalla porta principale in parlamento con uno storico 25 per cento nazionale. Questa novità, che raggiunse nel Lazio il 20 per cento con la candidatura di Davide Barillari, insieme a un centrodestra arrivato ammaccato al voto regionale che provò a rigiocare la carta Francesco Storace indebolito anche alla candidatura centrista di Giulia Bongiorno, portò Nicola Zingaretti a ottenere la vittoria col più ampio margine mai raggiunta dal centrosinistra nel Lazio e, fino a quel giorno, mai raggiunta in assoluto. Liquidando il centrodestra con oltre dieci punti di scarto, Zingaretti prevalse nettamente nella provincia di Roma, trainato da un vantaggio di oltre venti punti nella Capitale, e riuscì a strappare anche Rieti e Viterbo.
Nel 2018, nello stesso giorno in cui il PD raggiungeva alle politiche un misero 18 per cento, Zingaretti complice l’alleanza con Liberi e Uguali riuscì a divenire il primo, e al momento l’unico, presidente a essere riconfermato per un secondo mandato nella storia delle regionali del Lazio. Da uscente faticò non poco a raggiungere la rielezione, e giocò a suo favore la divisione della destra che, oltre a Stefano Parisi, presentava anche la candidatura alternativa del sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi. Mentre la candidata pentastellata otteneva il 27 per cento ottenendo ampi consensi nell’hinterland romano, Zingaretti riusciva a battere di quasi due punti lo sfidante del centrodestra, trainato da una vittoria di dieci punti a Roma città che gli permise un comodo vantaggio in provincia, che insieme al primo posto in provincia di Rieti contribuì ad assicurargli una vittoria di misura.
Quest’anno nessun testa a testa
Come visto in questo excursus, il Lazio è storicamente una regione che si presta a essere in bilico, decisa talvolta all’ultimo voto e con una serie di elementi geografico-elettorali definiti. Questa volta, però, il vantaggio particolarmente alto di Rocca ha deciso la partita subito e a livello territoriale si è tradotto in una valanga che ha messo in secondo piano i rapporti di forza tra le diverse province e il consenso.
Il peso dell’astensione
L’astensione sicuramente ha contribuito a raggiungere un risultato molto difforme da quelli delle tornate passate, ma in questi casi va sempre considerato che per quanto il candidato vincitore non sia riuscito a intercettare quell’importante pezzo di elettorato, lo stesso discorso va fatto per gli sconfitti e, anche per questo, la vittoria ha esattamente lo stesso peso. In generale, questo fenomeno può aver avuto un peso trasversale: nel momento in cui l’affluenza si ferma al 37,2 per cento è chiaro che non può essere stata danneggiata una sola parte politica. Va però detto che nel caso specifico del comune di Roma, che come abbiamo visto rappresenta storicamente il principale bacino elettorale del centrosinistra nel Lazio, l’affluenza si è fermata a un magrissimo 33,1 per cento che, al di là dell’aver potenzialmente danneggiato più una parte dell’altra, ha ridotto il peso della città più popolosa della regione rispetto al computo complessivo dei voti.
Il problema potrebbe sollevarsi alle prossime elezioni regionali, in cui starà ai futuri candidati provare a coinvolgere quell’importante pezzo di popolazione pari a oltre il 60 per cento degli aventi diritto e riportarla alle urne, con un flusso elettorale che potrebbe dunque portare a esiti imprevedibili in qualsiasi direzione.