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    Appendino a TPI: “Destra o sinistra? Sono progressista. Letta? Qualcuno dovrà presentargli il conto”

    Credit: Michele Lapini

    Il rapporto con la famiglia, il terrore di parlare in pubblico, le origini della militanza M5S, il Rdc da migliorare. Una lunga intervista alla ex sindaca di Torino, oggi candidata al Parlamento

    Di Luca Telese
    Pubblicato il 23 Set. 2022 alle 07:36 Aggiornato il 23 Set. 2022 alle 07:39

    Molti vi accusano: la vostra rimonta avviene grazie al Reddito di cittadinanza, usato come un enorme «voto di scambio».
    «Ridicolo. Il Reddito era già nel nostro programma, e non lo avevano ancora realizzato, quando abbiamo preso il 33%».

    Non è quello che vi ha fatto crescere nei consensi, dice?
    «E quando li abbiamo persi i consensi? Lo avevamo appena fatto».

    Dunque?
    «Sono sciocchezze: in realtà si tratta di uno strumento di equità sociale che esiste in molti Paesi, ad esempio in Germania. Lì non è voto di scambio?».

    L’ex ministro leghista Castelli dice: «Il Nord sta morendo per colpa di quel sussidio».
    «I fatti ci dicono, per fare un esempio, che il Reddito arriva anche al Nord: nella mia regione lo percepiscono 150mila persone – fonte Istat – in povertà assoluta. La povertà esiste, e non è una colpa».

    E gli abusi?
    «La Guardia di Finanza ha fatto i controlli, e su 15 miliardi di euro di truffe, solo lo 0,8% era riferito al Reddito. I controlli servono per qualsiasi politica sociale, ma non ho mai sentito mettere in discussione uno strumento giusto per alcuni usi impropri. Per esempio, esiste chi froda sulle pensioni di invalidità ma per fortuna nessuno propone di eliminarle. Il problema non è la misura in sé, ma l’illegalità. Ed è questa che dobbiamo combattere».

    Chi sono i poveri del Nord?
    «Posso raccontare che durante la pandemia, quando il Governo Conte faceva gli scostamenti di bilancio per finanziarci sui territori, noi con la rete Torino Solidale davamo pacchi-spesa. E in fila c’erano anche imprenditori, commercianti e insospettabili cittadini impoveriti dalla crisi».

    Perché lo dice?
    «L’Isee è una foto del passato, non del futuro. Con questa nuova crisi ci servono più strumenti di assistenza, non meno, per evitare che le persone finiscano in povertà assoluta».

    Ma non accetta nessuna critica alla legge?
    «Figuriamoci, tutto è migliorabile. Quello che non ha funzionato sono le politiche attive sul lavoro. È vero che due terzi dei percettori sono inabili al lavoro. Ma gli altri vanno formati, e riallineati al mercato».

    Ma si può fare?
    «Bisognerebbe ricordare al centrodestra che i centri per l’impiego sono responsabilità delle Regioni e non funzionano. Il Governo Conte ha stanziato le risorse che vanno usate, altrimenti è come lamentarsi perché la macchina non parte quando non ci hai messo la benzina».

    Lei pensa che il referendum abrogativo che vuole Renzi avrebbe successo?
    (Risata). «Se fa il giro dell’Italia con il jet per raccogliere le firme, magari sì».

    È una colpa il jet?
    «Direi che se si pensa di voler togliere uno strumento che combatte la povertà, e poi si spendono decine di migliaia di euro per andarsene in giro, come minimo ci si riduca ad essere un ossimoro».

    E l’emergenza energia?
    «L’approccio che noi chiedevano a Draghi a gennaio era un Energy Recovery Fund».

    Cioè?
    «Un acquisto comune per risparmiare, e un intervento concordato con l’Europa. Ma subito serve un prezzo calmierato per l’acquisto delle imprese. Altrimenti prima che l’Europa decida, chiudono».

    Perché Draghi non lo ha fatto, secondo lei?
    «Glielo chieda. Non siamo stati ascoltati. Io sono certa che serve un governo politico a questo Paese. Ognuno deve assumersi le proprie responsabilità».

    E l’alleanza mancata?
    «Come penso da mesi, qualcuno dovrà presentare il conto a Letta».

    Di cosa?
    «Come mai ha rinnegato dall’oggi al domani l’esperienza del Conte II per abbracciare Calenda, Gelmini e Carfagna?».

    In nome dell’Agenda Draghi.
    «Peccato che l’Agenda Draghi, anche per Draghi, non esista!».

    È il volto del Movimento Cinque stelle al Nord, e – dicono – la possibile leader di domani, se Giuseppe Conte, che stravede per lei, dovesse essere chiamato ad altri incarichi. Quando si racconta, Chiara Appendino alterna sorriso solare e aneddoti in cui sembra sempre impacciata. Alla fine ti accorgi, invece, che quella continua auto-ironia è l’involucro protettivo di un carattere roccioso: «Il mio primo obiettivo in queste elezioni – dice – è migliorare il risultato del Movimento rispetto alle ultime amministrative a Torino». È capolista in tutta la città è corre anche in un collegio uninominale.

    Lei è figlia di un dirigente di azienda e di una insegnante. Cosa voleva fare da bambina?
    «Per lunghi anni ero incerta: o professoressa o astronauta».

    Erano due campi un po’ lontani, a dire il vero…
    «Lo so. Ma l’astronauta appagava le mie aspirazioni più avventurose, e da bambina ne avevo».

    Mentre l’insegnante, perché?
    «Fin da piccola adoravo la maestra perché era un grande punto di riferimento per la comunità».

    Quindi poi – almeno in questo – non è andata molto lontano.
    «Sì, in fondo ho sempre pensato alla politica, e ne sono ancora convinta, come un modo per offrire un riferimento e un servizio agli altri».

    E quando ha capito quale era la sua vera strada?
    «A dire il vero anche da grande ho considerato di iscrivermi a Filosofia, sempre guidata da quella idea. Poi però mi sono iscritta a Economia e la mia vita è cambiata».

    Era una studentessa scrupolosa?
    «Direi di sì: dopo il liceo classico, al Gioberti, ho fatto la Bocconi. Tesi sulla Cina: ho preso 110 e lode».

    Caspita.
    «Certo non mi immaginavo nei panni di un politico».

    Perché?
    «Non ero in alcun modo in grado di parlare in pubblico».

    Vedendola parlare ora sembra una boutade.
    «Ancora al penultimo anno di università, mi apparivano macchie rosse sul collo prima ancora di parlare. E poi mi bloccavo».

    Davvero?
    «A 21 anni, mentre illustravo una tesina in un’aula, ho avuto un mancamento e sono svenuta. Ma non volevo mollare».

    E dunque?
    «Uscita in corridoio, rianimata dai compagni, mi sono fatta forza e sono riuscita a riprendermi, rientrare in aula, finire l’esposizione».

    Ma allora quando è diventata l’oratrice strappa-applausi che ho visto a Bologna la settimana scorsa al TPI Fest?
    (Ride). «Passo dopo passo e con molta fatica».

    E poi?
    (Ride). «Devo confessare un segreto».

    Cioè?
    «Le chiazze sul collo mi sono rimaste. Le avevo anche a Bologna alla festa di TPI, ma se poi parli se ne accorgono in pochi».

    E il suo vero maestro chi è stato?
    «Intanto ho avuto due nonni che hanno fatto entrambi i partigiani. Non solo il padre di mio padre, ma anche quello di mia madre, Franco Barba».

    Se lo ricorda?
    «Certo. Era stato ferito ad una gamba, come Garibaldi, e mi faceva vedere, quando ero bambina, il segno della cicatrice».

    E poi?
    «Ho avuto, per tutta la vita, tre riferimenti importanti. Il primo: mio padre, che mi ha trasmesso il senso del dovere, la serietà, una certa maniacale aspirazione al rigore».

    Il secondo?
    «Beh, mia nonna, che è ancora viva, a 97 anni. Faceva la farmacista. Lei mi ha trasmesso, insieme a mille altre cose, la sua memoria».

    Ad esempio?
    «Nei racconti che faceva mi colpiva la sua esperienza più limpida: si era sentita grande, durante la guerra, perché ogni giorno prendeva la bicicletta e veniva dalla campagna in città, a controllare la casa di famiglia».

    In che senso?
    «Poi tornava dai suoi genitori e diceva: “Per fortuna anche oggi non è stata bombardata”».

    Cose che non si dimenticano.
    «È stata la più grande lezione che abbia mai ricevuto sulla precarietà delle nostre vite».

    E sua madre?
    «Prima era insegnante di inglese. Poi, con un grande salto, si reinventò accompagnatrice turistica».

    Visto come era suo padre, sarà stata materna e protettiva.
    (Sospiro). «Insomma: non mi potrò mai dimenticare del pesce spada…».

    Cioè?
    (Risata). «Un giorno c’era quello in tavola, e io feci il grande errore di proclamare: “Non lo mangio!”. Lei mi avvertì: “Non mangerai altro, finché non finisco quello”».

    E cosa accadde?
    «Rifiutai sdegnata a colazione. Mi arrabbiai la sera. Capitolai la mattina, finendo per mangiarlo a colazione, il giorno dopo».

    Ah ah ah. E sua sorella?
    «Energia incredibile. Basterebbe dire che ha fatto sei figli».

    Immagino che ai primi due nipoti, quando non era eletta, lei abbia fatto da madre.
    «Macché. La cosa pazzesca è che su questo terreno ha aiutato più lei me, durante gli anni della giunta, che viceversa».

    Come?
    «Lei ha quattro maschi e due femmine. Mia figlia si colloca anagraficamente tra le due cugine. Sono cresciute insieme, soprattutto quando io passavo le notti in municipio».

    Come è finita a fare politica?
    «Il mio massimo ruolo, da ragazza, per ovvi motivi, era stato la rappresentante di classe».

    E nel M5S come ci arriva?
    «Firmando una petizione indirizzata al Comune in un banchetto del Movimento, trovato casualmente al mercato di Porta Palazzo nel 2010».

    E ora non può nemmeno ringraziare quegli attivisti!
    «E perché? Uno l’ho persino “punito”, dato che nella mia giunta è diventato il mio assessore all’Urbanistica».

    Pazzesco.
    «Ancora più divertente, tuttavia, è che mio marito aveva firmato, ma io no».

    Come?
    «Ho detto che sono abbastanza pignola: mi portai il modulo a casa, lessi tutto e tornai a firmare».

    Poi Grillo la scelse per fare il sindaco?
    «Grillo, di cui andavo a vedere gli spettacoli, non fece proprio nulla».

    Allora fu Casaleggio.
    «Casaleggio poi divenne un riferimento, ma nemmeno lui c’entrava».

    Non ci credo: lei e la Raggi sembravate una coppia studiata alla perfezione.
    «Eravamo entrambe il prodotto delle nostre storie. Pensi che la mia candidatura fu votata in un locale della periferia, e per alzata di mano».

    Era un ruolo a cui aveva puntato?
    «Non osavo. Ma gli altri erano convinti che io potessi essere all’altezza».

    Dopo una condanna in primo grado, lei ha rinunciato a correre per il secondo mandato. Non si è pentita quando poi è stata assolta?
    «Per nulla: io ho fatto bene a non ricandidarmi».

    Ma con il senno di poi è stato un sacrificio inutile.
    «Non per i miei principi. Se c’è una regola, non è giusto derogare. A maggior ragione se si parla di se stessi».

    Era un fatto tecnico più che politico.
    «Mi sono difesa nei processi e non dai processi. In appello è uscita fuori la verità, e cioè che non avevo colpe».

    È rimasta sorpresa?
    «Mai dubitato un solo secondo. Ma non sempre i tempi della politica coincidono con quelli della giustizia».

    Quindi nessuna amarezza per quello che ha perso.
    «Io so che ho dato tutto per finire il mio lavoro. Coma non rinuncio a nulla per essere coerente con me stessa».

    Quindi è stato giusto anche non derogare alla regola del doppio mandato?
    «Io penso che il Movimento abbia fatto una scelta coraggiosa. E trovo bello che Roberto Fico e Paola Taverna – solo per fare due nomi – continuino ad essere parte della nostra comunità».

    Valeva la pena?
    «La coerenza ha pagato, non necessariamente in termini elettorali».

    Torniamo a questa campagna.
    «Il Reddito di cittadinanza è uno dei temi. È diventato il centro della campagna elettorale, ma tutto il nostro programma era coerente con quell’impegno, e si è accesa l’attenzione».

    Cosa ha innescato quella curiosità?
    «La battaglia di un pezzo della politica contro i poveri: è così abbiamo potuto comunicare che noi siamo i più vicini alle persone in difficoltà sul precariato, sul salario minimo. E anche con le tematiche ambientali».

    Cosa c’entra l’ecologia?
    «Per me è uno strumento per migliorare la qualità della vita».

    In che senso?
    «Da sindaco ho fatto scelte importanti, investimenti costosi: ho portato la differenziata a superare l’indifferenziata, speso tempo e denaro sulle infrastrutture».

    E poi?
    «Con me la mobilità sostenibile alternativa ha avuto un incremento senza precedenti. Confermando le mie convinzioni. Il pubblico offre al cittadino la possibilità di cambiare. Ma il resto lo fa lui».

    Cioè?
    «Le istituzioni mettono i pullman elettrici, installano le eco-isole, costruiscono ciclabili. Ma poi deve cambiare l’infrastruttura immateriale, la mentalità delle persone».

    Mica sarà convinta che si può uscire dal fossile.
    «Oggi o domani no, perché veniamo da anni di scelte sbagliate e conservatrici».

    E nei prossimi anni?
    «Si decide con questo voto: abbiamo la possibilità di investimento sul fotovoltaico. Non è possibile che le autorizzazioni richiedano sette anni! E serve un piano, e anche nuovi bonus per l’efficientamento».

    Calenda le direbbe che lei vende sogni e che serve il nucleare.
    «Ha visto il video di Conte sul condominio auto-sostenibile? È a Torino, un progetto autorizzato da noi».

    Il palazzo totalmente avvolto di pannelli.
    «Una delle poche comunità energetiche. È partito nel 2017: produce energia pulita e verde, la immette sul mercato! E ha contribuito al Pil italiano».

    Perché Draghi era contrario al Superbonus?
    «Questa domanda andrebbe fatta a lui, io non l’ho capito! Il Superbonus ha prodotto 650mila posti di lavoro. Un risparmio in bolletta di 500 euro l’anno, il taglio delle emissioni…».

    E anche delle frodi, dicono.
    «Sì, su 4 miliardi di frodi quelle sul Superbonus non sono neanche il 3%. Ora hanno esteso le norme che funzionavano, al bonus facciate, che era stato il problema».

    Il terzo polo dice che è un regalo a chi ha.
    «Però poi tutti lo hanno sostenuto, nel voto».

    Avevate tutti contro.
    «Nel Palazzo! Tra gli operatori del settore il Superbonus è visto come positivo. Il blocco sulla cessione dei crediti era stato devastante per le nostre imprese».

    Con Grillo come va?
    «Ho un ottimo rapporto, da sempre: ricordo il primo incontro, ero ancora consigliera comunale, nel 2010. Sono qui grazie a Beppe. Mio marito era rimasto folgorato, prima di quel banchetto lo avevo visto a teatro. Quando sono partiti i meet-up mi sono impegnata».

    Ma lei si considera di destra, di sinistra, o pensa che usano categorie superate?
    «Io mi considero progressista. Ma credevo, e credo, che molte forze tra quelle che si dicevano tali, non incarnano quei valori».

    Mi racconti un episodio bello in questo mese.
    «Io mi diverto. Perché la cosa più bella della campagna elettorali è che stai sempre a contatto con le persone. È un periodo difficile per l’Italia… Le cito solo l’ultimo, stamattina».

    Prego.
    «Ero a Torino Sud, al mercato. Una signora mi ha ringraziato e mi ha detto: “Mi ero trovata senza reddito, da una giorno all’altro. Ero disperata”».

    Durante la pandemia.
    «Lavora in uno studio dentistico. È stata aiutata dalle Reti Solidali della città giusto il tempo necessario per rimettersi in sesto».

    E lei?
    «Confesso, mi sono commossa. Pensavo: “Siamo stati in grado di assistere una persona. Quella signora ha trovato lo Stato, e ha potuto rimettersi in piedi”».

    Ma la vota?
    «Non gliel’ho chiesto. Per me non cambia nulla».

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