In un’intervista al quotidiano La Repubblica il ministro della transizione ecologia Roberto Cingolani ha parlato della Cop26, delle lunghe trattative, dei risultati ottenuti e del duro colpo inflitto dall’India agli impegni della conferenza Onu.
Il ministro ha raccontato di aver parlato con i suoi figli e di avergli spiegato che “è impensabile fare una rivoluzione epocale con una Cop. Ma quest’anno è stato fatto un passo avanti, perché tutti gli Stati hanno convenuto sulla necessità di accelerare il raggiungimento degli obiettivi dell’Accordo di Parigi, mantenendo il riscaldamento globale a circa 1,5 gradi (invece di 2) nella seconda metà del secolo”.
Non un fallimento quindi secondo Cingolani, anche se molti altri osservatori non la pensano allo stesso modo. Greta Thunberg, ad esempio, l’ha bollata in un tweet come l’ennesimo “Bla, bla, bla”. Il presidente della Cop, il britannico Alok Sharma, ha detto tra le lacrime che si è trattato di un “compromesso al ribasso”.
Ma cosa è successo?
“Il ministro indiano – ha spiegato Cingolani – ci ha detto chiaramente che avrebbe aderito alla risoluzione finale relativa a 1,5 gradi, solo qualora si fosse alleggerita la pressione sull’abbandono totale del carbone. Un modo per avere più tempo, organizzare la transizione energetica e nel frattempo crescere, ma aderendo all’obiettivo globale di 1,5 gradi di riscaldamento globale nella seconda metà del secolo insieme a tutti gli altri Paesi. Sono abili negoziatori: se avessimo optato per il muro contro muro, gli indiani si sarebbero svincolati da ogni impegno e avrebbero prodotto tutta la CO2 possibile, rendendo irreversibile il cambiamento e inutili gli sforzi di tutto il resto del mondo”.
Viene così rimandato l’addio al carbone nei Paesi che più di tutti ne fanno uso. Si fa più difficile anche il risultato di contenere l’aumento delle temperature entro i 1,5 gradi.
Appuntamento alla prossima Cop
Per Cingolani l’accordo è comunque un segnale importante: “Sono state concordate regole precise per le finanze, per la trasparenza e la verifica di quanto dichiarato dagli Stati. Sono stati concordati processi e metodi uguali per tutti, che a partire dalla prossima Cop consentiranno di gestire meglio gli aiuti e gli sforzi. Può sembrare poco, ma non è così. Certo, per ottenere questi accordi è stato necessario scendere a patti con Paesi che fanno uso intensivo di carbone”.
Per quanto riguarda i fondi destinati ai paesi più poveri e quelli già colpiti dagli effetti del cambiamento climatico, il ministro afferma: “Non abbiamo raggiunto i 100 miliardi l’anno dovuti ai Paesi vulnerabili, promessi nel 2015, e si devono trovare accordi operativi per aumentare le risorse destinate ai danni e alle perdite causate dagli eventi estremi nei Paesi più deboli. Più in generale, ai piccoli Paesi vulnerabili o alle isole che rischiano in pochi decenni di essere inghiottite dai mari non possiamo solo rispondere con regole, processi, linguaggi tecnocratici e promesse. Occorre che la solidarietà sia tangibile e in tempi molto brevi”.
Il ruolo dell’Italia nella conferenza
“La nostra presidenza del G20, le iniziative PreCop italiane e quelle con i giovani dello Youth for climate – ha spiegato il ministro – hanno dettato l’agenda e scolpito i contenuti su cui Cop26 ha fatto qualche passo avanti: l’ambizione di contenere il riscaldamento a 1,5 gradi, il ricorso alla partnership pubblico-privata per gli investimenti, il ruolo dei giovani, il concetto di multilateralismo, l’indicazione chiara che disuguaglianze globali e cambiamento climatico sono problemi interconnessi sono tutti concetti sviluppati dal G20”.