Se si volesse sintetizzare cosa ha detto Giuseppe Conte alla Camera, bisognerebbe farlo intorno a un invito e ad una frase del suo lungo intervento. L’invito è quasi inedito in un discorso di fiducia: “Aiutateci”. Non grida, non minaccia, il presidente del Consiglio. Chiede aiuto in un momento drammatico per la vita nel paese. Niente muscoli, solo cervello e cuore.
La frase, invece, è apparentemente leggera, ma in realtà molto dura: “Adesso si volta pagina”. Il premier sta spiegando, senza puntare il dito, che è finita la fase dei ricatti nella maggioranza. E, con la stessa naturalezza con cui lo aveva annunciato – e rischiando, nel farlo -, pianta un paletto che divide un confine. Se ci sarà ancora lui, non ci sarà Renzi.
Ecco perché, dopo queste parole, ci sono due coordinate intorno a cui la politica inizia a girare e la sfida in due round – alla Camera e al Senato – diventa interessante.
L’intervento di Conte parte subito dalla spiegazione di quello che è accaduto. Molti si aspettavano un bis del discorso gladiatorio di un anno e mezzo fa contro Salvini, invece il presidente del Consiglio sceglie di non ripetersi e adotta una strategia diversa.
Sceglie la trasparenza quando dice “Confesso di avvertire un certo disagio. Sono qui oggi non per annunciare nuove misure di sostegno per i cittadini e le imprese, non per illustrare la bozza ultima, migliorata del Recovery Plan, ma per provare a spiegare una crisi di cui immagino i cittadini – ma, devo confessarlo, io stesso – non ravvisano alcun plausibile fondamento”.
Non c’è il retroscena: non c’é il dialogo dall’alto di un trono, c’è un racconto sincero. Ma con qualche punta di amarezza che non viene in alcun modo velata: “Le nostre energie – aggiunge Conte – dovrebbero essere tutte e sempre concentrate sulle risposte urgenti alla crisi che attanaglia il Paese, mentre invece così, agli occhi di chi ci guarda, dei cittadini in particolare, appaiono dissipate in contrappunti polemici e spesso sterili, del tutto incomprensibili rispetto a chi ogni giorno si misura con la paura della malattia, con lo spettro dell’impoverimento, con il disagio sociale, con l’angoscia del futuro”.
È il racconto senza filtro degli effetti della guerriglia di Italia Viva sul governo: “Rischiamo così tutti di perdere il contatto con la realtà. C’era davvero bisogno di aprire una crisi politica in questa fase?”.
Conte non sta parlando solo alla sua parte, quando dice queste cose, ma a tutti gli italiani. “Purtroppo, al culmine di alcune settimane di attacchi anche mediatici molto aspri – devo dirlo, a volte anche scomposti – alcuni esponenti di Italia Viva hanno anticipato e poi confermato di volersi smarcare da questo percorso comune. Ne è seguita un’astensione delle ministre di Italia Viva al momento dell’approvazione, in Consiglio dei ministri, del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza, nonostante ci sia stato un chiaro e apprezzato contributo al miglioramento della bozza che era stata originariamente presentata”.
Conte spiega che il Mes viene agitato dai renziani in maniera strumentale: “Vi è stata questa astensione motivata sostanzialmente o comunque principalmente per il fatto che questa nuova bozza non contempla le risorse del Mes, che però, come sapete, è uno strumento di finanziamento che nulla ha a che vedere con il Recovery Fund”.
E poi arriva al punto di non ritorno, al paletto politico: “Da ultimo, lo scorso 13 gennaio è stata indetta una conferenza stampa nel corso della quale sono state poi confermate le dimissioni delle ministre”. Spiega, il presidente del Consiglio, quello che ha subito nei giorni della guerriglia: “Continue pretese, critiche sempre più incalzanti, continui rilanci concentrati peraltro non casualmente sui temi palesemente divisivi rispetto alle varie sensibilità delle forze di maggioranza”.
E quindi affonda la lama: “Questa crisi di governo ha aperto una ferita profonda all’interno della compagine di governo e tra le forze di maggioranza, ma ha provocato – e questo è ancora più grave – anche profondo sgomento nel Paese. Questa crisi rischia di produrre danni notevoli, e non solo perché ha già fatto salire lo spread, ma ancor più perché ha attirato l’attenzione dei media internazionali e delle cancellerie straniere”.
Ecco come il presidente del Consiglio spiega perché sceglie di chiudere la porta, di mettere fine alle trattative con Renzi. E spiega perché, invece di incerottare la maggioranza, con una scelta opportunistica sceglie di dare battaglia e combattere.
“Arrivati a questo punto non si può cancellare quel che è accaduto o pensare di poter recuperare quel clima di fiducia e quel senso di affidamento che sono condizioni imprescindibili per poter lavorare, tutti insieme, nell’interesse del Paese”. Ed è qui che arriva il messaggio chiave: “Adesso si volta pagina”.
È così che finisce per trattare il tema più delicato, quello di cui si discute da giorni. Con chi si fa un nuovo governo? Anche in questo caso Conte sceglie di non omettere nulla: “Si è aperta una crisi che oggi deve trovare qui, in questa sede, il proprio chiarimento, secondo i princìpi di trasparenza del confronto e – se mi permettete – di linearità di azione che hanno sin qui caratterizzato il mio mandato e che peraltro sono canoni essenziali di una democrazia parlamentare”.
Risolvere la crisi, quindi, e farlo alla luce del sole con le forza che sono in Parlamento. Quali? ”Per fare tutto questo – aggiunge Conte – servono un governo e forze parlamentari volenterose, consapevoli delle difficoltà che stiamo attraversando e della delicatezza dei compiti, servono donne e uomini capaci di rifuggire gli egoismi e di scacciare via la tentazione di guardare all’utile personale”.
Il presidente del Consiglio li immagina così: “Servono persone disponibili a mantenere elevata la dignità della politica, la più nobile delle arti e dei saperi, se declinata nel giusto spirito che mira sempre ed esclusivamente al benessere dei cittadini e al miglioramento della loro qualità di vita”.
La parola magica, dunque, è quella trovata da Mattarella. Non “responsabili”, ma “costruttori”: “Chi ha idee, progetti, volontà di farsi costruttore insieme a noi di questa alleanza votata a perseguire lo sviluppo sostenibile sappia che questo è il momento giusto per contribuire a questa prospettiva”.
E Conte si rivolge alle identità politiche, non agli individui: “Sarebbe un arricchimento per questa alleanza, lo voglio affermare molto chiaramente, poter acquisire anche il contributo politico di formazioni che si collocano nel solco delle migliori e più nobili tradizioni europeiste: liberale, popolare, socialista”.
Dietro queste caselle ovviamente si possono intuire anche dei nomi: socialisti sta per Nencini. Popolari sta per Sandra Leonardo in Mastella, e così via. Ma, precisa Conte, “chiedo un appoggio limpido, un appoggio trasparente, che si fondi sulla convinta adesione a un progetto politico, che si basi sulla forza e la nitidezza della proposta”.
Ed è così che si giunge all’appello di cui parlavo all’inizio di questo articolo: “A tutti coloro che hanno a cuore il destino dell’Italia, chiedo oggi: aiutateci. Aiutateci a ripartire con la massima celerità. Aiutateci a rimarginare al più presto la ferita che la crisi in atto ha prodotto nel ‘patto di fiducia’ instaurato con i cittadini”.
Questa fiducia è come un missile a due stadi: il primo alla Camera, il secondo al Senato. Se avesse mostrato i muscoli, come fece con “l’altro Matteo”, di certo Conte avrebbe dato più spettacolo. Ma ha scelto invece di cambiare passo: una crisi come un libro aperto, in cui il presidente del Consiglio non chiede il voto perché gioca a fare Superman. Ma lo fa perché chiede aiuto, dopo aver spiegato i motivi della sua debolezza, rivolgendosi a tutto il paese.
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