Mercoledì 21 marzo si è tenuto a palazzo Grazioli, residenza romana di Silvio Berlusconi, un vertice tra i leader del centrodestra. L’obiettivo era quello di definire una strategia comune in vista della prima seduta del parlamento, che si terrà venerdì 23 marzo, quando verranno avviate le procedure per l’elezione dei presidenti di Camera e Senato.
In questi giorni il partito più votato alle elezioni del 4 marzo, il Movimento Cinque Stelle, ha rivendicato per sé la presidenza di Montecitorio. Per i grillini, poter esprimere la terza carica dello stato è particolarmente importante.
A detta dei dirigenti del Movimento, infatti, alla Camera c’è più urgenza di modificare i regolamenti e soprattutto di intervenire su vitalizi e privilegi dei parlamentari.
I pentastellati hanno quindi lanciato una sorta di aut-aut: siamo disponibili a intese sulle presidenze delle Camere, purché a noi spetti Montecitorio.
Il vertice del centrodestra
I leader della coalizione di centrodestra, riuniti a palazzo Grazioli, hanno accettato le condizioni poste dal Movimento Cinque Stelle.
In una nota diffusa al termine dell’incontro si legge: “Il centrodestra propone ai capigruppi parlamentari un comune percorso istituzionale che consenta alla coalizione vincente (il centrodestra) di esprimere il presidente del Senato e al primo gruppo parlamentare M5s il presidente della Camera. A tal fine anche per concordare i nomi i leader del centrodestra invitano le altre forze politiche ad un incontro congiunto domani”.
“Il centrodestra – continua la nota – riconosce in ciascun ramo del Parlamento un vicepresidente a ogni gruppo parlamentare che non esprima il presidente. Confidiamo – continua il comunicato – che una tale proposta così rispettosa del voto degli italiani possa essere accolta positivamente da tutte le altre forze in campo”.
Secondo quanto trapela, il nome più accreditato per la presidenza del Senato, che a questo punto spetterebbe al centrodestra, è quello di Paolo Romani.
Ora un accordo di governo?
L’accordo sui presidenti delle Camere potrebbe fare da anticamera per quello finalizzato alla formazione di un governo. Il risultato delle urne è molto chiaro: ad aver vinto le elezioni sono stati Movimento Cinque Stelle e Lega.
Quest’ultima, però, è legata almeno formalmente a un accordo di coalizione con Forza Italia e Fratelli d’Italia. Considerando l’indisponibilità, più volte espressa dal Partito Democratico, a formare alleanze, al momento non c’è nessuno schema per la formazione di un governo che possa escludere i grillini.
Ecco perché, ormai da giorni, l’ipotesi di un governo “sovranista” tra Lega e pentastellati va facendosi sempre più insistente. Il leader del Carroccio Matteo Salvini non l’ha affatto esclusa.
Martedì 20 marzo, nella trasmissione di Rai Uno Porta a Porta, anche il leghista Giancarlo Giorgetti si è mostrato più che possibilista su questa ipotesi: “Se si trovano punti programmatici su cui c’è un accordo, può essere una soluzione”, ha detto.
Il centrodestra, verosimilmente, farà un tentativo per formare autonomamente un governo, ma senza l’appoggio del Pd l’ipotesi non è supportata dai numeri. Lo stesso si può dire per il Movimento Cinque Stelle, che non trovando sponde tra i democratici dovrà necessariamente bussare alla porta di Salvini.
Di Maio o Salvini: chi sarebbe il premier?
Se davvero si trovasse un accordo tra questi due partiti, resterebbe aperto il nodo della premiership. Il Movimento Cinque Stelle, che ha preso più voti della Lega, rivendica il suo diritto a esprimere il primo ministro.
Allo stesso tempo, però, poiché si tratterebbe di un accordo retto su equilibri fragili, i rapporti di forza non potrebbero essere troppo squilibrati a favore dell’uno o dell’altro. Ecco perché, in queste ore, sta prendendo piede l’ipotesi di una figura terza, scelta da Mattarella e gradita sia ai leghisti che ai grillini.
Un premier che potrebbe insediarsi, inizialmente, anche solo per un governo di scopo che abbia l’obiettivo di cambiare la legge elettorale per tornare al voto, ma che potrebbe poi fare da punto di equilibrio per un governo che duri per l’intera legislatura.
Anche Berlusconi sta aprendo ai Cinque Stelle
La vera novità delle ultime ore, però, è che l’ipotesi di un governo tra centrodestra e Movimento Cinque Stelle sembra essere vista di buon occhio anche da Silvio Berlusconi.
L’ex Cavaliere, in campagna elettorale, aveva sempre escluso questa possibilità, ma ormai sembra sempre più convinto che, per restare protagonista sulla scena politica, non gli resti che avallare l’intesa coi pentastellati.
Si potrebbe formare quindi una maggioranza tra Lega, Forza Italia e M5s, mentre è più difficile prevedere cosa potrebbe fare, a quel punto, Fratelli d’Italia. In ogni caso, se il sostegno di Berlusconi a questa maggioranza di governo dovesse essere confermato nei prossimi giorni, lo scenario diventerebbe sempre più concreto.
Lega e M5s: programmi compatibili?
Su TPI abbiamo analizzato i programmi di Lega e Movimento Cinque Stelle, per capire su quali proposte potrebbero convergere una volta al governo e su quali punti invece le differenze sono difficilmente conciliabili.
Ecco alcuni esempi:
Immigrazione
Sebbene i programmi dei due partiti non siano certo identici su questo tema, è indubbio che sull’immigrazione i punti di contatto tra pentastellati e leghisti ci siano.
Le proposte del Movimento Cinque Stelle in questo ambito sono principalmente due: migliorare la cooperazione internazionale finalizzata alla stipula di trattati per i rimpatri, e 10.000 nuove assunzioni nelle commissioni territoriali per valutare, in un mese, come negli altri paesi europei, se un migrante ha diritto a stare in Italia o no.
Ci sono quindi delle sicure convergenze con la Lega perlomeno sul fronte dei rimpatri. Il Carroccio propone misure più radicali come l’introduzione di una nuova legge che punisca l’immigrazione irregolare.
Matteo Salvini, a poche settimane dal voto, ha anche definito l’Islam “incompatibile con la Costituzione italiana”. “L’Islam costituisce un rischio evidente – aveva detto Salvini – perché vuole far prevalere una legge religiosa sulla legge nazionale. Non voglio certo fare la fine del Regno Unito, in cui i tribunali inglesi sono stati sostituiti da quelli islamici”.
Le posizioni tendenzialmente più moderate dei Cinque Stelle e quelle più radicali della Lega su questo tema non sembrano comunque inconciliabili.
Va ricordato che entrambi i partiti hanno espresso la loro contrarietà alla legge sullo Ius soli, inizialmente proposta dal Partito Democratico nella legislatura appena conclusa ma che non è mai stata tramutata in legge.
Provvedimenti che rendano più semplice l’acquisizione della cittadinanza per gli immigrati, quindi, con questi due partiti alla guida del paese, sono assolutamente da escludere.
Anche dal punto di vista delle relazioni con le istituzioni europee, il percorso di Lega e Cinque Stelle è stato analogo. Dopo essersi assestati per anni su posizione radicali, a partire dall’uscita dall’euro, ora entrambi i partiti hanno parzialmente rivisto questo schema.
Di Maio, proprio in campagna elettorale, ha affermato esplicitamente che “non è più il momento di uscire dall’euro”. Dal canto suo Salvini, nella conferenza stampa tenuta a Strasburgo martedì 14 marzo, ha dichiarato: “Sarebbe impossibile un’uscita dell’Italia dall’euro improvvisa e solitaria”.
Si può quindi dire che sia il Movimento che la Lega condividono le critiche alle politiche di austerità e ai vincoli di bilancio imposti dall’Europa, e che entrambi vorrebbero ridiscutere i trattati europei senza però, almeno per il momento, uscire dalla moneta unica.
Tasse
Uno dei punti su cui un ipotetico governo tra leghisti e grillini farebbe più fatica a trovale la quadra è la tassazione.
Come è noto, il centrodestra, Lega compresa, ha proposto dall’inizio della campagna elettorale la flat tax, ovvero un sistema fiscale che applica la stessa tassazione, in termini di aliquota, a tutti i contribuenti, indipendentemente dal loro reddito.
La Lega ha proposto una tassazione uguale per tutti al 15 per cento, il che implicherebbe una drastica riduzione delle imposte soprattutto per i redditi più alti.
La posizione dei pentastellati è differente, e si appunta su una riduzione delle imposte soprattutto per le classi medie, con una no tax area per i redditi fino a 10mila euro.
Reddito di cittadinanza
Il grande cavallo di battaglia dei grillini, il reddito di cittadinanza, è una misura che non è vista affatto di buon occhio dalla Lega. Salvini ha ribadito a più riprese di non voler dare soldi “a chi sta a casa senza fare niente” (sebbene il reddito di cittadinanza dei Cinque Stelle non preveda questo).
Al momento questo appare l’elemento di maggiore distanza tra i due partiti. Dopo le aspettative suscitate in campagna elettorale, sarebbe assai difficile per il Movimento non tenere fede all’impegno del reddito di cittadinanza senza che i suoi elettori si sentano traditi.
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