È tutto pronto per la sfida campale: liste, contrassegni, candidati, confortati o preoccupati da sondaggi e indicazioni che accompagnano la strada verso la scadenza dell’8 e 9 giugno, quando gli italiani, in contemporanea con i colleghi elettori dell’Unione europea, saranno chiamati al voto per rinnovare il Parlamento continentale. Il tutto sempre accompagnato dalla tradizionale ambivalenza di questo voto, che da un lato si intreccia ai grandi temi dell’Europa e del suo posto nel mondo, forse più cruciali oggi che in qualsiasi altra occasione, e dall’altro rappresenta un test intermedio su governi e partiti dei 27 Stati membri.
Nel primo voto di questo tipo dall’inizio della guerra in Ucraina, dallo scoppio di quella a Gaza, dal Covid e dalla formale uscita del Regno Unito dall’Unione, così come nel primo test nazionale dall’insediamento del governo di Giorgia Meloni, queste grandi tematiche non passano inosservate ai partiti in campo in Italia, talvolta sfiorandoli, altre in maniera più incisiva.
Prove di forza
Simboli e nomi sono sempre stati importanti alle elezioni, ma mai come questa volta stanno avendo un peso nel dibattito, con molti leader in campo per cercare di trascinare i loro partiti.
Non è una novità il fatto che il nome di Giorgia Meloni compaia nel simbolo elettorale di Fratelli d’Italia, né che lei stessa sia capolista in tutte le circoscrizioni pur non volendosi trasferire all’Europarlamento, ma è la prima volta che tutto ciò avviene da quando è presidente del Consiglio, con tanto di alias elettorale che le permetterà di essere votata scrivendo semplicemente “Giorgia”. Una scelta precisa, che può sembrare una personalizzazione o la scelta di uno stile confidenziale, ma che non tradisce la volontà di fare il pieno nelle urne e fornire, attraverso il “detta Giorgia”, un’opportunità in più agli elettori di scegliere la premier.
Sorprende invece molto di più la scelta del Partito Democratico di mettere direttamente in campo Elly Schlein in diverse circoscrizioni. Nel 2004, quando il Pd ancora non esisteva, l’allora lista Uniti nell’Ulivo decise di non candidare nessuno al di fuori di chi avrebbe onorato l’impegno di optare per l’Europarlamento: una scelta poi ereditata dai dem e che ha rappresentato un marchio di fabbrica in tutte le elezioni europee da quel momento fino a oggi.
Quella di Schlein è dunque una rottura in piena regola di questa tradizione, che porterà per forza di cose a un confronto tra lei e Meloni – che farà sbizzarrire gli analisti elettorali – ma anche tra la segretaria dem e la minoranza interna, con una conta delle preferenze che rischierà di accendere la miccia in un partito tradizionalmente riottoso.
A proposito di nomi nel contrassegno elettorale, non è una novità la presenza di quello di Matteo Salvini in quello della Lega, per quanto il ministro delle Infrastrutture abbia scelto di non candidarsi in prima persona e lasciare al generale Roberto Vannacci il ruolo più in vista nelle liste, aprendo a non pochi malumori tra la vecchia guardia nordista che vede nel militare un corpo estraneo alla tradizione leghista.
Il nome che ha forse più sorpreso, però, è stato quello di Silvio Berlusconi, ancora presente nel simbolo di Forza Italia nel primo voto nazionale dopo la sua scomparsa, con il leader Antonio Tajani che guiderà le liste.
La decisione di candidare direttamente i leader, tuttavia, ha innescato un meccanismo a catena e ha portato Carlo Calenda a scegliere di presentarsi in ticket con Elena Bonetti nelle liste di Azione in tutta Italia, nonostante abbia annunciato che si tratta di una scelta per cercare di aumentare i consensi della lista e non andrà personalmente in Europa, rimanendo al Senato.
Lo stesso meccanismo a catena ha portato Matteo Renzi a scegliere di essere anche lui della partita, candidandosi in prima persona nella lista Stati Uniti d’Europa, che ospita Italia Viva, ma precisando che diversamente dagli altri leader lui andrà all’europarlamento.
Il derby Renzi-Calenda non si consumerà solo a livello di preferenze: i due, dopo la fine dell’esperienza del Terzo Polo, continuano a contendersi uno spazio politico molto simile, con Italia Viva che ha optato per una federazione che ha coinvolto altri soggetti dell’area, a partire da +Europa, e Azione che ha preferito la corsa solitaria, con tutti i rischi a riguardo per quanto concerne il raggiungimento del 4 per cento di sbarramento.
Incognita guerra
Con due guerre a non troppi chilometri da casa che spaccano l’opinione pubblica, il pacifismo approda anche in questa tornata elettorale. Il Movimento Cinque Stelle, che stavolta avrà più difficoltà a portare avanti il suo cavallo di battaglia del Reddito di cittadinanza trattandosi di elezioni europee, punta molto su questo al punto da aver inserito la parola #pace, con tanto di hashtag, nel contrassegno.
Non sarà però l’unico partito a fare di questo aspetto il proprio marchio di fabbrica: Michele Santoro ha messo in piedi la lista Pace Terra Dignità proprio con questi presupposti, mettendo la colomba col ramoscello d’ulivo nel simbolo, ma non saranno solo loro a contendersi questo spazio politico.
C’è anche il Partito Democratico, che ha inserito nelle proprie liste Cecilia Strada, ex presidente di Emergency e figlia del suo fondatore Gino Strada, così come l’ex direttore di Avvenire Marco Tarquinio, ma c’è anche Alleanza Verdi-Sinistra, tradizionalmente schierata sull’argomento. Questo partito, rischiando di trovarsi schiacciato da un Pd che si è spostato a sinistra, un Movimento Cinque Stelle che guarda a quell’area, si è mosso scegliendo nomi prestigiosi con uno sguardo verso l’intera sinistra al di là dei partiti, come l’ex sindaco di Roma Ignazio Marino e l’ex sindaco di Riace Mimmo Lucano, oltre a Ilaria Salis.
I rischi, tuttavia, non mancano. Per quanto gli italiani in molti sondaggi abbiano mostrato una certa avversione per le guerre in corso, non è detto che questo abbia un peso maggiore di altri fattori nella scelta su chi votare, e il rischio è che nella scelta tra diverse realtà apertamente schierate per il pacifismo, nessuna di queste tragga un vantaggio determinante rispetto alle altre.
Corsa alle firme
Il cambio in corsa del meccanismo che permette di avere le esenzioni ha lasciato fuori molte liste che avrebbero potuto cercare di ottenere un lasciapassare da un partito europeo, riducendo così il numero di contrassegni presenti sulla scheda. La poderosa raccolta firme necessaria per essere alle elezioni è stata coraggiosamente portata avanti solamente dalla lista di Michele Santoro e da Democrazia Sovrana e Popolare di Marco Rizzo e Francesco Toscano, con la prima riuscita a essere presente in tutta Italia e la seconda nella sola circoscrizione Centro.
Ci sarà invece in tutta Italia, grazie all’esenzione ottenuta grazie ai due eletti nei collegi uninominali messinesi alle scorse politiche, Cateno De Luca, che ha lanciato, col suo Sud chiama Nord, la lista “Libertà”, il cui affollato contrassegno non è certo passato inosservato: ben venti simboli ospitati al suo interno, che rappresentano un ampio spaccato di forze politiche. Si va dai critici verso i vaccini di Vita al Popolo della Famiglia di Mario Adinolfi, passando per i nordisti di Grande Nord e Popolo Veneto, e i civici dell’ex sindaco di Amatrice Sergio Pirozzi.
Hanno sfidato la limitazione delle esenzioni Alternativa Popolare di Stefano Bandecchi e il cartello elettorale tra Animalisti e Italexit, sperando che i tribunali ritenessero tardivo il cambio in corsa della legge elettorale, e così facendo hanno ottenuto successo: Italexit e Animalisti saranno così presenti al sud, mentre Bandecchi sarà addirittura in tutta Italia.
A terminare poi la rosa delle liste, ci saranno gli autonomisti sudtirolesi del Sudtiroler Volkspartei e i loro colleghi valdostani di Rassemblement Valdotain, presenti solo nella circoscrizione di riferimento in ottemperanza con la legge per le minoranze linguistiche.
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