Votare, e farlo con una matita su una scheda cartacea, rimane il modo migliore per eleggere i rappresentanti del popolo. Tuttavia, il momento in cui entriamo in cabina e compiamo le nostre scelte è solamente uno dei numerosi passaggi di un meccanismo elettorale che ancora oggi ha molti elementi in parte superati dal tempo.
La possibilità di un voto elettronico lascia molti legittimi quesiti sulle garanzie di segretezza, integrità e unicità del voto e sulla trasparenza del processo elettorale, fatto che rende la cara vecchia scheda di carta il miglior supporto per votare, ma nonostante questo ci sono tanti passaggi della macchina elettorale che andrebbero adeguati ai nostri tempi.
Proprio in questi giorni, i partiti che non godono della famigerata esenzione, si stanno scapicollando per raccogliere decine di migliaia di firme in ogni angolo d’Italia su moduli di carta, e questo nonostante ormai lo SPID e la firma digitale ci permettano di fare comodamente da casa operazioni anche più delicate e sia stata usata per sottoscrivere i referendum. Tra le legittime rimostranze dei partiti a riguardo, quella di Marco Cappato è diventata una battaglia, tanto che ha annunciato che la sua lista “Referendum e democrazia” raccoglierà sottoscrizioni esclusivamente in forma digitale. Comunque vada la sua battaglia, c’è da augurarsi che il parlamento prenda atto di questa discrepanza.
Ma non solo. Prendiamo anche ad esempio la legge che non permette la divulgazione dei sondaggi nelle ultime due settimane prima del voto, ormai superata dagli eventi. La fotografia del Paese a due settimane dalle elezioni rischia di essere molto diversa dal risultato reale, e questo perché sempre più persone si fanno un’idea su chi votare proprio negli ultimi giorni. Che senso ha impedire la pubblicazione delle rilevazioni in questo periodo di tempo? Poi non ce la prendiamo con i sondaggisti se il dato che viene fuori dal voto è diverso da quello di due settimane prima: loro si limitano a scattare una foto, ma è il panorama immortalato a cambiare rapidamente.
C’è poi la questione degli studenti e lavoratori fuori sede che, salvo rarissime eccezioni (principalmente i militari), sono costretti a tornare nel loro luogo di residenza per esercitare il sacrosanto diritto di votare.
Sappiamo bene che il funzionamento della macchina del voto è visto da molti come un tecnicismo, come si può vedere facilmente ogni volta che il dibattito pubblico tocca l’argomento e la classe politica tende a metterla in disparte. Ma tutte queste regole e meccanismi sono esattamente la democrazia, che troppo volte riduciamo a uno stato di natura del “chi ha più voti vince”, pur reggendosi in gran parte su tecnicismi come quelli finora elencati. Ma se questi tecnicismi non riescono a funzionare al meglio e non riescono a stare al passo coi tempi, a rimetterci rischia di essere proprio la democrazia.