Negli ultimi anni la politica migratoria italiana ha costruito una retorica anti-immigrazione attorno a due fondamenti: il populismo criminale e la criminalizzazione della solidarietà.
Per “gestire” la cosiddetta crisi migratoria, molti paesi europei hanno utilizzato strumenti di diritto penale e di diritto amministrativo dell’immigrazione per individuare, controllare e criminalizzare i migranti.
La criminalizzazione della migrazione si materializza in un triplice processo: con l’adozione del diritto penale sostanziale, mediante il ricorso al tradizionale meccanismo di applicazione della legge penale che comprende la sorveglianza e la detenzione, nonché tramite lo sviluppo di meccanismi di prevenzione.
I partiti populisti di destra – ma non solo – descrivono i migranti irregolari come una minaccia alla sovranità, al benessere pubblico e alla sicurezza nazionale. In questo modo, come ha sostenuto Luigi Ferrajoli – professore di filosofia del diritto all’università di Roma Tre – il populismo penale diventa un carattere distintivo di politiche securitarie perseguite dai partiti populisti.
Nella letteratura specializzata è stato coniato un neologismo per descrivere questo insieme di pratiche di controllo sociale: “sistema di controllo di crimmigration”. Pertanto, sembrerebbe che gli strumenti di crimmigration abbiano una considerevole natura di esclusione poiché privano i migranti dei diritti fondamentali di cui avrebbero diritto.
Nei diversi “assemblaggi istituzionali” i migranti sono esclusi dal territorio del paese di destinazione, dalla politica e dai diritti fondamentali a cui hanno diritto. Nel fare ciò, i paesi e molti altri attori concordano nel rafforzare un sistema globale di polizia, punizione e controllo per difendere le “fortezze Europee”.
Negli ultimi anni per rispondere alla criminalizzazione della migrazione in corso in tutta Europa, abbiamo assistito alla partecipazione attiva di cittadini e comunità che si mobilitano in nome della solidarietà verso i migranti.
Queste reti rappresentano l’altro lato della “solidarietà istituzionale” portata avanti dalle istituzioni europee perché sono non gerarchiche e non istituzionalizzate.
Quindi, da un lato, esistono tipi di solidarietà basati su infrastrutture istituzionali. D’altro lato, gli sforzi autonomi delle persone comuni e dei migranti che vengono spesso descritti dai politici e dai media tradizionali come “crimini di solidarietà” che facilitano la migrazione irregolare.
In tale confronto, attivisti e volontari sono accusati non solo per i loro gesti di solidarietà, ma soprattutto per l’organizzazione di reti autonome di resistenza indipendenti dall’umanitarismo guidato dallo stato o dall’UE.
In questo scenario, i gesti di solidarietà civile vengono criminalizzati come illegali o orientati politicamente al fine di diminuirne la forza del messaggio politico. Dunque, negli ultimi anni, la retorica anti-immigrazione è stata costruita sulla combinazione di populismo criminale e criminalizzazione della solidarietà.
Andando verso pratiche di crimmigration i flussi di migranti sono diventati un problema di ordine pubblico secondo un paradigma securitario, conducendo ad un sensibile affievolimento nel riconoscimento e nella salvaguardia dei diritti fondamentali dei migranti.
Inoltre, se nei “tradizionali” ambiti della crimmigration è sempre il migrante irregolare il destinatario delle diverse misure repressive, ora assistiamo alla comparsa sulla scena di un nuovo “nemico” nei cui confronti indirizzare il contrasto, le Ong e le reti autonome di solidarietà.
Ad oggi secondo il rapporto “Crackdown on NGOs and volunteers helping refugees and other migrants” in Italia, 38 individui e volontari di Ong sono stati indagati o perseguiti per favoreggiamento della migrazione illegale o per collusione con i trafficanti.
Pertanto, sembrerebbe opportuno rianimare il dibattito sull’uso di strumenti di crimmigration per gestire i flussi migratori in vista delle imminenti modifiche dei decreti sicurezza.
Una semplice revisione poiché, come sottolinea ancora Luigi Ferrajoli, ‘’perseguire il consenso dell’elettorato tramite l’esibizione dell’illegalità̀ mina le basi del nostro Stato di diritto: non più̀ la soggezione alla legge e alla Costituzione, ma il consenso elettorale quale fonte di legittimazione di qualunque decisione, persino se delittuosa’’.
Forse il ministro Lamorgese avrà il coraggio e le competenze per superare quest’impasse. Lo sapremo molto presto.