Contento delle elezioni, onorevole Cuperlo?
“È un risultato assolutamente positivo: stabilizza il governo e rafforza il Pd”.
Detto così pare troppo facile: va dimostrato.
“Il primo effetto si è già visto, sulla Lega”.
Parla dei nuovi organismi dirigenti?
“Esatto. Credo che a destra si stia aprendo una discussione su come fare opposizione, a partire dal vertice del Carroccio”.
Cosa ha capito?
“Andiamo verso una Lega con meno anti-europismo alla Borghi, e più compatibilità di governo, alla Giorgetti”.
Potrebbe essere un cambiamento solo di immagine?
“Non credo. Se si vanno a studiare i dati dei territori, si scopre che al Sud c’è una forte competizione con la Meloni, che sta insidiando il primato di Salvini. Il centrodestra è di nuovo un cantiere”.
Gianni Cuperlo è un osservatore particolare nella politica di oggi. Guida la fondazione culturale del partito, è uno zingarettiano di stretta osservanza, ma ha dato indicazione per il No, al referendum Costituzionale. Adesso spiega perché – a suo avviso – la sinistra “ha guadagnato due anni di tempo, per fare delle cose che lascino il segno”.
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Insomma, lei è tra gli ottimisti che nel Pd tirano un sospiro di sollievo.
“Guai a pensare che questo successo ci consegni le chiavi della partita. Quella che stiamo combattendo, a partire dal 2018, è una sfida lunga, che durerà fino alla fine della legislatura: una partita a scacchi complicata”.
Che cosa ha azzeccato Zingaretti in questo round delle regionali?
(Ride) “Tutto, direi. Prima i media lo davano per morto, adesso lo dichiarano vincitore, c’è un po’ di schizofrenia”.
Perché era difficile tenere il punto sulle regionali.
“Il ruolo del Pd è stato anche ingrato, a tratti, ma è stato l’unico che poteva essere”.
Cioè?
“Abbiamo lavorato per trasferire l’alleanza di governo sui territori. E il dramma è che – con l’unica eccezione della Liguria – non ci siamo riusciti”.
Quindi non è stato un successo.
“Ecco il punto: in questo frangente abbiamo pagato dei prezzi, ma era una tentativo doveroso da compiere. Il risultato ha dimostrato che altre strade non ce n’erano”.
Un pezzo della coalizione, e del campo largo del centrosinistra, hanno provato ad esplorare un’altra opzione: far perdere il centrosinistra.
“E non gli è riuscito. Ma ci arrivo dopo, perché mi interessa dire subito qualcosa sul referendum”.
Cosa?
“La curiosa dichiarazione di Beppe Grillo secondo cui i parlamenti non servono più, è stata una brutta coda di quella campagna. La conferma dei timori che avevo”.
E come giudica il risultato?
“Io penso che si sia chiusa con questo voto la fase dell’antipolitica. Quello del referendum è stato l’ultimo successo di una stagione. Il buon risultato di un No cogitante ci dice che non è più aria di plebisciti. E il fatto che il Sì non abbia portato un solo voto al M5s è il dato ancora più clamoroso”.
Questo sulla linea politica. E che voto dà a Zingaretti?
“Ci ha messo la faccia, si è speso in prima persona, ha fatto campagna elettorale senza mai mollare e ha raccolto un buon successo”.
Quindi tutto bene, per lei?
“No. Adesso bisogna usare questo risultato per dare la Paese dei segnali evidenti, nel lavoro enorme che ci serve per uscire dalla crisi”.
Me ne dica uno.
“Sto seguendo con grande curiosità la vicenda degli esami di Suarez a Perugia”.
E cosa ci vede?
“Il contrario di quello che potrebbe apparire leggendo i giornali. Non una nuova polemica gratuita fra simpatizzanti è antipatizzanti della Juventus”.
E cos’altro, allora?
“Un illuminante apologo sulla condizione degli immigrati in Italia, e su chi la cittadinanza dovrebbe averla, ovvero i nuovi italiani”.
Si spieghi.
“Se leggo le cronache di questa inchiesta, la prima cosa che mi viene in mente è che, in questo paese, gli stranieri sono figli di un Dio minore di fronte alla legge. Questo deve interessare al Pd”.
Lei dice che il risultato elettorale rafforza il governo: ci spiega perché.
“È giunto il momento di ricollocare il nostro progetto nella realtà italiana. Il governo giallorosso non può rimanere una esperienza parlamentare”.
E quindi?
“Noi del Pd non dobbiamo sciupare l’opportunità di questo risultato. E il M5s credo che ormai sia giunto ad un bivio”.
Quale?
“In questo momento non esiste nessuna alternativa credibile a questo progetto, neanche per loro. Lo dimostra il risultato che hanno ottenuto dove hanno scelto di correre soli”.
Lo dice perché molti dei loro elettori hanno scelto il “voto utile” al Pd?
“Perché molto loro elettori si sentono già inclusi dentro questo campo”.
Però voi avete perso una regione come le Marche, questo è innegabile.
“Io faccio questo calcolo. Rispetto ai risultati delle elezioni europee del 2019 avremmo dovuto perdere ovunque e vincere solo in Toscana. E calcoli che per il Pd quello a già un risultato di ripresa rispetto alle politiche!”.
Però Salvini ha dimostrato che anche una regione rossa come la Toscana può essere contendibile. È la prima volta, e non è poco.
“Può essere una soddisfazione, ma il vero dato è questo: dal 2018 la Lega racconta a se stessa e al mondo di essere maggioranza, e scende in campo dichiarando la vittoria”.
E invece?
“Il tentativo della spallata, per la seconda volta, non ha funzionato”.
Ci è andata vicino.
“Vi ricordate la campagna per la Borgonzoni? Salvini scese in tutte le piazze all’insegna dello slogan: ‘Andiamo a liberare l’Emilia-Romagna’. E ha perso”.
Poi, però, ha cambiato strategia.
“Ha scelto un profilo meno urlato, sia lui che la sua candidata, Susanna Ceccardi, ma come vede non è bastato neanche quello. Era quello il suo obiettivo principale: la Toscana. E lo ha mancato”.
Però c’è anche la sfida a livello nazionale.
“E quello mi pare il punto decisivo. Salvini ha attaccato tutte le scelte di Conte e del suo governo, e questo è stato di fatto un boomerang per lui”.
Perché lo dice?
“Perché attaccare il governo senza offrire una alternativa credibile si è rivelato un errore. Sopratutto dopo il Covid. Il governo esce più stabile”.
Parliamo degli alleati, però.
“Come accennavo prima, M5s e anche Italia Viva sono davanti ad un bivio e ad una scelta precisa. I grillini, con la linea dello smarcamento dall’alleanza sono di fatto evaporati nei territori”.
Perché?
“Quel movimento, che si era affacciato sulla scena sull’onda del ‘vaffa’, con la bandiera della scatoletta di tonno in mano, adesso appare chiuso nei palazzi, allontanandosi dalla sua base. Oggi il M5s è in mezzo al guado. Nella maggioranza giallorossa ha una strada, fuori mi pare proprio di no”.
E Renzi?
“Io Italia Viva la giudico a partire dall’ambizione e dai numeri”.
Sognava le due cifre. Quindi la giudica male.
“Guardi, se ha avuto un pregio, Renzi, in questi anni, è che ha sempre detto quello che voleva fare. Lo ha fatto anche stavolta”.
E cioè?
“Il suo obiettivo era quello di fare al Pd ‘lo stesso’ che aveva fatto Macron ai socialisti francesi“.
E come è andata?
“Mi pare sotto gli occhi di tutti. Penso ad esempio quell’1,1% in Puglia, contro Emiliano”.
Traduco: la considera una lezione severa.
“Non mi permetto di dare consigli né giudizi. Semplicemente il progetto di egemonia di Renzi sul Pd è fallito”.
Lui però, nell’intervista al direttore di TPI, Giulio Gambino, dice che quello di Italia Viva è stato un grande successo.
(Sorride) “È vero che ogni grande viaggio comincia con un piccolo passo, ma temo che il viaggio in questo caso sia lunghissimo, e il primo passo molto breve”.
E Conte?
“Non è entrato per nulla nel gioco politico elettorale, ed è stato un bene. Credo che gli italiani gli riconoscano un ruolo, e che il voto lo stabilizzi. Salvini aveva invocato il tennistico sei a zero e anche questo scenario scompare. Il governo ha due anni di lavoro davanti a sé”.
Pensa davvero che non possa cadere?
“Queste, in fondo, sono state come delle elezioni di medio termine, e hanno coinvolto 19 milioni di italiani. La spallata di Salvini al governo non è riuscita, e adesso tocca a Conte giocarsi le sue carte”.
Però che in Veneto Zaia faccia quorum da solo, e che il centrosinistra prenda il 13%, mi pare un segnale non trascurabile per voi.
“Senza dubbio. E io lo allargherei a una riflessione più ampia di quella sul solo dato elettorale di Zaia”.
Ovvero?
“Dobbiamo porci una questione vera riguardo al Nord”.
Il vostro rapporto, quello del Pd?
“In primo luogo quello. È evidente che nella parte più dinamica del paese il risultato del Veneto è un segnale: ci impone una battaglia per ricostruire una idea di rappresentanza”.
E perché questo non è riuscito in queste elezioni?
“Arturo Lorenzoni, il candidato del centrosinistra è una persona di grandissima capacità. Ma, al di là della persona, è venuto a mancare un radicamento politico nella società”.
Il Pd non parla più al Nord?
“Ancora non riesce a farlo. L’uso che il governo saprà fare dei Recovery Fund sarà una grande occasione per dimostrare che il suo riformismo può riaprire un canale di dialogo con i ceti produttivi”.
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