Viaggio nei due anni di Lega a Ferrara
Le classifiche con gli indici di gradimento degli amministratori pubblici servono agli stessi politici per bearsi sui social o agli avversari per avere una ragione in più di polemica. Ma se nella graduatoria pubblicata da Il Sole 24Ore a inizio luglio gli emiliano-romagnoli promuovono il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, portandolo al secondo posto in Italia, e bocciano il sindaco di Ferrara, Alan Fabbri, relegandolo in 61esima posizione e retrocedendo la città estense alla 58esima, un motivo ci sarà.
Ferrara, per quanto la giunta a trazione leghista sbandieri il contrario, non sta ripartendo. Anzi, sta affondando nella crisi. Dalla fine di maggio molti esercizi commerciali sono deserti e la città è precipitata all’ultimo posto in Emilia-Romagna: se nel 2019 già primeggiava per il tasso di disoccupazione più alto, il 19,4%, fra i giovani tra i 18 e i 29 anni (dato della Camera di commercio provinciale), oggi vanta il reddito annuo pro-capite più basso della regione e si sta impoverendo ulteriormente.
Il bonario Alan Fabbri
“Se gli altri capoluoghi hanno già ipotecato le risorse del Programma Nazionale di Ripresa e Resilienza, qui mancano ancora i progetti della giunta su come spenderle. Ma Fabbri non risponde concretamente, tanto meno alle richieste riguardanti il bonus 110%, l’apertura delle classi elementari a settembre e la calendarizzazione degli sfalci urbani. Altra vergogna non silenziabile è che la giunta sia ancora ferma con il Piano Urbanistico Generale, mettendo in difficoltà le associazioni di categoria, quando nel resto della regione sono già alle conclusioni”.
Questo l’allarme lanciato dalle forze di opposizione a due anni esatti dall’insediamento di leghisti e affini in municipio, malgrado le numerose lamentele e le continue petizioni dei cittadini a cui il sindaco ha raramente dato seguito, se non con qualche post sui social.
Intanto la magistratura ha riconosciuto che il regolamento per l’assegnazione degli alloggi popolari del Comune è “discriminatorio e irragionevole”. I sindacati argomentano: “Sia rispetto all’impossidenza, per la richiesta a soli cittadini extracomunitari di documentazione aggiuntiva e gravosa, sia rispetto al punteggio dedicato alla residenzialità storica, preponderante rispetto ai requisiti indicativi di uno stato di bisogno abitativo”.
Una sentenza che evidenzia come la politica sensazionalista e populista possa innescare una guerra tra le persone che hanno meno, distraendole, mettendole le une contro le altre. Questo sistema collaudato ha trovato il suo parossismo in un post del sindaco su Facebook – il suo principale canale informativo – nel quale Fabbri si è spinto a citare persino i nomi delle donne che hanno fatto ricorso alla graduatoria in questione, violando la loro privacy.
Nel frangente in cui due semplici donne, una delle quali particolarmente debole tanto da essere stata sotto protezione giudiziaria, hanno esercitato un loro diritto oppositivo, sono state oggetto di bullismo istituzionale da parte del sindaco.
Non contento, Fabbri ha promesso ufficialmente al suo elettorato che procederà con un ulteriore ricorso per giungere all’ultimo grado di giudizio: “Il giudice faccia il giudice nella sua aula di tribunale, io continuerò a fare il sindaco in strada”, il rimbrotto intercettato da Stefano Lolli su Il Resto del Carlino.
Le spese giudiziarie restano ovviamente a carico dei cittadini e chissà se questi ultimi se ne stiano rendendo conto. A rimetterci sono i più bisognosi, in sostanza, che agli occhi superiori del tribunale non devono avere colore. Pure i cotti impiegati nei cantieri sono consapevoli delle lungaggini che affliggono i contesti di costruzione edile quando sono vincolati a procedimenti giudiziari.
Ebbene, la conversione di una porzione dell’ex Palazzo degli Specchi – scandalo dell’ex amministrazione Soffritti (Pds) per infiltrazioni mafiose, datato 1989, e appellato così dal giornalista Lolli – è cominciata più di due lustri fa con la prima giunta Tagliani (Pd) ed è stata ultimata giusto nel 2018, con l’inaugurazione dello studentato presso le Corti di Medoro, complesso residenziale che ha riqualificato un’area urbana in balia del degrado e della prostituzione clandestina. E la nuova giunta non ha perso tempo ad attribuirsene angelicamente i meriti.
“Eppure le aree da risolvere non mancano, una per tutte via Scalambra”, ha replicato l’ex assessora all’urbanistica Roberta Fusari, adesso all’opposizione con la lista Azione Civica. “E le richieste dei cittadini ferraresi per aver assegnati alloggi pubblici sono state oltre settecento, a fronte di un’ottantina di alloggi disponibili. Perché non si affronta il degrado di alcune aree in modo strutturale attraverso delle rigenerazioni urbane, in un momento in cui il governo ha messo a disposizione risorse dedicate con un bando specifico? Perché non si approfitta di questo bando per incrementare la dotazione pubblica di alloggi sociali, viste le necessità?”.
Se la postura di Fabbri e del suo entourage appare conciliante negli incontri vis a vis con picchi di dissonante ferocia sui canali social, i fatti dimostrano una sconcertante vaghezza nel modo di procedere: la delibera di assestamento del bilancio annuale, passaggio cruciale per le casse del Comune, da poco approvata in Consiglio dalla maggioranza, palesa una serie di voci di spesa misteriose, non spiegate come sarebbe doveroso, a detta dell’opposizione, ma sulle quali i consiglieri hanno dovuto votare.
“Naomo” Lodi, l’altra faccia del sindaco
Sono stati Francesco Specchia sul Quotidiano del Sud e Andrea Scanzi ne La congiura dei peggiori (Rizzoli) i primi a immortalare il vicesindaco Nicola Lodi, al secolo “Naomo”, a mo’ di gaudente qualunquista di quartiere, sebbene lui si spacci per un vendicatore della destra liberale.
Nel frattempo, le deleghe accumulate dal pluricondannato dotato di fascia tricolore sono ben otto: Sicurezza, Protezione Civile, Frazioni, Mobilità, Palio, Rigenerazione Urbana, Edilizia e Urbanistica. Le ultime due strappate all’indifeso Andrea Maggi, espressione vacillante del civismo ferrarese piantumato al Centro, benché molti dei suoi si siano espressi apertamente contro i metodi “naomiani” dei “calci in culo” e di “+ rum – Rom”.
Ma non basta, e anche se i destri temperati e avanguardisti hanno trascorso l’intera campagna elettorale scorsa a invocare il cambiamento condannando gli inciuci piddini dei tempi d’oro – a detta loro – hanno finito per adattarsi e trovare un compromesso buono per ogni evenienza e per tenersi stretto lo scranno.
Naomo avanza a testa bassa, inarrestabile quanto contraddittorio: si intesta i meriti della rinascita urbana grazie alle Corti di Medoro, sebbene per anni abbia provato a impedire la riqualificazione dell’area fissando cartelli per esortarne la demolizione.
Fa sradicare le panchine dai giardini della cinta muraria per impedire a spacciatori e clochard di sostarvi, ma poi è costretto a ricollocarle in sordina per quietare il malcontento degli abitanti. Impone la recinzione totale di alcuni parchi pubblici per mantenerne il decoro, ma limita il diritto dei residenti stessi di poterli frequentare. Rincorre un runner in piazza e gli spaccini in fuga sulle bici nonostante abbia un’invalidità permanente per problemi anche motori, che gli consente di parcheggiare al posto dei disabili. Infine, si circonda dei vigili urbani quasi fossero i suoi pretoriani, la sua guardia personale.
Gli uffici del neo-assessore all’Edilizia hanno autorizzato l’abbattimento di un edificio in disuso, ma coperto da tutela che si affaccia sul centralissimo viale Cavour, l’ex sede della Guardia di Finanza, a favore di un costruttore in possesso di un nuovo progetto.
Tuttavia la Commissione per la Qualità architettonica e paesaggistica ha prodotto un parere negativo, richiamando l’ovvio: sarebbe bastato che l’amministrazione comunale avesse tolto il vincolo ufficialmente, riformando il regolamento, e l’edificio si sarebbe potuto abbattere regolarmente. Sono arrivate invece le richieste di dimissioni ai componenti della Commissione inviate dal direttore generale Mazzatorta: i membri più obbedienti si sono dimessi subito e, mentre alcuni di essi venivano riconfermati nel consesso prontamente reinsediato, n’è rimasto fuori proprio il presidente Rinaldo Campi, che aveva resistito alle pressioni.
Il palazzo? È stato comunque abbattuto forzando un’interpretazione del regolamento urbanistico, sulla quale si esprimerà la Procura della Repubblica, che ha aperto un fascicolo conoscitivo.
A sbalordire l’opinione pubblica nazionale, di recente, è stata la vicenda della consigliera Rossella Arquà, che era responsabile organizzativa della Lega in loco. Una sua fedelissima e a tal punto da badare al figlio di Lodi nei momenti del bisogno. O almeno così sembrava: Arquà è indagata per aver spedito una decina di lettere minatorie al vicesindaco, due delle quali contenenti dei proiettili.
Ma dopo le parole colleriche di Lodi e quelle definitive di Fabbri, che a seconda della circostanza si scambiano il ruolo del poliziotto buono con quello del poliziotto cattivo, Arquà è insorta ingaggiando la difesa di Fabio Anselmo – l’avvocato delle famiglie Cucchi e Aldrovandi, che ha dichiarato di difenderla gratuitamente come se fosse spinto dal proprio dovere morale – e ha affermato di essere stata prima manovrata e poi spinta a dimettersi.
Manovrata da chi? Stando alle indagini condotte dalla Digos e riportate sul quotidiano Estense.com si evince che in modo certosino la signora abbia imbustato le minacce proprio nella sede del suo partito. Di sicuro, una volta emerso lo scandalo, lo stato maggiore della Lega ferrarese si è mobilitato per farle firmare le dimissioni il più rapidamente possibile, parrebbe addirittura per strada su un bidone dell’immondizia.
I feudi di Naomo Lodi rimangono i dintorni dell’urbe e la sua fortuna risale a quando lui e il fratello Simone rivaleggiavano a San Bartolomeo in Bosco, in aperto contado, per racimolare preferenze tra le fila dell’allora Alleanza Nazionale.
L’apecar comunale che oggi percorre in lungo e in largo le frazioni per raccogliere i presunti suggerimenti degli abitanti, col motto “Porta qui le tue idee” ricorda sempre di più quella che batteva il territorio comunale con sopra il faccione trionfante di Naomo durante le amministrative del 2019. Un mezzo tutt’altro che volto a suscitare la partecipazione civica, alla stregua del feudatario che si piazzava sotto la quercia – ma senza avere il carisma del re Luigi di turno – e che accoglieva i servi della gleba fingendo di ascoltare benignamente le loro frustrazioni.
Alla maniera dei comunisti tanto demonizzati della destra post-berlusconiana, che gambizzavano i presunti nemici, quelli che adesso la Lega identifica nelle associazioni di promozione sociale e nei circoli Arci.
Nelle formazioni tribali arcaiche, nella rigida organizzazione dei Celti, vigeva tra i membri un senso di fedeltà che prevedeva il riconoscimento, quindi il rispetto reciproco. Eppure Lodi ha liquidato i rapporti sia con il fratello sia con la devota Arquà e, in tempi non sospetti, con don Domenico Bedin, il sacerdote che quando era in difficoltà gli diede asilo nei locali dell’associazione Viale K, una onlus che soccorre gli emarginati e contrasta le situazioni di estrema povertà.
L’immagine mediatica dell’establishment leghista, specialmente del vicesindaco, va preservata e ritoccata a ogni costo: “Gli incarichi messi a bilancio per centinaia di migliaia di euro servono a costruire una narrazione che per questa amministrazione vale più di qualsiasi altro”, ha sostenuto su Estense.com il capogruppo del Pd Francesco Colaiacovo.
D’altronde, sui profili social istituzionali, gestiti da professionisti stipendiati dai ferraresi, la propaganda di partito più o meno camuffata è martellante e i contestatori sono usualmente bloccati, in maniera che non possano più interagire con i suddetti canali. Anziché incentivare un dialogo più dinamico, la comunicazione è diventata univoca e spesso veicola un’informazione parziale o distorta.
Un esempio calzante di questa “narrazione” lo esplica sempre Colaiacovo: “Oggi il programma frazioni prevede 250mila euro, mentre già nel 1997 l’ex giunta Soffritti istituì una voce specifica per le circoscrizioni da utilizzare per le piccole manutenzioni, ben 3 miliardi di lire pari a circa 1,5 milioni di euro”.
Ferrara e il manuale del perfetto leghista
Solamente un centinaio di militanti e curiosi, secondo i dati della Questura, hanno accolto l’arrivo in città di Matteo Salvini, domenica 18 luglio 2021: “Ferrara è stata simbolo della ripartenza, tra rinascita e cambiamento in Emilia”, ha dichiarato il leader della Lega. Modello di ripartenza che non ha convinto, però, gli elettori per la conquista della Regione sotto la bandiera del Carroccio, essendo stato ampiamente riconfermato Bonaccini.
Il Capitano, infatti, ha scelto proprio le torri del grattacielo quale luogo simbolico della vittoria leghista, nonché unico cavallo di battaglia rimasto al vicesindaco Lodi. È innegabile la coerenza perseguita in loco da Naomo dopo la campagna elettorale, avendo realizzato in un biennio le migliorie che la Sinistra non è riuscita a effettuare in trent’anni, curando il contesto nel dettaglio, potenziando l’arredo urbano per la frequentazione di ragazzi e famiglie, incrementando le occasioni di intrattenimento e favorendo gli esercenti.
Purtroppo, però, sembra che in quanto a criminalità non siano migliorate le condizioni del quartiere intorno alla stazione, la famigerata zona Gad: costanti le notizie sulla stampa relative a perquisizioni domiciliari e personali dovute a segnalazioni dei cittadini stessi.
Salvini non ha risparmiato una frecciatina nemmeno al suo fidato Alan, avvalorando pubblicamente – e al suo posto – la ricandidatura del politico bondenese alle prossime comunali, smontandogli così la fantasticheria di entrare in Parlamento.
E se l’affluenza per i discorsi scaltri e trasformisti di Salvini sta calando drasticamente, aumentano i tesserati in casa Fratelli d’Italia in tutta la provincia ferrarese. L’applicazione del manuale del perfetto leghista, oltre alla demolizione del campo Rom in periferia acclamando Lodi a bordo di una ruspa, consiste nel negare sistematicamente la concertazione delle politiche sociali.
Dal punto di vista amministrativo, un caso emblematico è stato la cancellazione dell’Istituzione Scuola, che significa accentrare poteri e ridurre le autonomie gestionali delle intelligenze esistenti. L’Istituzione Scuola ferrarese era considerata un’eccellenza nel resto del paese e in breve la cittadinanza ha assistito allo smantellamento di un sistema funzionante senza un’alternativa concreta.
Adesso è tutto ricondotto agli uffici dell’assessorato di competenza: il diktat è controllare i dirigenti riducendoli a cieca e muta obbedienza, ma anche rinunciando alla possibilità di affrontare le emergenze con un approccio non gerarchico, bensì creativo e a diretto contatto con l’utenza, perdendo in termini di trasparenza e partecipazione.
In questo frangente, però, il merito non è stato del vicesindaco Lodi. L’artefice che si cela dietro le quinte del palazzo è Sandro Mazzatorta, uno dei pionieri bossiani, già sindaco di Chiari, in provincia di Brescia, nonché ex senatore e attualmente direttore generale del Comune di Ferrara.
La scrittura dei “piani di zona”, ad esempio, rappresentava in passato il momento di ascolto delle associazioni di volontariato dislocate sul territorio da parte dell’amministrazione: si otteneva così un quadro completo della realtà sociale. Ora tutti i processi condivisi sono stati tagliati alla radice e l’assessorato alle Politiche sociali sfoglia la margherita delle singole associazioni: ci saranno quelle premiate e quelle ignorate, senza spiegazioni, senza riferimento a una visione d’insieme che consenta di valutare oggettivamente le scelte della giunta.
Ci si fa vanto di aver sfornato “ben 32 progetti a bando”: sono 32 spot che si ignorano a vicenda e non mostrano né un panorama complessivo né l’esistenza di una rotta per attraversarlo. Un risultato insufficiente in tempo di pandemia, quando è stata dura per chiunque, ma ai più deboli sono mancate sia la terra sotto i piedi sia le prospettive.
È stata plateale la figuraccia dell’amministrazione con la distribuzione autarchica della prima tranche dei “buoni spesa Covid” finanziati dallo Stato: se i telefoni municipali si intasarono rapidamente durante la manciata di giornate utili a presentare la domanda, subito dopo l’operazione fu bollata dalla magistratura come discriminatoria nei criteri di assegnazione. In seguito, la giunta Fabbri ha distribuito una parte considerevole delle successive risorse statali per i fatidici buoni alle associazioni che forniscono già alimenti alle famiglie in povertà.
Quindi, dopo aver dovuto eliminare (malvolentieri) i criteri anti-stranieri della graduatoria dei meno abbienti, i rinnovati politici ferraresi hanno sbolognato gran parte dell’urgente manovalanza al volontariato locale, che si è sobbarcato gratuitamente un carico organizzativo aggiunto.
Ferrara, la corte di Vittorio Sgarbi
Se lo striscione “Verità per Giulio Regeni” è stato rimosso dallo scalone municipale per non disturbare le foto ricordo dei turisti, automobili e furgoni incorniciano senza sosta il centro storico, sino a parcheggiare noncuranti sotto Palazzo Ducale e sul sagrato del Duomo. Centro riconosciuto patrimonio dell’Unesco per i canoni rinascimentali dal 1995 che andrebbe salvaguardato dall’usura e dai gas di scarico.
“Tutte le piazze sono state occupate da iniziative a pagamento, come piazza Verdi o piazzetta della Repubblica, ribattezzata ‘piazza del gusto’. Estate Bambini è stata sabotata con la settimana del teatro e i Buskers snaturati”, incalza con una cartolina suggestiva lo scrittore Sandro Abruzzese. “Per non parlare del magnifico parco Massari ridotto a ospitare concerti”.
“In costruzione c’è un parco trincerato al Gad che ha spostato lo spaccio ora sotto i palazzi e le vie di fronte alla stazione”, continua Abruzzese. “Nell’azione della giunta attuale c’è discontinuità con tutti i valori fondanti e storici di Ferrara sul piano urbanistico e civile, come se la città fosse nelle mani di giovani ‘americani’ in vacanza. E di certo, per molti dei nostri, le comunali sono state meglio dell’America, o come si diceva una volta, di un terno al lotto. Ma per fortuna i ragazzi fanno ancora i tuffi nelle fontane”.
Parallelamente, osservando la foto del critico d’arte Vittorio Sgarbi che, seduto sul gabinetto, scruta assorto uno dei primi libri di Matteo Renzi, ci si domanda se Duchamp fosse un dilettante, o se quel relativismo contagioso e corrosivo non abbia permesso al volto istituzionale del Maurizio Costanzo Show di prendersi troppo spazio sotto i riflettori, e nondimeno dentro il Castello Estense.
Una sciagurata congiunzione che ha dato i suoi frutti: Sgarbi era al posto giusto al momento giusto, procurando alla Lega di Salvini una personalità credibile – almeno per i più asserviti ai media – che si potesse occupare di cultura. Che poi, per lui, gestire i contenuti culturali sia appannaggio di pochi e, spudoratamente, “amici degli amici” sarebbe una faccenda da approfondire, ma in altra sede.
Dopo aver dismesso il cappottone grigio – indossato dall’irascibile “in memoria di Italo Balbo” alla fine della corsa elettorale che gli ha permesso di ricoprire il ruolo di presidente di Ferrara Arte, e di piazzare il bravo Marco Gulinelli al vertice dell’assessorato alla Cultura e alla bizzarra “civiltà ferrarese” – Sgarbi ha sfoggiato una camicia insolitamente garibaldina nell’ultimo lungo abbraccio con “l’amico” Naomo Lodi.
E garibaldino è lo spirito con cui ha inserito magistralmente la figura di Moni Ovadia in qualità di direttore del Teatro Claudio Abbado di Ferrara, senza porsi il dubbio che vi fosse un ipotetico conflitto di interessi nell’arrogarsi tale decisione. Ovadia è uno strumento che tenta di mettere a tacere le abissali divisioni politiche e ideologiche tra i due poli, rivelandosi straordinariamente efficace con i rossi meno convinti.
Tuttavia Sgarbi non si è accontentato della Fondazione Teatro Comunale: ha occhi solo per le partecipate – incluse le fondazioni Ferrara Musica e la sopracitata Ferrara Arte – a causa del potenziale economico che possono muovere per ordinamento, senza i vincoli di un’amministrazione pubblica. Lo attesta il disinteresse per la gestione diretta delle biblioteche, che sono in via di esternalizzazione, non concordata coi sindacati, rischiando un peggioramento del servizio pubblico.
“Non c’è alcun progetto di rilancio dopo due anni dalle mirabolanti promesse”, ha sottolineato la consigliera Dem Ilaria Baraldi. “A oggi di certo c’è soltanto la cancellazione della nuova biblioteca in zona sud e l’incapacità di gestire i previsti pensionamenti. Non c’è una rilevazione dei bisogni dell’utenza, né capacità di valorizzare i dipendenti pubblici”.
Le biblioteche, sebbene l’assessore la pensi diversamente, non funzionano solo come polverosi depositi del sapere, ma spesso come poli reattivi di ricerca e aggregazione. Per quanto si riempia la bocca di Rinascimento, a Sgarbi non importa alcunché della rete associativa, educativa e ricreativa che dentro e fuori le mura contava centinaia di soggetti organici impegnati attivamente per rianimare un territorio che perdendo occupazione sta smarrendo pure la sua identità.
Tramite la Fondazione Cavallini Sgarbi, il maggio scorso, ha persino acquistato da un antiquario di Milano un taccuino di disegni di Giuseppe Antonio Ghedini. E, nonostante l’artista settecentesco lo avesse ceduto alla Biblioteca Comunale Ariostea con un lascito testamentario, ora il taccuino è suo. Diverse associazioni locali si erano fatte avanti per unirsi e coprire la spesa dell’opera – circa 20mila euro – volendola restituire al patrimonio comune, ma sono state completamente ignorate, principalmente da Gulinelli, che ha preferito avvantaggiare il suo protettore e la Fondazione Cavallini Sgarbi, piuttosto che gli effettivi datori di lavoro, i ferraresi.
Sgarbi non concede il minimo spazio agli altri attori della scena culturale: l’anfitrione ne ha zittito le flebili voci. Se poi gli intellettuali si lasciano sedurre dal potere, Ferrara si ridesta cortigiana.
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