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    La rivincita di Zinga che impone il PDSÌ

    Di Niccolò Di Francesco
    Pubblicato il 7 Set. 2020 alle 20:45 Aggiornato il 7 Set. 2020 alle 21:16

    È nato il PDSÌ: non si tratta di una rievocazione del vecchio Pds, come temuto da Giorgio Gori, ma semplicemente della linea imposta dal segretario del Pd Nicola Zingaretti, che si prende la sua rivincita ottenendo nella Direzione nazionale il Sì del suo partito al referendum sul taglio dei parlamentari (qui cosa prevede la riforma) in programma il prossimo 20 e 21 settembre. Passa, dunque, la linea Zingaretti nonostante le divisioni e la presa di posizione netta di alcuni big, primo fra tutti Romano Prodi, il “padre” del centrosinistra. Nella mattinata di lunedì 7 settembre, il segretario dem ha preso la parola ed ha argomentato le sue ragioni, dettando la linea del partito. “Rivendico la scelta di dare vita al governo, sofferta anche da me, ma lungimirante” ha dichiarato rinnovando, ancora una volta, l’appello all’unità del partito.

    Zingaretti spiega anche che “non sono convinto che se dovessero prevalere il No cadrebbe il governo” separando, dunque, la questione del referendum dal futuro del governo. Non solo, il segretario schiera il suo partito a favore del Sì, ma apre anche all’idea lanciata da Luciano Violante, ovvero “di accompagnare la campagna per il Sì al referendum con una raccolta di firme per il bicameralismo differenziato. Sarà un modo, pur con scelte diverse che ci saranno, di unire il Pd”.

    Così “Zinga” ricompatta il partito e mette all’angolo i suoi avversari, in particolar modo l’area che fa riferimento a Matteo Orfini, che alla vigilia delle Direzione nazionale aveva commentato “la surrealtà di un passaggio in Direzione sul referendum a 12 giorni dal voto. Non ha alcun valore”.

    Il segretario dichiara anche che “Sono banali e pericolose le argomentazioni di chi motiva la scelta del Sì con i risparmi per lo Stato” e motiva la sua linea con un “Io dico Sì per ripartire con una stagione di riforme sempre bloccate nella storia d’Italia. Questo primo atto di riforme si può collegare con un percorso”.

    Per Zingaretti, dunque, il Sì al referendum non è altro che un primo tassello per le riforme costituzionali che serviranno nei prossimi anni al Paese. Una motivazione che di fatto ricompatta il partito, che si schiera a favore sia della relazione del segretario, con 213 voti favorevoli, che a sostegno della sua indicazione per il Sì al referendum con 188 voti. Perfino Zanda, il quale ha dichiarato che in lui “prevalgono le ragioni del No”, ha dichiarato comunque di “condividere la linea di Zingaretti”, mentre Franceschini ha ricordato: “Quando abbiamo fatto nascere questo governo una delle condizioni più importati posta dal Movimento 5 Stelle era la riduzione dei parlamentari. Noi abbiamo detto ‘Si’ e lo abbiamo votato in parlamento ponendo che alla riduzione dei parlamentari fosse affiancata la riforma della legge elettorale e il completamento di alcune riforme costituzionali collegate. Perché in quel momento nessuno, anche tra i più autorevoli di quelli che oggi dicono votare ‘No’, ha detto una parola? Perché non c’è stata mezza parola di dissenso?“.

    Superato lo scoglio Direzione, ora per Zingaretti e per il Pd si aprono delle settimane decisive. Se la vittoria del Sì al referendum sul tagli dei parlamentari sembra essere scontata, altrettanto non si può dire delle Regionali, dove il Partito Democratico rischia addirittura di perdere in tutte le Regioni. Una eventualità che il segretario dem non prende in considerazione, sicuro che “Il Pd impedirà alla destra di vincere in tutte e sette le Regioni chiamate al voto“. Zingaretti ha ribadito che è stato un errore non allearsi con il M5S, ma non per questo ha perso le speranze di costruire un’alleanza organica nel futuro. E forse non è un caso il fatto che, martedì 8 settembre, il premier Giuseppe Conte interverrà alla festa dell’Unità di Modena, reduce dalla festa de Il Fatto Quotidiano dove ha dichiarato che vedrebbe con favore un secondo mandato del presidente della Repubblica Mattarella, ma anche la sua stima nei confronti di Mario Draghi, che molti vorrebbero come suo sostituto.

    Anche perché il Sì di Zingaretti e del Pd al referendum è un viatico per giocare una partita, che il Partito Democratico ritiene molto più importante del referendum in sé: ovvero in quale modo destinare fondi in arrivo dal Recovery Fund, una riforma fiscale da portare in Parlamento e l’attivazione del Mes, su cui il Pd non ha ancora perso le speranze. “L’Italia deve utilizzare il Mes, una linea di credito molto vantaggiosa per rinnovare la sanità” ha dichiarato in Direzione Zingaretti. Senza dimenticare uno dei motivi per cui è nato l’esecutivo giallorosso: l’elezione del Capo dello Stato nel 2022. Ecco perché oggi è nato il PDSÌ.

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