Sono le 18.45 circa di giovedì 14 luglio quando con le dimissioni del premier Mario Draghi, poi respinte dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, si apre la crisi di governo. Ma è a mercoledì 20 luglio che bisogna guardare, quando Draghi andrà alle Camere. In quella sede, al Parlamento, si tenterà di ricucire lo strappo e il premier dovrà spiegare le motivazioni che l’hanno portato a prendere questa decisione. Il presidente del consiglio dovrà, infatti, “effettuare nella sede propria una valutazione della situazione che si è determinata”, come ha detto il Capo di Stato.
GLI SCENARI
Davanti alle Camere, però, Draghi potrebbe ribadire la sua decisione. A quel punto potrebbe poter tornare al Quirinale per dimettersi, ancor prima del dibattito e del voto di fiducia. Ed ecco che si aprirebbero due scenari. Il primo vedrebbe Mattarella conferire un nuovo incarico a un traghettatore fino alla naturale fine della legislatura, il 23 marzo 2023. Potrebbe essere una figura considerata di “alto profilo”, come era già successo con Draghi, e quindi un governo tecnico fino al prossimo voto. Il secondo scenario vedrebbe il presidente sciogliere le Camere e indire le elezioni anticipate in autunno. Mentre il Partito Democratico e Italia Viva sperano e lavorano per un Draghi Bis, il centrodestra punta proprio al voto anticipato. Forza Italia, invece, non esclude la possibilità di un nuovo esecutivo sempre con il premier dimissionario e nemmeno quella delle elezioni.
Ma c’è un terzo scenario possibile: quello della fiducia. Draghi mercoledì potrebbe verificare i numeri per far ripartire un nuovo governo. In quel caso si ricomincerebbe e si andrebbe avanti fino alla fine della legislatura. Al contrario, senza l’eventuale appoggio della Lega – che non accetterebbe un governo senza il Movimento 5 stelle – le Camere potrebbero essere sciolte e tornerebbero in campo le elezioni anticipate. Il M5s, inoltre potrebbe cambiare idea e votare la fiducia, sempre tenendo conto della volontà di Draghi e, quindi, del suo volersi dimettere o meno. A quel punto si ricostituirebbe un governo di “Unità nazionale”.