C’era un tempo in cui Luigi Di Maio era costretto a mandare giù, suo malgrado, un’alleanza di governo tra Pd e M5s. Era l’agosto del 2019: dopo la crisi del Papeete il voltafaccia di Salvini, i Cinque Stelle scoprirono in fretta una nuova identità. Il Partito Democratico diventò in men che non si dica un alleato naturale, con Beppe Grillo bastione di una convergenza progressista impensabile fino a pochi mesi prima. Di Maio in questa operazione era il convitato di pietra: costretto dal suo ruolo di capo politico a fare buon viso a cattivo gioco, ma sotto sotto (neanche troppo) nostalgico di Salvini e del governo gialloverde.
È passato un anno esatto, e il ministro degli Esteri e ancora leader de facto del Movimento non ha più il muso imbronciato, tutt’altro. “I nostri iscritti hanno chiaramente detto di volere evolvere facendo evolvere il Movimento – ha detto in un’intervista alla Stampa – In quasi 10 anni è cambiato il mondo ed è cambiata l’Italia. Non credo sia il momento di fare previsioni, ma è evidente che ora si possono porre le basi anche per le comunali del 2021. Si voterà a Milano, Roma, Torino, Bologna e Napoli e io spero che ci possa essere una intesa complessiva”.
Parole al miele che sigillano il passaggio dal compromesso all’alleanza politica organica tra grillini e dem. Dopo la votazione su Rousseau, che ha aperto alle alleanze con altri partiti, la strada del resto era tracciata, e Di Maio ha deciso di imboccarla senza esitazioni. “Si è aperto un percorso per le elezioni amministrative, sulla base di un lavoro che stiamo portando avanti al governo centrale. Credo faccia parte della naturale evoluzione delle cose, dopo di che sono i territori che debbono essere ascoltati, le persone che ci mettono la faccia e che spendono energie”.
E visto che siamo in tema di svolte storiche, l’ex capo politico cita anche il leader socialista Pietro Nenni: “Credo, come diceva Nenni, che l’immobilismo giovi alla conservazione, che l’alimenti e se ne alimenti. L’attesa è corrosiva per una democrazia parlamentare, bisogna mostrarsi capaci di reagire, di maturare mentre anche gli scenari internazionali intorno a noi evolvono. Penso alla guerra dei dazi, alle tensioni Washington-Pechino, alle nuove minacce, ibride e mutevoli nel mediterraneo e non solo, che inevitabilmente devono spingerci a un rafforzamento dell’Ue e delle sue istituzioni, salvaguardando i valori propri di ogni Stato. Sono tutti elementi che una forza politica come la nostra, che nel 2018 ha raccolto 11milioni di consensi, ha il dovere di cogliere”.
Il 2021 è l’orizzonte tracciato da Di Maio, ma i prossimi passaggi per completare il percorso avviato con il voto sulla piattaforma Rousseu sono in realtà più immediati. C’è da verificare la possibilità di siglare alleanze tra Pd e M5s già alle elezioni regionali che si terranno tra poco più di un mese. Le Marche sono la regione maggiormente in bilico su questo fronte, con la possibilità ancora in piedi, per dem e pentastellati, di presentarsi insieme e scongiurare la vittoria del meloniano Acquaroli, in testa nei sondaggi. Dove Pd e Cinque Stelle si presentano divisi, del resto, la destra è sistematicamente avanti nelle intenzioni di voto.
Per il 2021, invece, si aprirà la partita delle comunali. Giocando con così largo anticipo non dovrebbe essere troppo complesso trovare dei candidati comuni, anche se le incognite restano legate alle decisioni dei sindaci in carica. E il problema principale in questo senso, come si sa, è quello che riguarda Virginia Raggi. La prima cittadina di Roma ha già dichiarato di volersi ricandidare e il segretario dem Zingaretti è stato chiaro: “Non la appoggeremo mai”. Chissà però se da qui al prossimo anno, dopo che anche l’ala più intransigente del Movimento sembra essersi convertita, persino la ricandidatura della Raggi non possa essere messa in discussione.