Non è un mistero. Delle elezioni europee non è mai fregato niente a nessuno. Ed è un gran peccato.
Dal 1979 i cittadini degli Stati membri eleggono direttamente i loro eurodeputati. All’Italia ne toccano 73 (76 se il Regno Unito non parteciperà). Da quell’anno in poi, nelle successive otto legislature, il calo della partecipazione è stato costante e inarrestabile.
Si è passati da un’affluenza del 62 per cento nel 1979, al 42 per cento del 2014. Per quanto riguarda l’Italia, il crollo è ancora più vistoso, se si pensa che nel 40 anni fa erano andati a votare l’85 per cento degli aventi diritto, mentre nel 2014 erano poco più del 57 per cento.
Quella dell’affluenza è la grande sfida delle elezioni del 2019, a quarant’anni esatti dal primo voto popolare. La campagna #stavoltavoto, ha puntato a portare alle urne il maggior numero di cittadini, per invertire il triste declino degli ultimi anni.
Elezioni percepite come lontane, candidati mai visti nè sentiti prima, dinamiche complesse e “respingenti”, l’impressione che tutto sommato fosse un voto inutile, hanno storicamente fatto sì che i cittadini considerassero quelle europee come elezioni di serie B, rispetto alle più importanti amministrative o politiche. Anche se l’astensionismo, in Italia, ha una florida tradizione a tutti i livelli, ma questa è un’altra storia.
Le elezioni del 2019 sono le più importanti della storia del parlamento, da quarant’anni a questa parte. Lo avrete letto e sentito in questi mesi di fermento pre-elettorale. Ed è esattamente così. La percezione è che qualcosa rispetto al 2014 e alle 8 tornate elettorali precedenti sia cambiato.
E la percezione è che qualcosa sia cambiato proprio nella percezione, perdonate il gioco di parole, che i cittadini hanno dell’Europa. Se fino a qualche tempo fa l’Europa continuava ad essere qualcosa di astruso, lontano e intangibile, adesso – complici probabilmente le campagne d’odio verso l’Ue e verso l’Euro – si tratta di qualcosa di centrale, reale ed esistente. Non è più solo la magica bolla per addetti ai lavori, o per quei fortunati studenti che ogni anno vanno in Erasmus.
In questi 5 anni l’Europa ha vissuto sulla sua pelle tre fenomeni che l’hanno costretta a diventare un’entità presente nelle case e nella vita dei suoi cittadini: il terrorismo, la migrazione e la Brexit. Gli attentati di Parigi, quelli di Bruxelles, di Berlino, di Stoccolma, non sono stati affare di francesi, di belgi, di tedeschi o di svedesi.
Sono stati roba di tutti. Sono stati affare comune, sono stati il mezzo con cui un cittadino di Reggio Calabria ha sentito nelle sue orecchie gli spari del Bataclan, e il pastore sardo ha provato sincero dolore per il figlio dell’autista di Nizza, come se fosse figlio suo.
Allo stesso modo il tema dei migranti ha scosso le coscienze dell’Europa, e i cittadini italiani si sono seriamente incazzati con un’Europa che ha lasciato Lampedusa da sola, lavandosene le mani delle migliaia di morti in mare o sulla rotta balcanica. Anche lì, Europa ha iniziato a diventare un punchball su cui sfogare emozioni, che per un verso o per l’altro, non hanno lasciato indifferente nessuno.
E in ultimo Brexit. Impossibile rimanere indifferenti a un fenomeno così dirompente, che oggi, a oltre due anni da quel maledetto referendum, non vede una soluzione. Cosa significa uscire dalla Ue? Qual è il prezzo da pagare? C’è davvero un mostro cattivo cattivo, con un vestito blu a stelle gialle, che non permette di abbandonarlo e rende la vita impossibile a chi ci prova?
Sono domande che molti, guardando basiti le ultime decisioni di Westminster, o i negoziati a Bruxelles con la premier May, si sono fatti. E l’Europa è diventata fatto di tutti i giorni. È diventata pane quotidiano.
Per molti continua ad essere un mostro, per altri la risposta a tutti i mali, ma è sempre più difficile che lasci indifferenti. Fino al 2014, probabilmente, non era affatto così.
Quelle del 23-26 maggio 2019 saranno le elezioni europee più importanti della storia, dicevamo. A maggio 2014, quando costava ancora un sacco telefonare o connettersi a internet da un paese che non era il proprio, il fantasma di una distruzione dell’Europa dal suo interno non era ancora così vicino.
Michel Barnier, il capo negoziatore Brexit per l’Ue, durante un incontro con alcuni giornalisti a Bruxelles ha raccontato un aneddoto. Era in corso un incontro tra lui e Farage. Barnier chiede a Farage: “Allora, come vi immaginate i rapporti tra Ue e Regno Unito, quando sarete fuori?”. E Farage risponde, con un sorrisetto compiaciuto: “Dopo la Brexit l’Ue non esisterà più”. L’obiettivo dei tanti Farage di turno è distruggere l’Ue, dice Barnier.
Gli stessi Farage che hanno condotto una campagna per il leave in cui hanno preso in giro migliaia di cittadini su basi completamente false e che poi se ne sono lavate le mani, felici e spensierati, lasciando le grande di un terremoto politico in mano ad altri, che responsabilmente o meno stanno cercando di salvare il salvabile.
Distruggere per il gusto di distruggere.
Sono le elezioni europee più importanti della storia, dicevamo. Perché si tratta di scegliere se distruggere per il gusto di distruggere, o ricomporre, in una forma più giusta, che tenga conto e valorizzi i diritti sociali e lo stato di diritto.
Perché si tratta di capire se vogliamo essere piccoli e insignificanti satelliti, fagocitati dai giganti di turno, o avere ancora una voce, che faccia vivere ancora a lungo quei valori di solidarietà, di uguaglianza, di sviluppo, di coesione, di inclusione, di libertà e di giustizia. E che sia un attore credibile e compatto in un panorama geopolitico polarizzato.
Parafrasando la celebre frase di Massimo D’Azeglio, “Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani”, del lontano 1861, è il caso di dire: “Fatti gli europei, bisogna fare l’Europa”.
Gli europei ci sono, è un dato di fatto. I fenomeni di cui siamo stati protagonisti negli ultimi anni, ci hanno portati sempre più – nei fatti – a essere europei. Figli di un roaming che non conosce più sovrapprezzi. È forse l’Europa che manca.
Quella che va oltre le istituzioni, i meccanismi, le accuse di astrusità. È l’Europa come casa comune, è l’Europa come casa accogliente, come casa di tutti che manca. E chissà che queste elezioni non ci portino veramente, e per la prima volta, in Europa.
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