Nelle uniche elezioni pienamente proporzionali rimaste in Italia, alla fine ha vinto il bipolarismo, con i due partiti più votati – FdI e il Pd – che sommati rappresentano più della metà dei voti validi e staccano in modo netto le altre forze politiche.
Opposizione
Se il partito di Giorgia Meloni consolida il dato del 2022, rafforzando il primato dal 26% delle politiche al 28,8 e blindando la leadership nella coalizione, diversa è la situazione del Pd che, nel battesimo del fuoco di Elly Schlein, si conquista un ruolo di guida naturale di un’opposizione che due anni fa sembrava più che mai frammentaria.
Alle politiche del 2022, ricordiamo, il sogno lettiano del «campo largo» si infranse malamente e si arrivò a una corsa a tre gambe, con un’alleanza tra Pd, Verdi e Sinistra e Più Europa da un lato, il Movimento Cinque Stelle in solitaria dall’altro e il terzo polo di Renzi e Calenda a chiudere la rosa.
Oggi questo contesto finisce per riordinarsi notevolmente, con i dem che ottengono un ruolo di primo piano tra le opposizioni, raggiungendo un 24% che rappresenta una crescita sia rispetto al 19 del 2022 che al 22,7 del 2019. Una vittoria della neo segretaria Schlein, che è riuscita a proporsi agli elettori come la principale alternativa a Meloni, arrivata grazie anche all’ottimo risultato di numerosi candidati in lista.
Merita a riguardo una menzione il sindaco uscente di Bari Antonio Decaro, che con quasi 500mila preferenze porta il Pd a essere prima lista nella circoscrizione Sud.
Ma, oltre ai dem, l’altra forza che cresce tra le opposizioni è l’Alleanza Verdi e Sinistra, che ottiene un inatteso 6,7% che forse sarebbe ingiusto considerare esclusivamente frutto della candidatura di Ilaria Salis, trattandosi di un risultato che a sinistra del Pd non si vedeva da molto tempo.
Per un partito che sale, ce ne sono sempre altri che scendono, e non è passato inosservato il tracollo del Movimento 5 Stelle. Di fronte a un elettorato che ha puntato sul bipolarismo tra Meloni e Schlein, Giuseppe Conte si è trovato in un cul de sac da cui ha provato a uscire attraverso una battaglia sulla pace che tuttavia non ha portato gli auspicati consensi e su cui anche altri partiti, Pd compreso, hanno saputo presidiare il proprio elettorato attraverso prese di posizione e candidature ben posizionate sul tema.
Niente da festeggiare nemmeno per l’area centrista dell’opposizione, dilaniata dalla guerra tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, la cui corsa separata lascia sotto la soglia del quorum sia Stati Uniti d’Europa che Azione, fermi rispettivamente al 3,7 e 3,3% che suonano come una beffa per due liste che nel 2022 avevano corso insieme.
Maggioranza
Spostandoci a destra, però, se da un lato Fratelli d’Italia conferma e consolida la sua leadership nella coalizione, gli equilibri non restano inalterati, con Forza Italia che supera, seppur di poco, la Lega. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha smentito tutti coloro che pensavano che il partito di Silvio Berlusconi, dopo la morte del suo fondatore, si sarebbe rapidamente rarefatto: FI non solo passa dall’8,1 del 2022 al 9,6, ma diventa la seconda forza politica del centrodestra.
Il lieve incremento percentuale della Lega a trazione Vannacci, che si ferma al 9 %, rappresenta un risultato marginale e dal sapore molto amaro che rischia di mettere nel mirino Matteo Salvini, colpito nel giorno del voto anche dalla notizia secondo cui lo storico fondatore della Lega Umberto Bossi avrebbe votato Forza Italia.
Donne forti
Al di là di sorpassi ed exploit, sono proprio le due leader dei due massimi partiti a uscire vincitrici, la presidente del Consiglio Meloni in primis, che ottiene il primato dei voti di lista nonché delle preferenze a livello personale, e Schlein, che porta il Pd a consolidarsi come principale alternativa a FdI.
Ma se la premier ha ben chiaro il perimetro della maggioranza, meno chiaro è se all’opposizione esista una coalizione e quale sia il suo perimetro: sarà questa adesso la sfida di Schlein e sarà questa la prova per capire se l’Italia è tornata un bipolarismo potenzialmente competitivo dopo un periodo di frammentazione politica.
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